Frank Lloyd Wright
Tra America e Italia
Si è aperta
a Torino, fino al 1 luglio, la mostra Frank Lloyd Wright tra America e Italia, nella
sede della Pinacoteca Agnelli, a cura di Jennifer Gray. Attraverso fotografie,
oggetti, cataloghi, litografie e disegni originali, la mostra esplora il
pensiero di Wright in merito all’architettura organica, a partire dal suo primo
soggiorno in Italia nel 1910 fino alla sua ultima visita nel 1951, portando l’accento
sul suo coinvolgimento nel dibattito architettonico, urbanistico e
paesaggistico italiano.
L’occasione
del primo viaggio di Wright in Italia nel 1910 fu sia personale che
professionale. Durante i mesi trascorsi a Firenze e Fiesole, Wright lavorò a un’importante
pubblicazione sulla sua opera che sperava lo avrebbe aiutato a diffondere le
sue idee a un pubblico più vasto. Conosciuto come porfolio Wasmuth
dal nome
dell’editore berlinese, il libro conteneva oltre un centinaio di litografie con
dettagli in inchiostro dorato e colori pastello.
Fiesole fu anche il rifugio
per Wright: dopo aver abbandonato la famiglia per l’amante e anima gemella
Mamah Borthwick Cheney, la coppia trovò intimità e conforto nella città
collinare italiana. Wright scrisse delle loro lunghe passeggiate per le strade
e le terrazze che si affacciano sulla valle sottostante. “Nessun edificio veramente italiano è a disagio in Italia […] collocato in modo
naturale come le pietre, gli alberi e i declivi dei giardini che costituiscono
un tutt’uno con esso”.
L’esperienza
toscana diventa centrale in questo momento della sua vita, perché oltre a
offrire una parentesi di pace e serenità personale, rappresenta la scoperta del
nostro paesaggio e del Rinascimento che incideranno sottilmente su una sua
visione dell’architettura che già aveva offerto prove di grande maturità,
aprendo la strada a un’idea di modernità originale che avrebbe pesantemente
influenzato il dibattito internazionale nei decenni a seguire.
Lungo tutto
il secolo appena passato l’Italia è stata uno di quei luoghi in cui alcuni
architetti moderni hanno cercato ispirazione e contatto con quei caratteri
originali necessari a sognare opere per un tempo nuovo quasi a dispetto di
un’ideologia della modernità che predicava il grado zero e l’annullamento di
ogni tradizione.
La mostra
torinese presenta un percorso costruito in sei sezioni tematiche che si
concludono con il secondo, importante passaggio del maestro americano in Italia
in occasione del grande evento dedicato al suo lavoro nel 1951, a Firenze
presso Palazzo Vecchio.
L’Italia e
molti degli intellettuali e autori profondamente influenzati dall’opera di
Wright, diventano un’originale chiave di lettura per ripensare il pensiero e il
lavoro di questo <<campione>> americano che sedusse l’Europa
attraverso un ideale <<organico>> di architettura moderna che mutò
radicalmente lo sguardo delle nuove generazioni di architetti.
L’esposizione
torinese è un’importante occasione per osservare da vicino una serie di
progetti originali che raccontano uno dei disegnatori d’architettura più
talentuosi e visionari del ’900, ma anche per riprendere contatto con quelle
opere che diedero forma concreta a una visione coraggiosa, marcata da un forte
individualismo e della possibilità di costruire ambienti moderni, armoniosi e
in diretto contatto con la natura.
Intuizione
che si concretizzò inizialmente nella famosa serie delle <<Praire
House>>, abitazioni moderne costruite soprattutto nella periferia
residenziale di Chicago all’inizio del ’900, in cui linea orizzontale della
casa, paesaggio circostante e spazi interni si fondono in un’unica visione.
Quest’intuizione
diventa il vero contributo originale americano alla cultura figurativa del ‘
900, e rappresenta l’alternativa a una lettura industriale, meccanizzata e
standardizzata del Movimento moderno che si stava affermando in Europa,
garantendo la possibilità di un dialogo originale tra essere umano, natura,
progresso e forme dell’ambiente.
L’ideale
<<organico>> portato avanti da Wright si oppone a quella che Le
Corbusier definisce come <<la macchina per abitare>>, producendo
effetti importanti in Italia e nel Nord Europa a partire soprattutto dal
secondo dopoguerra. Quello che impressiona nel lungo percorso creativo di
questo maestro dell’architettura moderna è la capacità di modellare
coerentemente le opere progettate intorno a una visione radicale che non cerca
mediazioni come la Casa sulla Cascata del 1934, agli uffici per la Johnson Wax
del 1936 o il Guggenheim Museum a New York realizzato tra il 1943 e il 1959.
Si tratta
d’icone che ebbero un peso enorme sulla cultura europea e italiana del secondo
dopoguerra che cercava opere moderne capaci di rappresentare la misura
dell’uomo e costruire un dialogo inedito con il paesaggio naturale. Figure
centrali come quella di Bruno Zevi, fondatore dell’Associazione per
l’Architettura Organica (APAO) e uno degli intellettuali centrali nella cultura
italiana post-fascista, Giancarlo De Carlo, Carlo Scarpa e Giuseppe Samonà,
architetti e professori raccolti nella facoltà di Architettura di Venezia, sono
tra gli autori maggiormente influenzati dal lavoro di Wright e ambasciatori
della sua visione.
La mostra
del ‘ 51 a Firenze è una delle tappe di un tour europeo che raccontava Wright
come il campione delle libertà individuali e dell’American Way of Life in un
clima montante da Guerra fredda. Ma la tappa italiana diventa un momento
importante di ritorno alle origini e di messa a punto di una linea culturale
ormai condivisa. Da Firenze Wright si sposta a Venezia dove accetta l’incarico
per la progettazione del Memoriale Masieri, un piccolo palazzo sul Canal Grande
che viene progettato ma non sarà mai costruito. Un sogno italiano di modernità
nel cuore della Laguna che rimane uno sei lasciti più emozionanti dell’opera di
un autore che ha insegnato alla modernità a riconciliarsi con Madre Terra.
Maria Paola
Forlani
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