Buffoni,
Villani e Giocatori
Alla Corte dei Medici
Si è aperta
fino l’11 settembre 2016, nell’Andito degli Angioini di Palazzo Pitti, la
mostra Buffoni, Villani e Giocatori Alla
Corte dei Medici a cura di Anna Bisceglia, Matteo Ceriani e Simona Mammana
(catalogo Sillabe).
L’esposizione
presenta alcuni dei più bizzarri e inaspettati soggetti figurativi ricorrenti
nelle collezioni medicee che tra Cinquecento e Settecento, trovarono
significative, e talvolta curiose, rappresentazioni artistiche. Si tratta di
scene cosiddette ‘di genere’, un universo figurativo che nella acclarata
gerarchia della pittura barocca, permetteva di illustrare, spesso anche con
intenti morali o didascalici, diversi aspetti comici della vita sociale e di
corte, quei temi ritenuti, cioè, altrimenti bassi e privi di decoro, indegni di
una pittura alta, di soggetto sacro, mitologico o storico.
Le opere
selezionate, circa una trentina, provengono per la massima parte dai depositi
della Galleria Palatina e dalla Galleria delle Statue e delle Pitture (entrambe
facenti parte della Galleria degli Uffizi), e presentano al visitatore
personaggi marginali e devianti come buffoni, contadini ignoranti o grotteschi,
nani e praticanti di giochi tanto leciti che illeciti. Nella società
apparentemente immobile dell’antico regime, cui danno volto nelle sale di Pitti
i ritratti dei granduchi e dei gentiluomini della corte, la pittura ‘di genere’
diviene strumento critico che permette di attingere, attraverso l’arte, alla
più variegata realtà del mondo.
Un
campionario variopinto, quanto inaspettato, di personaggi della corte medicea,
incarna l’ambivalente mondo della buffoneria, della rusticitas e del gioco. Sono spesso personaggi realmente vissuti,
cui erano demandati l’intrattenimento e lo svago dei signori, antidoto alla
noia sempre in agguato tra le maglie del rigido cerimoniale spagnolesco.
Così dimostrano il grottesco più sgradevole del Nano Morgante del Bronzino e, all’opposto, la leziosità cortigiana dei Servitori di Cosimo III de’Medici.
La comicità
di questi soggetti, non esente nel profondo anche da risvolti drammatici o
almeno malinconici, si declina nei buffoni di professione, qui rappresentati
nei tre tipi: della parola – abilissimi nelle acrobazie verbali e nelle
improvvisazioni di
spirito-;
del fisico – l’anomalia degli acondroplastici e dei deformi -; e, infine, della
devianza mentale come il Meo Matto di
Giusto Suttermans.
Considerati
alla stregua di giocattoli viventi, di meraviglie della natura degne di una
Wunderkammer, ma anche accorti consiglieri dotati di speciali licenze rispetto
all’etichetta della corte, questi buffoni, nani, giocolieri dotati di speciali
licenze rispetto all’etichetta della corte, questi buffoni ricordati per
imprese (e talvolta misfatti) che li inseriscono come persone reali nella vita
della corte, la cui biografia può esser tratteggiata con sapienti dettagli, e
di molti si può chiarire l’alto spessore umano e culturale. La posizione dei
buffoni, a metà strada tra il divertimento e la coscienza parlante del signore,
li eleva a protagonisti di un’arte giocosa e bizzarra, che permette anche
all’artista felicissime libertà espressive: e valgano da esempio i ritratti del
nano Morgante di Bronzino e Valerio Cioli,
i caramogi nelle Stagioni di Faustino Bocchi, il Meo Matto di Suttermans e tanti altri presenti nella mostra, oltre alle figure silvane o occupate in strane attività che spuntano inaspettate tra le siepi del Giardino di Boboli.
Partecipano
inoltre alle buffonerie alcuni rustici, come la vecchia in abito di nozze,
patetica corteggiatrice di un giovane garzone, smascherata da un nano
impietosamente arguto in un quadro bellissimo della fine del Seicento, ma di
incerta attribuzione, o come la contadina Domenica dalle Cascine, raffigurata
dal Sutterman- ritrattista ufficiale dei granduchi – nel quadro omonimo, che
risulta saltuariamente stipendiata dalla corte per prestazioni da “buffone”.
Appartengono
invece al mondo della buffoneria di mestiere Alberto Tortelli e Giuliano
Baldassarini raffigurati da Nicolò Cassana in veste venatoria, sospesi
dunque tra il piano figurativo dell’ambientazione arcadica, non altrimenti
qualificati
di segni
allusivi al ruolo svolto a corte, e quello della verità biografica che ce li
restituisce al mestiere di addetti al divertimento del gran principe
Ferdinando.
Della serie
dei servitori fa parte anche il magnifico quadruplice ritratto di Servi della corte medicea con cui Anton
Domenico Gabbiani offre una sorta di regesto di forme e temi, qui antologizzati
nel bizzarro campionario di personaggi – tra cui un nano, un gobbo, un moro –
tutti realmente documentati come ‘prestatori d’opera’, servile o buffonesca, a
palazzo.
Tra gli
svaghi un posto non meno trascurabile di quello occupato dai suscitatori del
riso avevano i giochi, nelle molteplici fattispecie di quelli di parola, da
tavolo – in particolare le carte -, e quelli propriamente fisici. Non mancano
testimonianze pittoriche, oltre che letterarie, di svariati personaggi di corte
intenti all’esercizio di un gioco ginnico, come l’enigmatico Ritratto di giocatore con palla.
Lo scenario
meno lecito ed aulico dello svago, l’equivoca taverna ai margini dei ‘regolari’
confini della società, esercita una fascinazione sulla corte che ne ricerca e
ne acquisisce le rappresentazioni alle proprie collezioni, come nel Suonatore di chitarra, riconducibile al
Maestro dell’Incredulità di San Tommaso (alias
Jean Ducamps ?), in cui il giocatore/ musico squaderna senza pudore sul
tavolo, cui si appoggia, i proibitissimi dadi e un mazzo di carte.
Le forme del
comico si costruiscono dunque, nel percorso che si propone, per via del
contrappunto tra norma e difformità, regola e sproporzioni, registro alto e
sregolatezza. In questo gioco di (s)proporzioni, il brulicante e frenetico
affollarsi di affaccendatissimi pigmei in alcune opere di Faustino Bocchi, tra
cui il corteo de La mascherata di gnomi
(il gatto Mammone) e le minuscole nudità de I Nani al bagno
immerse
nella vacuità d’abisso notturno della lavagna su cui sono dipinte, rappresenta
l’esito estremo della grammatica delle distorsioni, in cui il bresciano fu
maestro.
Non manca nemmeno il lampo demoniaco che la società attribuiva spesso,
con enorme crudeltà, alla natura deforme nell’inquietante Banchetto grottesco
di creature
più o meno umane e fornite di corna e nello straordinario musical infernale di Orfeo nell’Ade di Joseph Heintz il
giovane dove caramoggi e nani ballano su uno scalone da fare invidia al miglior
palcoscenico di Broadway.
Maria Paola
Forlani
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