Genovesino
E Piacenza
A Piacenza
si è aperta la mostra Genovesino a Piacenza, fino al 10
giugno 2018, nei locali di Palazzo Galli, nata, non solo sulla scorta del
successo della fortunata monografica di Cremona, la prima mai dedicata a Luigi Miradori detto il Genovesino (Genova ?, 1605 – 1610 –
Cremona, 1616), ma come esposizione di grande personalità nel percorso e nella
rivalutazione dell’artista.
Infatti, nonostante, il ridotto numero di opere presenti (una ventina, su due sale), la rassegna piacentina s’impone come mostra dotata di una propria autonomia, e tesa a far luce su almeno tre argomenti principali. Il primo riguarda la presenza del Genovesino a Piacenza. Il secondo è la persistenza dei rapporti con Piacenza dopo il trasferimento del Genovesino a Cremona, che decretò il successo del pittore.
Il terzo è il legame tra pittura e l’incisione nella produzione dell’artista d’origini liguri, ma lombardo d’adozione.
I curatori, gli stessi della mostra cremonese, (Francesco Frangi, Valerio Guazzoni e Marco Tanzi), offrono delle chiare indicazioni circa il titolo scelto per la rassegna: non Genovesino a Piacenza, bensì Genovesino e Piacenza, perché “ la congiunzione”, scrivono in catalogo, “lascia immediatamente intuire che le riflessioni sui rapporti del pittore con la città emiliana non si possono concentrare sul tempo breve del suo soggiorno”, perché troppo scarne sono le informazioni sull’effettiva presenza a Piacenza di Luigi Miradori, e perché il rapporto con la città proseguì anche dopo il trasferimento in Lombardia.
Genovesino
appare pittore abbastanza agevole da riconoscere dal punto di vista dello
stile, quanto difficoltoso nella costruzione di una sequenza cronologica
inequivocabile per quanto riguarda le opere non datate: la varietà dei registri
espressivi messi in campo appare infatti particolarmente articolata e ondivaga,
tanto che l’artista nel corso di uno stesso anno può firmare dipinti molto
diversi l’uno dall’altro, risultando spesso spiazzante.
Ѐ da sottolineare con maggiore determinazione nella produzione genovese, e
in particolare nel San Sebastiano curato
da Irene dell’Annunciata di Pretoria, oltre all’influsso di Simon Vouet,
anche quello – soprattutto nella bellissima invenzione del corpo del santo che
taglia in diagonale la tela – di Domenico Fiasella e di opere come la Morte di Melagro presso l’Accademia
Linguistica. Risulta poi più chiara, sia in quest’opera che nella Suonatrice di liuto di Palazzo Rosso la
precoce fascinazione dello stile di Domenico Feti, che appare già accesa, anche se messa in relazione con
momenti più avanzati della carriera del Miradori.
Sembra
invece meno scontata e seducente l’attenzione dimostrata per momenti e
protagonisti del classicismo emiliano di primo Seicento, da Guercino – del
quale – “adultera”, dichiarandolo,
l’invenzione nella Decollazione di San
Paolo – a Guido Reni, modello per la Madre
ebrea e la Zenobia; ma anche a
personaggi che, nelle gerarchie attuali, potrebbero essere considerati, a torto
degli outsider, come il modenese
Bartolomeo Schedoni nei suoi anni farnesiani, la cui influenza sulla pittura
padana è più diramata e capillare di quanto finora accertato.
Emerge poi
emblematico, dopo gli stenti degli esordi sotto la Lanterna e a Piacenza, il
formidabile cambio di passo, di rotta e, soprattutto, di fortuna avvenuto a
Cremona: è significativo che nello stesso giro di anni – i primi nella città
lombarda – riesca subito ad assorbire un’enorme fetta di mercato che comprende
sia gli ordini religiosi e i personaggi più in vista dell’aristocrazia, non
solo strettamente locale, ma anche un notabilato di media schiera. Esemplare a
questo proposito il fatto che, più o meno nello stesso momento, ritragga uno
dei personaggi più importanti della Milano seicentesca, Teodoro Trivulzio, e
realizzi una pala d’altare “spagnolissima” per la vedova di un notaio di
Castellone che aveva fatto carriera negli uffici dell’amministrazione dello
stato.
I
<<frutti diversi, li quali formano una specie di ghirlanda>> aprono
un altro tratto della vicenda di Genovesino: la rassegna degli inventari
settecenteschi consegna un numero ingente di dipinti con <<frutta e
regali>> e altro ancora ci si imbatte in <<vasi de fiori
naturali>>, <<delli animali>>, <<fiori diversi>>,
vari <<paesi>>. Esiste quindi una produzione sommersa di nature
morte del Genovesino, dipinti con frutta, fiori e paesaggi: per trovarne alcuni
inseriti che diano il polso della maestria in questi generi giova quindi
rimandare, ad esempio, al Ritratto del
bambino già Cook, dove fanno bella mostra di sé, sul capitello di marmo
sbrecciato, alcune mele e un grande cedro giallo oro come il giubbetto del
ragazzino.
Suggestiva è
la Sacra Famiglia (collezione
Giambattista Riccardi, Piacenza).
La scena è
ambientata in prossimità di un contesto architettonico appena accennato, in una
luce di crepuscolo che colora di toni rosati il cielo e il paesaggio collinare
rapidamente tratteggiato sullo sfondo. La Vergine si sporge dalla sedia
tendendo le mani al Figlio che avanza traballante verso di lei; in secondo
piano Giuseppe si appoggia al bastone e guarda la scena con orgoglio. Ai suoi
piedi una cesta di vimini con strumenti del cucito illustra l’occupazione
quotidiana di Maria, mentre in basso a sinistra due conigli, uno bianco e uno
nero, sostano in prossimità di un calamaio e di alcuni frammenti di penna. A
destra, invece, la culla è coperta da un panno rimboccato che termina in
corrispondenza del cartiglio con firma e data e che riporta l’iscrizione
<<Aloysius Miradori, pinsit, 1639>>.
Nel percorso
espositivo di grande suggestione è l’Adorazione
dei Magi (Parma, Galleria Nazionale). I personaggi di quest’opera quasi
s’incastrano l’uno con l’altro nello spazio compresso della tela: forte è il
contrasto tra le vesti sobrie della Madonna seduta su un sacco o del San
Giuseppe che si china sotto il tetto sbrecciato, rispetto alla parte destra
della tela in cui il corteo dei Magi risplende con vesti operate, bordure di pelliccia,
turbanti, cappelli, piume, armi da parata…Gesù bambino giocherella curioso con
gli ori dello scrigno mentre il Mago davanti a lui, deposto il turbante in
terra, lo contempla.
Maria Paola
Forlani
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