sabato 4 giugno 2016

COLLEZIONISMO CONTEMPORANEO A PALAZZO FORTUNY

Quand Fondra la Neige, où ira le blanc

Collezionismo contemporaneo a Palazzo Fortuny
Opere dalla collezione Enea Righi



La vocazione espositiva di Palazzo Fortuny è costantemente animata dalla volontà di muoversi lungo il percorso multidisciplinare che fu appannaggio dell’esperienza artistica di Mariano Fortuny. L’esplorazione di un tema come quello del collezionismo appare dunque perfettamente in linea con l’identità eclettica e misteriosa dello stesso Fortuny, attento e sofisticato collezionista.


Con la mostra “Quan fondra la neige, où ira le blanc” – titolo “prestato” da un’opera di Rémy Zaugg -, prende vita un articolato progetto espositivo, ideato da Daniela Ferretti, che intende tracciare il profilo di alcune delle personalità più rilevanti del collezionismo contemporaneo, e di conseguenza investigare come si è evoluta la figura del collezionismo, dal Rinascimento a oggi. 

Un tema di grande attualità, che vede come primo protagonista Enea Righi, imprenditore bolognese che in trent’anni – guidato dalla volontà di sostenere la produzione artistica – ha plasmato una delle più importanti collezioni d’arte contemporanea presenti nel nostro paese
Eric Mézil e Lorenzo Paini, curatori della mostra – promossa dalla fondazione Musei Civici di Venezia e in programma fino al 10 ottobre 2016 -, hanno selezionato un nucleo di opere della collezione Righi partendo dalle specificità degli spazi e dalla storia di Palazzo Fortuny, definendo alcuni dei temi più significativi tra quelli che s’intrecciano nella collezione.

Ogni piano di Palazzo Fortuny è stato concepito come uno spaccato del nostro tempo, un viaggio simbolico teso verso la ricerca della propria identità. Agli artisti attivi a partire dagli anni Sessanta e Settanta – come Alighiero Boetti, Daniel Buren, Robert Barry, Lawrence Weiner, Enzo Mari, Superstudio e Franz Erhard Walther – sono messi in relazione alcuni tra i più rigorosi interpreti della ricerca artistica contemporanea internazionale – tra i quali Walter Raad, Thomas Hirschhorn,
Philippe Parreno, Ryan Gander, Zoe Leonard, Peter Friedl costruendo una narrativa a più voci, capace di muoversi dalle tematiche dell’architettura e della performnce, ai concetti di corpo e vuoto.

Ogni piano è costruito come una tappa, un passaggio; la definizione di una prospettiva inedita, colta nel tentativo di rintracciare un senso. Quello stesso senso
che per un collezionista coincide spesso con la propria vita, alla ricerca – parafrasando Zaugg – d’una traccia del bianco, dopo che la neve si sarà sciolta.
La collezione Righi com’è proprio del più autentico collezionismo, slegato dalle leggi del mercato e da un approccio speculativo all’arte – è divenuta rappresentazione del mondo interiore del suo artefice, del suo sentire o più semplicemente d’interrogativi e paure; una personalissima decodificazione del reale, con la possibilità di leggere in controluce il riflesso del tempo e della storia.

Nel percorso espositivo, i temi proposti si sviluppano in modo ascendente a formare un viaggio simbolico in bilico costante tra realtà e finzione.
Al piano terra del museo, squarciando un quotidiano che la società vuole scintillante, con i palloni argentati dell’opera di Philippe Parreno Speech Bubbles (Silver) e le bolle dell’esistenza attraverso le macerie di guerre e conflitti.
Accanto alle opere degli anni Sessanta di Alighiero Boet
ti, o degli americani Robert Longo e Martha Rosler troviamo lo sguardo e la voce degli artisti mediorientali, Kander Kattia con Open you Eyes, fa suo il soggetto tragico della Prima Guerra Mondiale; Walid Raad, racconta la guerra attraverso gli occhi sorpresi e ingenui d’un bambino. Il culmine è nell’opera dello svizzero Thomas Hirschorm Break – through (Three): un’allegoria dei disastri della guerra simula il soffitto sventrato di Palazzo Fortuny dopo un bombardamento.

Sarà compito dei lavori di Gino de Dominicis – che rimandano all’idea dell’immortalità insita nel concetto stesso di collezione – esorcizzare la morte.
Dopo la parantesi del mezzanino, con l’idea della solitudine dell’uomo d’oggi, sviluppata dai lavori del tedesco Franz Erhard Walter, si sale; ed è la fatica nella conquista della propria identità al centro dei dialoghi innestati dai curatori tra le opere della collezione Righi e la casa atelier di Mariano Fortuny, al piano nobile del palazzo.
Identità interiore sessuale, con le sue estensioni al concetto di amore di cui si rappresentano le molteplici declinazioni nelle differenze – sia come percorso personale che sociale o politico – ma anche la ferocia e il concetto d’eternità.

Di People di Dorothy Iannone, delle Faccine di Alighiero Boetti (la prsenza di questo artista è una costante in tutto il percorso espositivo) si passa alle suggestioni di Cy Twombly, Jana Stebak, Candida Hӧfer, Berlinde De Bruyckere, Markus Schinwald, Victor Man, Joan Jonas, Yann, Sérandour, Anna Mendieta:
fino alle provocazioni di Nan Goldin, ai Self Portrait of you + Me di Duglas Gordon, con i volti bruciati dei miti di Hollywood; all’opera sconcertante 100 Jahre di Hans-Peter Feldman che, in 101 ritratti fotografici in bianco e nero, mostra l’inesorabile scorrere del tempo e la fugacità dell’esistenza delle poche settimane di vita ai cent’anni; o – ancora – al mito dell’eterno amore tra Adriano e Antinoo nell’opera di Francesco Vezzoli, che ritrae sé stesso nel volto dell’imperatore.
Il percorso fattosi già intimo al piano nobile – costellato anche in tanti libri d’artista che connotano in modo particolare la collezione di Enea Righi e che arricchiscono anche gli ambienti successivi, sintesi estrema di riflessione sull’arte – si rarefà ulteriormente al secondo piano, ove si dà spazio all’architettura utopistica, alla ricerca del mondo come dovrebbe essere e ai grandi esponenti dell’architettura radicale. Fino all’ultimo piano, dove Carlos Garaicoa e il suo grande tappeto che riprende la scritta El Pensamiento apre la sala accanto all’opera neon di Peter Friedl:
Io posso trovare fantasie dove non c’è nessuno.

Ecco: è forse nell’idea, nel pensiero, che la metafora della caducità della neve trova la sua risposta: ciò che può sopravvivere è l’eredità spirituale racchiusa in questa e nelle altre collezioni. Così che il bianco resti abbagliante nei luoghi dello spirito.


Maria Paola Forlani

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