REPORTING FROM THE FRONT
Durante un
suo viaggio in America del Sud, Bruce Chatwin incontrò un’anziana signora che
camminava nel deserto trasportando una scala di alluminio sulle spalle.
Era
un’archeologa tedesca Maria Reiche, che studiava le linee Nazca. A guardarle
stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano alcun senso,
sembravano soltanto banali sassi. Ma dall’alto della scala, le pietre si
trasformavano in uccelli, giaguari, alberi o fiori.
Maria Reiche
non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee
dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul
deserto. Ma l’archeologa era abbastanza creativa da trovare comunque un modo
per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo
chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare contro la scarsità dei
mezzi: l’inventiva.
D’altra
parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere
un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della
vettura e guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta
spostare con maggiore rapidità. Ma questa scelta avrebbe distrutto l’oggetto
del suo studio. Quindi, in questo caso, si è arrivati a una valutazione
intelligente della realtà grazie all’intuizione dei mezzi con cui prendersene
cura. Contro l’abbondanza: la pertinenza.
Il curatore
Alejandro Aravena ha voluto che la 15. Mostra Internazionale di Architettura
offrisse un nuovo punto di vista, come quello che Maria Reiche aveva dall’alto
della scala. Di fronte alla complessità e alla verità delle sfide che
l’architettura deve affrontare, REPORTING FROM THE FRONT si propone di
ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia, e di
conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienza, inventiva e
pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo.
L’architettura
si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. Non è più complicato, né più semplice
di così. Questi spazi comprendono case, scuole, uffici, negozi e aree
commerciali in genere, musei, palazzi ed edifici istituzionali, fermate
dell’autubus, stazioni della metropolitana, piazze, parchi, strade (alberate o
no), marciapiedi, parcheggi e l’intera serie di programmi e parti che
costituiscono il nostro ambiente costruito.
La forma di
questi luoghi, però non è definita soltanto dalla tendenza estetica del momento
o dal talento di un particolare architetto. Essi sono la conseguenza di regole,
interessi, economie e politiche, o forse anche della mancanza di coordinamento,
dell’indifferenza e della semplice casualità. Le forme che assumono possono migliorare o rovinare la vita delle
persone. La difficoltà delle condizioni (insufficienza di mezzi, vincoli molto
restrittivi, necessità di ogni tipo) è una costante minaccia a un risultato di
qualità.
Le forze in
gioco non intervengono necessariamente a favore l’avidità e la frenesia del
capitale, o l’ottusità e il conservatorismo del sistema burocratico, tendono a
produrre luoghi banali, mediocri, noiosi. Ancora molte battaglie devono essere
dunque vinte per migliorare la qualità dell’ambiente costruito e, di
conseguenza, quella della vita delle persone.
Inoltre, il
concetto di qualità della vita si estende dai bisogni fisici primari alle
dimensioni più astratte della condizione umana. Ne consegue che migliorare la
qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti,
dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare
desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene
comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire
l’espansione delle frontiere della civilizzazione.
La proposta
del curatore è stata duplice: da una parte, ha ampliato la gamma delle
tematiche affinchè l’architettura fornisca delle risposte, aggiungendo alle
dimensioni artistiche e culturali che già appartengono al nostro ambito, quelle
sociali, politiche, economiche e ambientali. Dall’altro, Aravena ha cercato di
evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più di una
dimensione alla volta, integrando più settori invece di scegliere uno o
l’altro.
REPORTING
FROM THE FRONT riguarda la condivisione con un pubblico più ampio dell’opera
delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi campi di azione,
offrendo esempi in cui più dimensioni vengono sintetizzate, integrando il
pragmatico con l’esistenziale, la pertinenza con l’audacia, la creatività con il
buonsenso. Questi sono i fronti da cui vari professionisti hanno portato
contributi all’evento Biennale, dando notizie, condividendo storie di successo
e casi esemplari in cui l’architettura ha fatto, fa e farà la differenza.
Credo che il
merito di Aravena sia di essere riuscito a schivare in parte il pericolo di una
assunzione ideologica e moralistica, aprendo a una pratica curatoriale più
aperta e problematica che, accanto agli slogan dell’architettura per tutti,
apre spiragli verso pratiche più interstiziali e intriganti sulle
responsabilità del progetto. Come nella bella e agghiacciante installazione – The Evidence Room – che, partendo
dall’analisi forensica del campo di concentramento di Ausschwitz, replica le
caratteristiche degli spazi e dei luoghi di detenzione ricostruendo gli
strumenti architettonici di detenzione e di tortura: frutto dell’accurata
progettazione di ingegneri e di architetti al servizio del terrore.
Qualcosa di
concreto e duraturo vorrebbe portarlo anche il Padiglione Italia, alle Tese
delle Vergini, dove il gruppo TAMassocciati presenta Taking Care, Progettare per il bene comune. I curatori hanno
invitato cinque team di architetti, accoppiati ad altrettante associazioni, a
proporre delle piccole architetture mobili in grado di attivare circoli
virtuosi in zone difficili.
Nel Padiglione Italia possiamo ammirare un Legality Box, container da installare a presidio dei luoghi confiscati dalla mafia; l’ambulatorio pensato da Matilde Cassani con Emergency; l’Unità di Monitoraggio Ambientale per Legambiente; un “dispositivo per lo sport” (Marco Navarra con UISP)
Nel Padiglione Italia possiamo ammirare un Legality Box, container da installare a presidio dei luoghi confiscati dalla mafia; l’ambulatorio pensato da Matilde Cassani con Emergency; l’Unità di Monitoraggio Ambientale per Legambiente; un “dispositivo per lo sport” (Marco Navarra con UISP)
E la
biblioteca nomade BiblioHub pensata da Alterstudio Partners con l’Associazione
italiana Biblioteche.
Maria Paola
Forlani
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