Quand Fondra la Neige, où ira le
blanc
Collezionismo
contemporaneo a Palazzo Fortuny
Opere dalla collezione
Enea Righi
La vocazione
espositiva di Palazzo Fortuny è costantemente animata dalla volontà di muoversi
lungo il percorso multidisciplinare che fu appannaggio dell’esperienza
artistica di Mariano Fortuny. L’esplorazione di un tema come quello del
collezionismo appare dunque perfettamente in linea con l’identità eclettica e
misteriosa dello stesso Fortuny, attento e sofisticato collezionista.
Con la
mostra “Quan fondra la neige, où ira le
blanc” – titolo “prestato” da un’opera di Rémy Zaugg -, prende vita un
articolato progetto espositivo, ideato da Daniela Ferretti, che intende
tracciare il profilo di alcune delle personalità più rilevanti del
collezionismo contemporaneo, e di conseguenza investigare come si è evoluta la
figura del collezionismo, dal Rinascimento a oggi.
Un tema di
grande attualità, che vede come primo protagonista Enea Righi, imprenditore
bolognese che in trent’anni – guidato dalla volontà di sostenere la produzione
artistica – ha plasmato una delle più importanti collezioni d’arte
contemporanea presenti nel nostro paese
Eric Mézil e
Lorenzo Paini, curatori della mostra – promossa dalla fondazione Musei Civici
di Venezia e in programma fino al 10 ottobre 2016 -, hanno selezionato un
nucleo di opere della collezione Righi partendo dalle specificità degli spazi e
dalla storia di Palazzo Fortuny, definendo alcuni dei temi più significativi
tra quelli che s’intrecciano nella collezione.
Ogni piano
di Palazzo Fortuny è stato concepito come uno spaccato del nostro tempo, un
viaggio simbolico teso verso la ricerca della propria identità. Agli artisti
attivi a partire dagli anni Sessanta e Settanta – come Alighiero Boetti, Daniel
Buren, Robert Barry, Lawrence Weiner, Enzo Mari, Superstudio e Franz Erhard
Walther – sono messi in relazione alcuni tra i più rigorosi interpreti della
ricerca artistica contemporanea internazionale – tra i quali Walter Raad,
Thomas Hirschhorn,
Philippe
Parreno, Ryan Gander, Zoe Leonard, Peter Friedl costruendo una narrativa a più
voci, capace di muoversi dalle tematiche dell’architettura e della performnce,
ai concetti di corpo e vuoto.
Ogni piano è
costruito come una tappa, un passaggio; la definizione di una prospettiva
inedita, colta nel tentativo di rintracciare un senso. Quello stesso senso
che per un
collezionista coincide spesso con la propria vita, alla ricerca – parafrasando
Zaugg – d’una traccia del bianco, dopo che la neve si sarà sciolta.
La
collezione Righi com’è proprio del più autentico collezionismo, slegato dalle
leggi del mercato e da un approccio speculativo all’arte – è divenuta
rappresentazione del mondo interiore del suo artefice, del suo sentire o più
semplicemente d’interrogativi e paure; una personalissima decodificazione del
reale, con la possibilità di leggere in controluce il riflesso del tempo e
della storia.
Nel percorso
espositivo, i temi proposti si sviluppano in modo ascendente a formare un
viaggio simbolico in bilico costante tra realtà e finzione.
Al piano
terra del museo, squarciando un quotidiano che la società vuole scintillante,
con i palloni argentati dell’opera di Philippe Parreno Speech Bubbles (Silver) e le bolle dell’esistenza attraverso le
macerie di guerre e conflitti.
Accanto alle
opere degli anni Sessanta di Alighiero Boet
ti, o degli americani Robert Longo e Martha Rosler troviamo lo sguardo e la voce degli artisti mediorientali, Kander Kattia con Open you Eyes, fa suo il soggetto tragico della Prima Guerra Mondiale; Walid Raad, racconta la guerra attraverso gli occhi sorpresi e ingenui d’un bambino. Il culmine è nell’opera dello svizzero Thomas Hirschorm Break – through (Three): un’allegoria dei disastri della guerra simula il soffitto sventrato di Palazzo Fortuny dopo un bombardamento.
ti, o degli americani Robert Longo e Martha Rosler troviamo lo sguardo e la voce degli artisti mediorientali, Kander Kattia con Open you Eyes, fa suo il soggetto tragico della Prima Guerra Mondiale; Walid Raad, racconta la guerra attraverso gli occhi sorpresi e ingenui d’un bambino. Il culmine è nell’opera dello svizzero Thomas Hirschorm Break – through (Three): un’allegoria dei disastri della guerra simula il soffitto sventrato di Palazzo Fortuny dopo un bombardamento.
Sarà compito
dei lavori di Gino de Dominicis – che rimandano all’idea dell’immortalità
insita nel concetto stesso di collezione – esorcizzare la morte.
Dopo la
parantesi del mezzanino, con l’idea della solitudine dell’uomo d’oggi,
sviluppata dai lavori del tedesco Franz Erhard Walter, si sale; ed è la fatica
nella conquista della propria identità al centro dei dialoghi innestati dai
curatori tra le opere della collezione Righi e la casa atelier di Mariano
Fortuny, al piano nobile del palazzo.
Identità
interiore sessuale, con le sue estensioni al concetto di amore di cui si
rappresentano le molteplici declinazioni nelle differenze – sia come percorso personale
che sociale o politico – ma anche la ferocia e il concetto d’eternità.
Di People di Dorothy Iannone, delle Faccine di Alighiero Boetti (la prsenza
di questo artista è una costante in tutto il percorso espositivo) si passa alle
suggestioni di Cy Twombly, Jana Stebak, Candida Hӧfer, Berlinde De Bruyckere, Markus
Schinwald, Victor Man, Joan Jonas, Yann, Sérandour, Anna Mendieta:
fino alle
provocazioni di Nan Goldin, ai Self
Portrait of you + Me di Duglas
Gordon, con i volti bruciati dei miti di Hollywood; all’opera sconcertante 100 Jahre di Hans-Peter Feldman che, in
101 ritratti fotografici in bianco e nero, mostra l’inesorabile scorrere del
tempo e la fugacità dell’esistenza delle poche settimane di vita ai cent’anni;
o – ancora – al mito dell’eterno amore tra Adriano e Antinoo nell’opera di
Francesco Vezzoli, che ritrae sé stesso nel volto dell’imperatore.
Il percorso
fattosi già intimo al piano nobile – costellato anche in tanti libri d’artista
che connotano in modo particolare la collezione di Enea Righi e che
arricchiscono anche gli ambienti successivi, sintesi estrema di riflessione
sull’arte – si rarefà ulteriormente al secondo piano, ove si dà spazio
all’architettura utopistica, alla ricerca del mondo come dovrebbe essere e ai
grandi esponenti dell’architettura radicale. Fino all’ultimo piano, dove Carlos
Garaicoa e il suo grande tappeto che riprende la scritta El Pensamiento apre la sala accanto all’opera neon di Peter Friedl:
Io posso trovare fantasie dove non
c’è nessuno.
Ecco: è
forse nell’idea, nel pensiero, che la metafora della caducità della neve trova
la sua risposta: ciò che può sopravvivere è l’eredità spirituale racchiusa in
questa e nelle altre collezioni. Così che il bianco resti abbagliante nei
luoghi dello spirito.
Maria Paola
Forlani
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