Nella mente di Vincenzo Scamozzi
Un
intellettuale Architetto al tramonto del Rinascimento
Vincenzo
Scamozzi (1548-1616) inaugura una nuova strada: è il primo architetto del
Cinquecento a formarsi attraverso lo studio e una propria biblioteca personale.
Di famiglia benestante, il giovane Vincenzo cresce a contatto con l’ambiente
erudito dell’Accademia Olimpica e del seminario di Vicenza e, a quanto pare,
frequenta Roma le lezioni del matematico gesuita Cristoforo Clavio. L’esito è
inevitabilmente una architettura che nasce più dalla testa che dalla mano
dell’autore, frutto di una visione teorica rigorosa, che non si nutre più del
rapporto con la sola architettura romana antica, ma si allarga ad assorbire
conoscenze provenienti da altre culture e dai nuovi fermenti scientifici del
Veneto di Gallileo Gallilei.
Alla
peculiare “forma mentis” di Scamozzi, al suo modo di acquisire, strutturare,
rendere accessibili le conoscenze e quindi di usarle per generare architettura
è dedicata una mostra, Nella mente di
Vincenzo Scamozzi. Un intellettuale architetto al tramonto del Rinascimento curata
da Franco Barbieri, Guido Beltramini, Kate Isard e Werner Oechslin.
Scamozzi è
molto giovane quando comincia a raccogliere libri e manoscritti.
Ha ventuno
anni quando acquista la sua prima copia vetruviana, a cui progressivamente
aggiunge manoscritti di Francesco di Giorgio
e Leonardo e una nutrita collezione di testi a stampa, purtroppo
dispersa alla sua morte nel 1616.
Della entità
della biblioteca scamozziana rendono conto una ventina di volumi
finora
individuati fra Europa e Americhe, e rimandi a volumi oggi perduti contenuti
nelle annotazioni vergate sui superstiti.
Scamozzi fa infatti un uso intensivo
degli esemplari che possiede, appuntandoli, sottolineandoli o integrandoli con
nuove osservazioni. Nel caso di un esemplare dei cinque libri d’architettura di
Serlio del 1551, apparso sul mercato antiquario parigino, giunge ad applicare
accanto alle colonne di testo delle piccole lingue di carta ripiegabili, su cui
annota le proprie osservazioni. Sono Tracce di una lettura implacabile in cui
Scamozzi ingaggia un corpo a corpo con l’autore, di cui fa le spese anche il
celebre De Architectura di Vitruvio,
che Scamozzi dichiara di aver letto tre volte, come scrive su un esemplare oggi
alla Biblioteca Vaticana: <<la prima udito, la seconda goduto, la terza
giudicato>>.
Alla fase della acquisizione segue l’organiz
zazione
delle informazioni tramite delle vere e proprie “schede” manoscritte, di cui in
mostra sono esposte un gruppo inedito, dedicato ai testi latini. L’accesso
sistematico ai contenuti è una possibilità che Scamozzi offre anche ai propri
lettori, elaborando degli indici organizzati per temi, sia per l’edizione di
Serlio del 1584 sia per il proprio trattato l’idea dell’architettura universale, stampato a Venezia nel 1615.
Ma perché
questo accumulo? <<Palladio va a testoni>> scriverà sprezzante
Scamozzi, marcando la propria differenza dal campione della generazione
precedente. Non si tratta di invidia professionale, quanto di un cambiamento
radicale di scenario e prospettive. Il mondo era cambiato in fretta, tra il
nuovo clima religioso dopo il Concilio di Trento, l’aggressività del Turco nel
Mediterraneo, la devastante peste degli anni Settanta.
Scamozzi deve fare i
conti con questi mutamenti e cercare nuove strade, anche allargando i confini
della propria disciplina. Viaggia per l’Europa e, primo fra gli architetti
rinascimentali, guarda con interesse all’architettura gotica: in mostra è
esposto uno stupefacente taccuino di viaggio in cui Scamozzi ridisegna
planimetrie ed elevati delle cattedrali che incontra lungo la strada fra Parigi
e Venezia nell’anno 1600.
Ma
l’architettura deve farsi scienza, a partire da uno studio razionale della
illuminazione naturale all’interno degli edifici, che in una celebre incisione
pubblicata nell’idea è definita con
la precisione scientifica di un trattato di ottica.
Ѐ vero per interventi a piccola scala, come l’illuminazione di una
scultura di Sansovino nella cappella del Doge in Palazzo Ducale, forse il primo
progetto
Illuminotecnico
moderno, che aprirà la strada alle camere di luce barocche.
Ma è vero anche per
la grande scala del Duomo di Salisburgo, in un progetto non realizzato e
rimasto su un foglio, che rientrato eccezionalmente in Italia per la mostra,
proveniente dal Canadian Centre for Architecture di Montreal.
Certo Scamozzi
non farà il passo definitivo, quello di Guarini per intenderci, secondo il
quale l’architettura è una equazione matematica. Vede l’arrivo dei tempi nuovi,
ma non riesce del tutto a liberarsi della tradizione precedente e rimane per
così dire, sospeso tra due mondi.
Scamozzi è,
dunque, l’ultimo dei grandi architetti del Rinascimento, stretto fra la
tradizione trionfale della generazione di Palladio e il nuovo mondo di Gallileo
Galilei.
Cerca una
propria dimensione in una versione dell’architettura come pratica razionale,
attenta agli aspetti funzionali, all’economia dei mezzi, ma anche a un nuovo
rapporto con il paesaggio, producendo capolavori come la Rocca Pisana di
Lonigo, il teatro di Sabbioneta, le Procuratie Nuove in piazza San Marco a
Venezia.
Maria Paola
Forlani
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