Miquel Barcelò.
Il
tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il fiume.
Si intitola Miquel Barcelò. Il tempo è un
fiume che mi trascina, e io sono il fiume la
prima antologica riservata esclusivamente a opere in ceramica del più
importante artista spagnolo contemporaneo, nato a Felanitx (Maiorca), nel 1957.
A cura di Irene Biolchini e Cécile Pocheau Lesterven, l’esposizione è un
progetto pensato e realizzato per il Museo internazionale delle ceramiche di
Faenza, il più grande museo al mondo dedicato alla ceramica: un connubio
perfetto fra arte e tradizione, storia e tecnica, memoria e attualità.
L’opera di Miquel
Barcelò vive di reminiscenze, di percorsi segreti, di meditazioni filosofiche e
letterarie con cui l’artista alimenta continuamente la sua immaginazione, da
ispirazioni nate dai viaggi in Malì e dalla scultura dogon, da ricordi
d’infanzia, corride, pesci e mare, tauromachie, ritratti di filosofi (Kant,
Nietzsche, Platone, Wittegenstein), pensatori (Benjamin, Deleuze) e
psicoanalisti (Lacan), autoritratti, nature morte in stile cubista, figure
femminili, il tutto fatto scorrere senza un criterio cronologico in dialogo con
le ceramiche faentine della collezione permanente del Mic.
Su tavoli che
dispiegano oltre trenta anni di produzione ceramica dell’artista maiorchino, un
piatto simbolo del museo di Faenza come La Giulia
bella è affiancato
dalle numerose donne ritratte da Barcelò e trattate come fossero <<corpi candidi e
puri come la calce con cui l’artista riveste le ceramiche (e che così da vicino
ricordano anche i “bianchi” faentini); corpi suggeriti con pochissime
pennellate di colore vivido. Rossi accesi, smalti cangianti, che si oppongono
alla terracotta dando vita a forme naturali, a florilegi,
incrostazioni>>, come scrive in catalogo Biolchini.
Ad aprire il
percorso e chiudere il percorso fatto di vasi, piatti, contenitori che sono
corpi piuttosto che oggetti funzionali (le ceramiche di Mirò e Picasso, di cui
in collezione ci sono diversi esemplari, hanno lasciato il segno), un grande
muro, inizio e fine di una storia che in realtà non ha né inizio né fine. Se
Leoncillo fu tra i primi artisti ad avere sdoganato la ceramica dipinta
facendola accettare come scultura tout court fin dagli anni Sessanta, Barcelò è
il primo artista contemporaneo che ne ha fatto uso ambientale, architettonico,
monumentale, rivestendone un’intera cappella della Cattedrale di Palma di
Maiorca o verniciando con argilla le vetrate della Biblioteca Nazionale di
Parigi. Il Mic è per certi versi il tempio mondiale del linguaggio ceramico
attraverso il tempo e quindi Barcelò a buon diritto ne può rappresentare
l’anima inconscia di chi sa dare corpo al concetto stesso di tempo e anacronismo,
utilizzando la materia come fosse colore e il colore come fosse materia,
annullando le differenze tra le tecniche artistiche senza rinnegare, ma
abbeverandosi alle fonti dei loro primordi. Come ha scritto lui stesso:<<
Allineo alcuni oggetti per ordine di antichità. Un fossile, una figura votiva
iberica, una bottiglia di Calvados. Apprezzo il risultato, però evito
accuratamente di trarre conclusioni>>. Passato e presente si fondono in
una materia nuova e primigenia.
Miquel Barcelò.
Faenza, Mic,
aperta fino al 6 ottobre
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