Marcello Mascherini
e Padova
Ed ecco il segreto di Mascherini:
benchè egli ci racconti tragedie, disperazioni, angosce…i suoi bronzi non ci
lasciano una sensazione di malessere o crudeltà; ci trasmettono al contrario
una carica corroborante di vita. Proprio come la natura la quale, pur nei suoi
aspetti più drammatici – bufere, tempeste, crolli, eruzioni – ci affascina e in
certo modo ci rinfresca l’animo.
Dino Buzzati, Marcello Mascherini – in “Il Corriere
della Sera” Milano, 11 maggio 1970
Si è aperta
a Padova a Palazzo Zuckermann fino al 30 luglio la mostra Marcello Mascherini a Padova (Catalogo Skira) a cura di Lorenzo
Novo con la direzione scientifica di Davide Banzato.
Tra le più
recenti novità riguardanti Marcello Mascherini (Udine 1906 – Padova 1983),
cresciuto e formatosi a Trieste, nell’Olimpo degli scultori italiani del
Novecento ammirati a livello internazionale, vi è Danzatrice del 1951, opera scelta come immagine – simbolo per
l’importante mostra padovana, piccolo e intenso bronzo, dal notevole pedigree e
significativamente legato a Padova, e rientrato in Italia nel 2015, dopo mezzo
secolo.
Destino non dissimile ha avuto Amazzone,
che le viene accostata nel percorso espositivo : il bronzo rimasto in
Germania per quasi cinquant’anni, è ricomparso solo recentemente sul mercato
antiquario padovano.
Sono,
queste, solamente due delle tantissime novità proposte nell’esposizione di
palazzo Zuckermann.
Una mostra
inedita già nel tema, che mira a mettere in luce il rapporto intenso e duraturo
di Mascherini con la città veneta, e che consente anche un affondo sulla
personalità dell’artista e sul difficile percorso di presa di coscienza
identitaria condotto, senza clamori, nel corso di tutta la sua esistenza: un
identità pienamente giuliana e “carsica” – pur nell’ambito della “stirpe”
veneta – e quindi plurale, che egli percepisce in contrapposizione al
nazionalismo basato su un’italianità puramente biologica, quale era imposta
negli anni del regime.
Scrivendo di
lui il poeta Alfonso Gatto, che gli fu amico sincero, ricorda che:
<< questa condizione di
autodidatta e di solitario lo costringe ad un più duro lavoro, a smarrimenti e
a faticosi recuperi persino a esperienze ormai esaurite da altri; ponendolo in
continuo confronto con se stesso e nella necessità di dovere contare soltanto
sulle proprie forze, ne è favorito così il definirsi della sua persona>>.
Padova, con
le mostre del Sindacato e i primi confronti, è il terreno in cui prende il via
e s’innesta questo processo di autocoscienza, che tanti rimandi e suggestioni –
di temi, personaggi e sentimenti – trova nell’opera letteraria il Mio Carso di Scipione Slataper (opera
mai esplicitamente citata, anche perché troppo ambigue e pericolose erano le
posizioni dell’intellettuale triestino per i nazionalisti italiani) e che si
completerà negli anni Sessanta e Settanta, con il trasferimento di Marchesini a
Sistiana, il ritiro dalla società borghese e il rapporto stringente con la
propria terra: saranno gli anni dei ricalchi delle pietre del Carso, dell’utilizzo
dei suoi legni, dell’abbandono della figura umana, dei lutti personali e
sociali, della depressione e della malattia.
Ecco allora
la mostra padovana – che presenta quasi 50 sculture – valorizzando questo
particolare punto di vista “Locale”, propone un percorso ragionato tra le più
significative opere presentate da Mascherini alle esposizioni patavine;
numerosi documenti inediti sul suo coinvolgimento nel cantiere del Bo
all’inizio degli anni Quaranta e sull’amicizia con l’artista dello smalto Paolo
De Paoli; alcuni dei più bei bozzetti di collezione privata padovana e un focus interessantissimo sull’attività di
Mascherini per le grandi navi da crociera italiana, varate tra gli anni Trenta
e Settanta ma non solo.
L’esposizione
intende testimoniare il percorso artistico compiuto dallo scultore
colmando
“ogni vuoto logico e cronologico”, dare conto cioè di anni e di stili che non
trovano riscontro nelle sue presenze a Padova. A tal fine vengono proposti
alcuni lavori come il grande bronzo “Icaro”
del 1957 che accoglie i visitatori a inizio percorso – tra le opere più
significative dell’intero catalogo di Mascherini, vero e proprio manifesto
della cifra di un artista che in quegli anni raggiunge il successo
internazionale – o l’elegante profilo di Figura
dorica (1962).
Emoziona poi
vedere a Padova Ratto di Europa, il
bronzetto del 1948 in cui Mascherini celebra il nuovo Continente nato dalle
ceneri della guerra – con tutto il carico di speranze che si portava appresso –
anticipato nel percorso patavino dagli sguardi trasognati e ansiosi delle
sculture Attesa e Guardando le stelle, entrambe concepite
nel 1942 nel pieno conflitto mondiale.
Di grande
interesse sono anche i due gessi giovanili Segreto
del 1925 e soprattutto – Frate Francesco:
quest’ultimo da sempre conservato
nella collezione dell’artista.
Ѐ stata una relazione profonda quella tra Mascherini e Padova, avviata
appunto negli anni Venti del Novecento, con la partecipazione dello scultore,
allora più che ventenne, alla V Esposizione d’arte delle Venezie nel Palazzo
della Ragione.
Marchesini
prenderà parte in seguito a numerose altre esposizioni: prima quelle sindacali
fortemente condizionate e condizionanti, poi alle Mostre d’Arte Trivenete,
tanto quelle precedenti il conflitto mondiale quanto quelle successive (a
partire della ripresa nel 1951 con la direzione di Palucchini), venendo
coinvolto non solo come protagonista ma – ormai artista di successo
internazionale – anche come commissario.
Nel 1955, quando a Padova nasce il primo Concorso Nazionale del Brozetto all’interno della Triveneta, Mascherini siede con merito nelle commissioni ed espone nella mostra generale fuori concorso. Dal 1933 erano iniziate le sue partecipazioni alla Triennale di Milano, alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia – dove ben 11 saranno le sue presenze – e alle Esposizioni Universali, da Parigi a New York.
La
partecipazione alla Mostra d’arte italiana del XX secolo, aperta nel 1949 al
Musum of Modern Art di New York, e il primo premio alla Biennale del 1950 – ex
aequo con Luciano Minguzzi – avevano segnato per lo scultore un’irresistibile
ascesa notevole fortuna critica e di mercato.
Ma non
furono solo le mostre a segnare il rapporto e la fortuna di Mascherini a
Padova. Bisogna infatti contare le opere realizzate al Palazzo del Bo per il
Rettorato dell’Università degli Studi nel 1940, grazie a un sincero estimatore
e committente come Giò Ponti (due battenti bronzei di Minerva e di Apollo e un Crocifisso dello stesso materiale);
la
non trascurabile sequenza di incarichi istituzionali; la partecipazione a premi
importanti, nonché amicizie e passaggi biografici che furono determinanti:
dalla consuetudine e stima di importanti critici attivi a Padova come Umberto
Apollonio e Giuseppe Marchiori, al sodalizio e in taluni casi professionale con
Paolo De Paoli – grande protagonista delle arti decorative del Novecento
italiano, interprete in particolare dell’arte dello smalto – fino alla morte di
Mascherini nel 1983 all’ospedale di Padova.
Maria Paola
Forlani
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