Carlo Mattioli
Il grande
pittore Carlo Mattioli (1911 – 1994) è il protagonista della nuova mostra
estiva al Labirinto del Masone, fino
al 24 settembre 2017.
Esposizione
che intende essere, insieme, un omaggio di Franco Maria Ricci a Mattioli, concittadino
e amico con il quale condivideva lo stretto legame con la città di Parma e il
suo territorio.
Nel 1925 la
famiglia di Carlo Mattioli si trasferì da Modena a Parma, dove il pittore
risiedette stabilmente per tutta la vita. Si formò presso l’Istituto d’Arte ed
iniziò la sua attività artistica, con modi che si rifecero all’esperienza di
Giorgio Morandi. La prima importante uscita avvenne nel 1940 alla Biennale di
Venezia, ove venne invitato in numerose edizioni successive, ottenendo premi e
riconoscimenti importanti.
Nel 1943 si tenne a Firenze, per interessamento di Ottone Rosai, la sua prima mostra personale.
Gli anni
quaranta e cinquanta sono caratterizzati da una produzione che si connotò per
un suggestivo tonalismo figurativo. Furono gli anni della sua maturazione
culturale, attenta non solo alle più varie esperienze pittoriche passate e
contemporanee, ma ricca anche di interessi per la letteratura, in specie per la
poesia. Stabilì un fertile e non transitorio rapporto, tra gli altri, con Attilio
Bertolucci e con Mario Luzi. Si collegò a tale interesse letterario l’attività
di Mattioli come illustratore di libri; attività che si fece particolarmente
intensa negli anni sessanta con incisioni e litografie per i Ragionamenti di Pietro Aretino, la Chatreuse de Parme e la Vanina Vanini di Stendhal, i Sonetti di Guido Cavalcanti, il Belfagor di Macchiavelli, il Canzoniere di Petrarca, La Venexiana, commedia per il teatro di
ignoto autore del XVI secolo, ed altre opere ancora.
Gli anni
sessanta furono gli anni della sua piena affermazione presso il grande
pubblico. La sua produzione venne eseguita dalla laboriosa ricerca di sempre
nuove modalità espressive, con una vena pittorica, sospesa tra formale ed
informale, che assecondò, procedendo per cicli tematici, la sua meticolosa
esplorazione dei territori e delle possibilità di linguaggio pittorico. Furono
di questi anni la serie dei Nudi, delle
Nature morte ed, in particolare,
degli Studi sul Cestino del Caravaggio.
Nel 1970
venne allestita a Parma la prima mostra antologica delle sue opere, portata
l’anno dopo a Carrara. Nel corso degli anni settanta proseguì e rinnovò la
ricerca di una poetica capace di esprimere l’affiorare improvviso alla
coscienza, come una illuminazione istantanea, di emozioni che promanano dalla
osservazioni di una natura infinitamente cangiante, sia essa rappresentata
dalle Spiagge della Versilia
(1970 – 74),
dai Campi di papaveri (dal 1974),
delle Lavande (dal 1978), dalle Ginestre (dal 1979). Mattioli fece
ricorso ad una gamma molto vasta di tecniche pittoriche, con una dominante di
oli con forti ispessimenti materici, mentre la sua tavolozza sperimentò
l’intera gamma di possibilità comunicative, dai paesaggi concepiti con il sole
differenti tonalità di bianco, ai dipinti – come i propri Autoritratti – immersi nel nero della notte.
Mentre in
Italia un numero ampio di artisti sentì il bisogno di confrontarsi con
problematiche di carattere sociale, la poetica di Mattioli si mantenne fedele
ai temi “metastorici” dello stupore del mondo e dell’inquietudine esistenziale
dell’essere nel mondo.
Fu di questo periodo la sorprendente serie – non priva di rimandi a Claude Monet – della Aigues Mortes (1977-1979): una serie di visioni aeree di forme e colori cangianti, tese ad indagare l’incerto confine tra l’organico e l’inorganico, tra la vita e la morte. Iniziò in questo periodo (dal 1975) anche la produzione dei tenerissimi ritratti della nipotina Anna, che sembrano realizzati per coinvolgere la bimba in una favola inventata da lei, e costruita per dar forma alla sua scoperta del mondo.
Durante gli
anni ottanta la poetica di Mattioli, lontana dall’esaurirsi nell’appagata
riproposta delle forme espressive già sperimentate, si rinnovò attraverso l’esplorazione
di nuovi soggetti: i grandi Boschi verdi
(1981), i Muri (1982), le Pinete (1983). Altri temi, come i Cieli, lasciati depositare in fondo alla
memoria, vennero periodicamente rivisitati attraverso una sorta di “vis
combinatoria” di forme e di colori, capace di far scaturire un’inesauribile
gamma di variazioni sul tema.
Si
intensificò altresì la ricerca di nuove forme espressive attraverso la
meticolosa scelta di inconsuete superfici su cui stendere i propri colori:
pagine prelevate da antichi manoscritti, vecchie tele consumate, tavole lignee
provate dal tempo. Si compie così, attraverso la realizzazione dell’opera, una
sorta di trasmutazione alchemica, fortemente suggestiva, di oggetti nei quali
la nuova e la vecchia forma si compenetrano, nel rispetto delle reciproche
essenze.
La mostra
alla Fondazione Franco Maria Ricci copre trent’anni dell’opera del Maestro, dal
1961 al 1993 e presenta i dipinti più rappresentativi dei cicli che hanno reso
noto Mattioli grazie alla cura di Sandro Parmiggiani e di Anna Zaniboni
Mattioli, nipote dell’artista e responsabile dell’Archivio.
La
letteratura sulla figura di Carlo Mattioli e sulla sua produzione artistica è
molto vasta. Significativa è quella del poeta Mario Luzi che si sofferma su la
sua poetica.
<< Carlo Mattioli è un pittore
di grandi finezze, di deliberate succosità cromatiche e luministiche; il suo
tocco arriva sulla tela intriso di dense e svarianti sostanze che non
coincidono in tutto e per tutto con la sola materia o, se mai, con una materia
non solo usata ma anche pensata.
Nondimeno Mattioli è un artista
elementare, assorbito dalla osservazione delle forme e degli episodi della
natura fino a un certo purissimo grado di immedesimazione sensuale e mentale
non mai però fino al punto di comprimere la sua propria misura contemplativa,
da farle torto.
Per quella sua elementarità, unita
alla rara delizia del suo dipingere (è dei pochi pittori ad averne custodito il
gusto) per quel suo affisamento contemplativo a Mattioli è accaduto di
cimentarsi in prove che avrebbero dissuaso chiunque, e a ragione: infatti a
nessun altro sarebbe stato possibile non soccombere alla ovvietà dell’assunto e
alla pedanteria da erborista o da minerologo di certe suites da lui
puntigliosamente allineate, le suites dedicate a cespi, pietre, rovi; più
recentemente ai cieli.>>
(Estratto da
Mario Luzi, Presentazione del libro La
pioggia nel pineto. Il bulino, Modena, 1984)
Maria Paola
Forlani
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