Charlotte Salomon.
Vita? o Teatro?
L’inferno
della Shoah restituisce un sorprendente poema allo stesso tempo pittorico,
teatrale, narrativo e musicale. Charlotte Salomon è una giovane ebrea berlinese
che va incontro ad un tragico destino. Prima di morire ad Auschwitz, Charlotte
affida il racconto di tutta la sua vita a centinaia di tempere, raccolte sotto
il titolo Vita? o Teatro?
Miracolosamente
sopravvissuto alle persecuzioni e alla guerra, questo lascito artistico si
rivelerà un autentico canto del destino, che vede proiettata la biografia di
Charlotte sullo scenario più tragico del Novecento.
A Palazzo
Reale di Milano si è aperta fino al 25 giugno 2017 la mostra Charlotte Salomon. Vita? o Teatro ?, a
cura di Bruno Pedretti, promossa dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e
Civita Mostre, in collaborazione con il Jewish Historical Museum di Amsterdam.
L’esposizione presenta circa 270 tempere, insieme a decine di fotografie
storiche che illustrano la vita di Charlotte e gli avvenimenti del suo contesto,
in parallelo alle scene rappresentate nel suo poema autobiografico.
Trovare le
immagini e le parole richiamare i personaggi e i luoghi, rinvenire le passioni,
i suoni e le occasioni per raccontare la propria intera vita: è questa la sfida
che la giovane berlinese di origini ebraiche Charlotte Salomon si prefissò
quando, in una data imprecisata del 1940, profuga a Villefranche-sur-Mer alle
porte di Nizza, decise di porre mano alla sua grande opera Leben? Oder Theater? (Vita ? o Teatro ?).
A seguito di
un nuovo evento funesto, che si aggiungeva allo scoppio della guerra e alle
angosce di perseguitata o profuga, a Charlotte si rivelava l’abisso tragico in
cui era via via precipitata la propria vita insieme a quella della famiglia e
della comunità.
Prima che la
sofferenza la travolgesse e che ogni cosa svanisse, quella vita su cui sentiva
volteggiare sempre più minacciosa una fine malvagia doveva essere raccontata,
mettendo a frutto tutta l’arte di cui disponeva: la pittura studiata
all’Accademia di Belle Arti di Berlino, la musica diventata presenza quotidiana
in casa con l’arrivo della seconda moglie del padre Albert, la letteratura che
stipava la biblioteca domestica, la filosofia che aveva agitato le discussioni
teoriche con l’amato Alfred…
Nei due anni
scarsi che seguirono, Charlotte godette della complicità di una musa così
infervorata e solidale da riuscire a comporre un’opera tra le più emozionanti,
intense e mirabili del suo tempo. Charlotte non smetterà di fatto un giorno di
lavorare alla sua opera. Alla fine questa comprenderà ben
milletrecentoventicinque fra tempere, veline, annotazioni, varianti pittoriche
e altre prove, con una scelta di quasi ottocento tempere selezionate quali
immagini del racconto definitivo.
Lo scrittore
e pittore Carlo Levi, nell’introduzione a una delle prime mostre di questo
prezioso lascito nel 1963, ha scritto: << Charlotte Salomon è stata una
di quelle persone che hanno sentito la necessità di ripensare l’esistenza e di
affidarla a qualcosa che, per il solo fatto di essere espresso, fosse libero
dal comune destino di morte […] Questo contenuto poetico, che va al di là dei valori
espressivi, che si afferma nel suo significato e nella sua necessità di
atteggiamento e di libertà, si fa più commovente per un suo carattere segreto,
che è quello della contemporaneità nascosta della sorte>>.
Vita? o
Teatro?, come ha bene intuito Carlo Levi, è opera poetica altissima
esattamente perché non è rappresentazione esterna dell’esistenza ma sua
rivendicazione attraverso l’arte. Semplice nel modello espositivo, ma
altrettanto complessa, elaborata e ingegnosa nella struttura, nei rimandi
narrativi, allegorici, simbolici, Vita? o
Teatro? È organizzata cronologicamente.
Vi si narrano le molte vicende di
una vita: quella della stessa Charlotte Salomon, che si mette in scena in terza
persona al pari dei molti personaggi che occupano le pitture, sempre
identificabili nonostante l’innocuo camuffamento sotto altri nomi. Il lungo
racconto non si apre tuttavia con la nascita della protagonista, il 16 aprile
1917 a Berlino, bensì significativamente nel 1913, con il suicidio della
giovane zia da cui Charlotte erediterà il nome. La sequenza delle tempere, le
cui illustrazioni si succedono come in una rappresentazione teatrale o filmica,
parlano naturalmente dell’infanzia e della crescita di Charlotte, del suo
ambiente familiare e sociale, delle occasioni sulle quali la vita andava
costruendo la propria parabola…
Dipinta con
l’uso esclusivo dei tre colori primari e suddivisa similmente in tre sezioni
(l’infanzia, la gioventù, l’epilogo da profuga dopo l’abbandono di Berlino nel
1939), l’opera si dipana in una progressione temporale che, sebbene con
deviazioni e ritorni e disgressioni, scandisce i diversi momenti biografici
chiarendone la complessità narrativa tramite l’abbinamento alla pittura di
interventi scritti, che nella prima sezione Charlotte distribuisce in fregi su
veline da sovrapporre alle tempere sottostanti, nelle altre due sezioni
immergono invece le parole direttamente dalla pittura, che in tal modo si fa
carico di dipingere anche i testi del racconto.
Con l’avanzare dell’opera, il
linguaggio visivo subisce poi un’ulteriore metamorfosi. Se nella prima sezione
le figure sono rappresentate privilegiando ancora i procedimenti di un
espressionismo minuzioso, inoltrandoci nelle due successive sezioni tutto tende
a diventare frenetico, ansioso, vorticoso, secondo una originalissima
pittura-scrittura gestuale in cui discorso e personaggio, dialogo e scena,
racconto e visione tendono a fondersi in un unico linguaggio.
L’intreccio
nel lascito di Charlotte Salomon di vita e opera, di testimonianza e poesia fa
inevitabilmente ricordare le emozionanti pagine del Diario di Anna Frank o del Diario
di Etty Hillesum. In queste sventurate sodali in destino di Charlotte
Salomon troviamo un’analoga opera d’arte totale che si affida alla struttura
diaristica e autobiografica. Poco conta che nelle autrici cambi l’uso
prioritario di questo o di quel genere artistico o letterario: in tutti i casi
siamo al cospetto di opere che non sostituiscono artisticamente il reale, bensì
lo estendono nella consapevolezza espressiva.
A sigillo di
queste affinità spirituali, una poesia del 1963 di Anna Achmàtova rende con una
efficace similitudine, poetiche emozioni, con l’autoritratto di spalle in riva
al mare di Charlotte, con il titolo dell’opera trascritto sulla schiena,
dipinto dalla giovane artista quale conclusione del suo poema biografico
Una terra sia pure non natale.
Ma da ricordarsela per sempre,
E nel mare un’acqua non salata
E carezzevolmente gelida.
Sul fondo sabbia del gesso più
bianca,
E un’aria ebbra come vino,
E il roseo corpo di pini
Nudo nell’ora del tramonto.
Ma il tramonto sull’onde dell’etere
Ѐ tale che non riesco a capire
Se sia la fine del giorno o del mondo
O di nuovo in me il mistero dei
misteri.
Maria Paola
Forlani
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