Splendida Minima
Piccole
sculture preziose nelle Collezioni Medicee
Dalla
Tribuna di Francesco I al Tesoro Granducale
Si è aperta
fino al 2 novembre a Palazzo Pitti la mostra Splendida minima. Piccole sculture preziose nelle collezioni Medicee
dalla Tribuna di Francesco I al tesoro Granducale, a cura di Valentina
Conticelli, Riccardo Gennaioli e Fabrizio Paolucci
(catalogo
Sillabe).
Come recita
il suo titolo, questa mostra è dedicata ad una particolare classe di manufatti
di grande valore artistico e raffinatezza, sebbene ridotte a dimensioni:
piccole sculture a tutto tondo in pietre preziose, di epoca ellenistico romana,
per secoli al centro dell’interesse collezionistico dei Medici e oggi in gran
parte patrimonio del museo del Tesoro dei Granduchi delle Gallerie degli
Uffizi.
La mostra si
apre illustrando con alcuni esempi le caratteristiche di questi piccoli formati
scultorei di epoca classica, realizzati a tutto tondo da pietre preziose, e
mettendo in risalto la loro stupefacente vicinanza, in termini iconografici e
formali, con la grande plastica del periodo.
Ѐ questo il caso del Ritratto di Augusto del Tesoro dei
Granduchi messo a diretto confronto con una replica marmorea dello stesso tipo.
Il corpus complessivo delle preziose
sculture antiche ad oggi noto è costituito da circa quattrocentottanta
esemplari, un numero senz’altro errato per difetto e destinato quindi a
crescere con il progredire degli studi. Nella prima sezione sono anche
illustrate le funzioni di queste preziose sculture che, come dimostrano
confronti iconografici testimoniati in mostra da un prezioso dittico eburneo
del VI secolo d.C. o da un rilievo marmoreo con i ritratti legati al culto
imperiale.
Una grande
passione per questo genere di sculturine in pietre dure fu propria di Francesco
I de’Medici, che ne possedeva una nutrita collezione e si impegnava ad
incrementarla commissionando la ricerca a Roma di marmi e pietre adatti alla
creazione di busti. Teste antiche in pietre dure furono così assemblate su
busti in alabastro orientale, scolpiti nelle botteghe di corte e impreziositi
da panneggi e acconciature d’argento dorato.
Questa collezione fu destinata da
Francesco I all’arredo della Tribuna (descritto nell’inventario del 1589), uno
scrigno delle meraviglie nel cuore degli Uffizi.
D’altronde
l’esibizione di opere minime e preziose ordinatamente disposte in armadi,
scansie e scaffali costituisce una costante delle collezioni d’arte conservate
negli studioli dal Medioevo al Rinascimento, perché questi ambienti, che
nascono come recessi, stanzini, piccoli rifugi, dove il signore poteva
dedicarsi alla contemplazione di cose belle e alla lettura, erano adatti ad
ospitare oggetti piccoli e fungevano spesso, da camere del tesoro per i
preziosi. Tutti gli studioli realizzati da Cosimo I a Palazzo Vecchio, durante
la ristrutturazione dell’edificio guidata da Vasari, rispondono a tali
caratteristiche, come pure quelli realizzati per Palazzo Vecchio, per Francesco
I e Bianca Cappello fino agli inizi degli anni Ottanta del Cinquecento (lo
Studiolo, il camerino del Granduca e quello della Granduchessa).
La Tribuna
costituisce l’apice di questa tradizione, ma ne scardina i principi fondanti:
la raccolta del Principe viene infatti allestita in un ambiente vasto e
luminoso, i cui riferimenti architettonici rinviano a aulici e spaziosi
prototipi classici (edifici termali/torre dei venti di Atene) e cristiani
(battisteri) la cui decorazione rimanda invece ad un altro genere recesso, di
luogo nascosto della natura imitato artificialmente dall’uomo: la grotta.
Nonostante ciò, vi si fa ancora ampio ricorso alle tipologie di arredo che
costituiscono una costante della decorazione degli studioli rinascimentali: le
cornici a palchetto e gli armadi. Sotto il diretto controllo di Francesco, che
seguì nei minimi dettagli l’evoluzione di Bernardo Buontalenti, gli ebanisti
tedeschi attivi in Galleria realizzarono due meravigliosi stipiti perduti,,
mentre i legnaioli fiorentini produssero gli armadi nascosti nelle pareti per
contenere i vasi in pietre dure e la cornice a palchetto, dalla struttura
estremamente complessa, che girava intorno alla stanza.
La fascia
inferiore della decorazione della Tribuna è quella compresa tra le statue collocate
sugli sgabelli posti sul pavimento ancora visibili nei disegni settecenteschi
dell’ottagono e lo scaffale: in questa zona erano distribuite, originariamente,
opere molto piccole sia tra le mensole che reggevano il palchetto che sopra di
esse.
Tra queste
spiccano in particolar modo il Busto
femminile con testa di cristallo di rocca di età imperiale, il Canopo egizio in calcedonio e il Busto di mora in onice e argento dorato
dell’intagliatore milanese Giorgio Gaffuri.
Nel corso
del Seicento e del Settecento altri illustri esponenti della dinastia medicea
raccolsero e coltivarono il gusto di raccogliere questi particolari oggetti.
Tra questi si distinse il Cardinal Leopoldo, raffinato e colto collezionista,
che acquistò pezzi d’eccezionale qualità, come la mano in calcedonio che fa da
icona alla rassegna.
Al merito di
Cosimo III si deve in seguito l’inserimento delle opere dello zio Leopoldo
nell’arredo sempre più sfarzoso della Tribuna, che ci viene testimoniato al suo
acme dai puntuali disegni dell’atlante della Galleria diretto da Benedetto
Vincenzo De Greyss.
Dalla ricostruzione a grandezza naturale dell’allestimento tardo settecentesco di uno dei palchetti della Tribuna degli Uffizi. La scenografica riproduzione del disegno della parete con la statua di Apollo fa da sfondo a quasi tutte le opere distribuite sullo scaffale: le poche mancanze sono dovute a pezzi perduti o di cui non è stato possibile ottenere il prestito in mostra. Si tratta del primo tentativo di ricostruire questo aspetto fondamentale della decorazione della Tribuna, che mette in luce come, ancora nel Settecento, la disposizione delle statue sulla mensola fosse incentrata su sottili rapporti tra le dimensioni e le cromie degli oggetti.
La riproduzione dà corpo ai rimandi e alle relazioni che si creavano tra le opere a tutto tondo disposte sulle pareti della Wunderkammer si recupera così un brano significativo per la ricomposizione di quella ‘musica viva’ che aveva fatto della Tribuna – e degli oggetti in essa contenuti – l’espressione di un’architettura mentale e di una raffinata quanto complessa veste di rapporti iconografici e simbolici che si va progressivamente svelando.
Maria Paola
Forlani
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