Ketty
La
Rocca 80
Gesture,
speech
and word
La Biennale Donna è tornata al Padiglione
d’Arte Contemporanea di Ferrara, fino al 3 giugno, con una mostra dedicata a (Gaetana) Ketty La Rocca (La
Spezia, 1938 – Firenze, 1976), protagonista dell’arte italiana degli anni
Sessanta e Settanta, al centro di un vivo crescente interesse internazionale.
A quasi
vent’anni dall’ultima mostra antologica in Italia e a ottant’anni dalla
nascita,
Ketty La Rocca 80.
Gesture, speech and word, a cura di Francesca Gallo e Raffaella Perna (catalogo
Cartografica) e realizzata in collaborazione con l’Archivio Ketty La Rocca di
Michelangelo Vasta, raccoglie una vasta selezione di opere basate sul rapporto
tra linguaggio verbale e corpo, fulcro della poetica dell’artista.
Le prime opere
di Ketty La Rocca sono riconducibili all’interno della poetica della poesia
visiva portata avanti negli anni sessanta dal Gruppo 70 a Firenze.
Successivamente l’artista si confrontò pionieristicamente con le tecniche
espressive più avanzate della sua epoca, quali il videotape, l’istallazione e
la performance. Si concentrò infine sul linguaggio del corpo e sul gesto
arrivando a servirsi delle radiografie del suo cranio e della sua stessa
grafia.
La sua
ricerca ultima, vicina all’arte concettuale, approdò alle Riduzioni in cui le immagini vengono ricondotte, per graduale
trasfigurazione, a segni astratti.
Inizia il
suo percorso artistico lavorando nell’ambito della “poesia visiva”, analizzando
lo stereotipo femminile offerto dai media e dalla pubblicità. La sua è
un’interpretazione ironica ma allo stesso tempo tagliente, l’artista si
concentra sulle parole e su i segni, realizzando una sorta di collage.
La poesia
visiva, nasce da tutte quelle sperimentazioni artistiche e letterarie compiute
nel clima delle Neoavanguardie, a partire dall’inizio degli anni sessanta. La
poesia visiva che ha visto La Rocca come esponente esemplare, pone in un unico
contesto le potenzialità espressive della parola in relazione all’immagine.
Ideatori e
protagonisti sono stati i fiorentini Eugenio Miccini e Leonardo Pignotti che
formarono il Gruppo 70, al quale
successivamente prenderanno parte Lucia Marcucci, Anna Oberto, Martino Oberto,
Luciano Ori, Mirella Bentivoglio, Giuseppe Chiari, Emilio Isgrò, Michele
Perfetti, Sarenco, Magdalo Mussio, Ugo Carrega, Roberto Sanesi, Adriano
Spatola, Vincenzo Ferrari, Gianfranco Barucchello e la stessa Ketty La Rocca.
I poeti
visivi si rendono conto che sia la letteratura sia l’arte stavano utilizzando
un linguaggio eccessivamente lontano da quello comune, decidono così, per
colmare questa distanza, di creare un moderno volgare, il cui lessico proviene
dall’ambito della comunicazione di massa, cioè dai quotidiani, dai rotocalchi,
dalla pubblicità e dai fumetti. Ѐ una forma d’arte alquanto discussa e
sono stati in molti gli artisti a praticarla, si tratta di quell’arte che
riusciva a comunicare tramite la fusione tra immagini e parole miscelate con
una sorta di collage, e capaci di dare messaggi profondi e forti, che vanno al
di là delle parole, ma anche al di là dell’immagine intesa come forma d’arte.
Attraverso
la poesia visiva La Rocca cerca di decontestualizzare i segni e le parole, ed è
proprio dal segno decontestualizzato che nasceranno le lettere giganti e le
punteggiature, eleganti monogrammi in pvc nero che escono dalla pagina scritta
per estendersi nello spazio e attribuiscono all’immagine un valore privilegiato
rispetto al testo.
Parallelamente
segue il suo interesse per forme di comunicazione di massa, allora nella fase
embrionale e di più ampio respiro rispetto ai circuiti ristretti
dell’avanguardia: fu consulente di due trasmissioni televisive Nuovi alfabeti e Le mani, destinati alla comunicazione per sordomuti.
Una sorta di
fusione tra linguaggio gestuale e testo viene ulteriormente messo in evidenza
dalla performance del 1975, Le mie parole
e tu, dove a un testo sintatticamente perfetto, ma privo di qualsiasi
significato, letto dall’artista, si contrappone l’allocuzione intima, vocativa,
accusatoria “tu”, “you”, pronunciata dagli studenti, spettatori.
Ketty si
mostra esemplare nell’utilizzare e nel miscelare i più svariati media:
dall’iniziale interesse per il collage poetico-visivo, passando per la
fotografia, il libro d’artista e infine il video. Il suo lavoro si pone così in
un punto di connessione e di passaggio fra le ricerche primo-novecentesche di
un’arte totale e le attuali pratiche multimediali.
Il suo
lavoro va letto in maniera più esplicita, l’artista non fa altro che tentennare
continuamente tra passato, presente e futuro e rende la ricerca ricca di
sfaccettature di vario genere, ma nonostante ciò riesce sempre ad essere in
grado di non strafare.
L’attenzione
che La Rocca aveva per la comunicazione di tipo gestuale, ad esempio, affidata
al movimento delle mani, è alla base di molti lavori e del video Appendice per una supplica del 1969,
emblematici esempi delle numerose declinazioni del suo universo creativo, ricco
di ideologie e teorie. Colpisce inoltre l’attualità del suo messaggio. Ketty si
sofferma sul dilagare delle informazioni e riflette tramite la sua opera
sull’alienazione dell’individuo.
Il percorso
artistico di Ketty non è altro che un lavoro che va a ritroso, iniziando a
lavorare sulle parole e passando per il significato di ogni singola lettera,
per poi arrivare ad esprimersi solo attraverso le gestualità delle mani, capaci
di parlare con estrema immediatezza. In tutta la sua ricerca non farà altro che
condurre un percorso che rimbalza continuamente tra l’io e il tu, studi che
rendono la sua arte unica nel suo genere.
La mostra si
muove su un doppio binario, tematico e cronologico: opere di anni diversi sono
raccolte attorno al polo della parola, centrale nella fase verbovisiva e quello
del gesto, che invece domina la produzione del decennio successivo.
Insieme a
una selezione di circa cinquanta opere scelte tra le più rappresentative delle
varie serie dell’artista – dai collage verbovisivi ai cartelli, dai videotape
alle sculture sagomate, delle Riduzioni alle
Craniologie – l’esposizione propone
inoltre alcuni progetti, opere e materiali documentari mai esposti prima in
Italia, come ad esempio la documentazione dell’azione Verbigerazione (1973), realizzata nell’ambito della X Quadriennale
d’Arte di Roma, recentemente ritrovata nell’archivio dell’ente romano, e
l’audio originale della performance Le
mie parole, e tu? (1975). Inoltre, è presente un progetto mai realizzato: In principio erat verbum,
un
gioco-performance che ribadisce l’interesse di La Rocca per la comunicazione
gestuale.
Maria Paola
Forlani
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