Alighiero Boetti: Minimum/Maximum
Colore ₌ Realtà. B ⁺ W ₌ (a parte le zebre)
L’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia ospita
fino il 12 luglio 2017 un grande, inedito viaggio all’interno dell’opera di Alighiero
Boetti, uno dei più importanti artisti italiani, al culmine di un momento di
grande celebrazione che lo vede protagonista.
Alighiero
Boetti: Minimum/Maximum, a cura di Luca Massimo Barbero,
direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, con
la collaborazione dell’Archivio Alighiero Boetti, presenta il risultato di un
processo inedito di selezione e confronto: quello tra il formato minimo e
massimo di opere dei cicli più rappresentativi del celebre artista torinese,
focalizzando così uno dei temi che meglio rappresentano l’operatività creativa
di Boetti. La mostra è organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini in
collaborazione con Tomabuoini Art.
“Questa mostra
offre al visitatore un percorso di rapporto, non antologico e mai scontato,
unico nel suo genere, nato dalla raccolta in collezioni pubbliche e private di
opere di Boetti di grandi dimensioni – spiega Luca Massimo Barbero – Ѐ un progetto organico pensato appositamente
per Venezia in questo momento di grandi conferme internazionali di uno dei più
importanti esponenti dell’arte italiana”.
Alighiero
Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994),
insieme con Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis
Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo
Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha fatto parte del gruppo Arte
povera. Allo stesso tempo è stato anche uno dei più precoci a distaccarsene.
Le sue opere più celebri sono arazzi di diverso
formato in cui sono inserite, suddivise in griglie, frasi e motti inventati
dall’artista (per es. Il progressivo svanire
della consuetudine, Dall’oggi al domani, Creare e ricreare, Non parto non
resto, ecc).
Dopo l’opera Gemelli
il filo comune che lega molti suoi lavori è sottendere nel processo
creativo un dualismo di intenti. Questo avviene specialmente dopo la sperimentazione
con i materiali poveri quando Boetti si trasferisce nella capitale e decide di
ripartire veramente da qualcosa di semplice, una matita e un foglio di carta
quadrettato.
I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono
strutture di pensiero applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta
reso chiaro il principio che li genera si staccano da schemi soggettivi e
permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura.
Boetti ha visto come “tradimento” degli ideali
(artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta
di distacco dal reale, un distacco da guardare con disprezzo, per chi – come
lui – si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca.
La mostra della Fondazione Cini è articolata in sezioni,
per un totale di più di 20 opere, l’esposizione include, oltre ai cicli più
significativi di Boetti – Ricami, Aerei,
Mappe e Biro – alcune opere meno note come i Bollini colorati, la Storia
Naturale della Moltiplicazione e le Copertine,
e costituisce un’occasione preziosa per presentare anche lavori di fatto
sconosciuti al grande pubblico, come la grande opera con bollini colorati Estate 70, opera (1970) – prestata per
questo evento direttamente dalla famiglia dell’artista – e Titoli (1978), uno dei più grandi formati del raro ciclo dei Ricami monocromi. In mostra è presente
anche uno dei più grandi Mimetico (1967),
una delle prime serie di opere di Boetti, in prestito dalla Fondazione Prada.
Il tema del formato è cruciale per comprendere il
modo in cui Boetti ideava e realizzava i suoi lavori, ed è direttamente
collegato al concetto di tempo: come in Estate
70, opera monumentale che apre il percorso espositivo, realizzata su un
rotolo: di carta lungo venti metri sul quale Boetti ha incollato migliaia di
bollini autoadesivi colorati: unica per le dimensioni e perché introdusse in
modo dirompente il tema del tempo necessario alla fruizione dell' ‘opera’
Complementari a livello di senso sono le opere di formato minimo, che
rappresentano l’opposizione dialettica della creatività di Boetti.
La mostra si dispiega in un puntuale confronto fra
piccolo e grande, minimo e massimo, presentando le opere Storia Naturale della Moltiplicazione, Mettere al mondo il mondo e
Alternando da uno a cento e viceversa –offrendo al visitatore la
possibilità di fruire in un unico contesto di opere di periodi differenti –
fino al grande trittico Aerei (1989),
in prestito dalla Fondazione Carmignac di Parigi.
Il percorso prosegue poi con le celebri Mappe e con i Tutto, “zibaldone dei temi e delle immagini di Boetti” – spiega
Barbero – che introducono l’importante tema della realizzazione differita
dell’opera d’arte, del viaggio e del nomadismo dell’arte, a sua volta
interconnesso con quello del tempo. Elemento ben evidente ad esempio nei
ricami, che una volta iniziati dai collaboratori a Roma, venivano spediti a
Kabul, poi a Peshawar in Pakistan a seguito dell’invasione Sovietica
dell’Afghanistan nel 1979, dove le ricamatrici delle famiglie di rifugiati
afghani li realizzavano con l’accostamento dei colori da loro scelto, seguendo
le regole del gioco dettato da Boetti, per poi tornare a Roma dove l’artista le
vedeva finite per la prima volta.
La parte dei confronti si chiude quindi con la
grande opera Copertine (1984), che
riprende l’idea dell’ossessività dei media e la formula dell’immagine trasmessa
e riutilizzata e che introduce il progetto speciale di Hans Ulrich Obrist,
direttore austriaco delle Serpentine Gallery di Londra, e Agata Boetti,
direttrice dell’archivio Alighiero Boetti, che esemplifica ulteriormente il
modo di pensare essenzialmente dialettico di Boetti e si sviluppa attorno al
tema della fotocopia. “Già nel ’69 a
Torino, quando andavo allo show-room della Rank Xerox con le mie monetine in
tasca, le idee erano tante. – affermava Boetti nel 1991 –Dicevo, la fotocopiatrice non è una macchina
solo da ufficio, nel duemila l’avremmo tutti nel salotto! Affidatemene una,
vene documenterò alcune applicazioni creative. Non intendevo manipolare il
meccanismo o l’inchiostro, come hanno fatto alcuni da Munari in poi. No,
m’interessava l’applicazione standard. Ma ad esempio l’avrei messa sul balcone
quando comincia a piovere, una goccia, dieci gocce, mille gocce…”.
COLORE
₌ REALTÁ. B+W ₌ ASTRAZIONE (a parte le zebre) esplora
queste “applicazioni creative” di Boetti, riunendo per la prima volta un
insieme di opere eseguite con la fotocopiatrice nei diversi momenti della
carriera dell’artista e che sono, secondo Obrist, testimoni della passione di
Boetti per le tecnologie della comunicazione (come la polaroid o l’uso del fax
- che introduce negli anni ottanta – è sintesi di posta e fotocopia) e invitano
a immaginare gli usi creativi che Boetti avrebbe trovato per gli attuali mezzi
di comunicazione e riproduzione delle immagini.
Maria Paola Forlani
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