Questo
Natale dell’anno di Grazia 2017 sarà molto triste per me: il primo senza il mio
carissimo amico Carlo Bassi, scomparso il 24 settembre scorso. Se n’è andato
così, in silenzio, a 95 anni compiuti il 15 settembre. Sommessamente, in punta
di piedi - secondo il Suo stile – e ha raggiunto la Sua adorata Paola nella
notte che prelude al Giorno senza tramonto. “Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo
corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale” “Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus
venit”. (Antifona al Magnificat
del 26 Dicembre). A Natale 2015, mi scrisse un biglietto (autografo)
coloratissimo, con le foto dei fiori di Paola e le parole “……son fiorite/due volte,/quest’anno,/le
azalee della Paola/AUGURI CARISSIMI/Carlo”. E lo scorso anno: “…../ho
scoperto/nascosti in una busta/questi due scatti/d’antan/ vecchie immagini di
tempi felici,/ Voglio mostrarli/perché documentano/i miei amori più grandi./Paola
e l’architettura/Paola e la poesia/Paola e Ferrara/Paola e i diamanti/del
palazzo/di Sigismondo./Paola….”. Di fronte a queste parole, così semplici e al
tempo stesso, così profonde, disarmanti, si rimane attoniti, stupìti, commossi.
Sono parole che appartengono al lessico di Carlo, al Suo stile, alla Sua cifra
umana. Un legame avvincente, quello con la Sua Paola che ha sfidato il tempo:
Lui, architetto di vaglia e Lei, insegnante. Risuonano quasi magicamente, i
versi di Franco Fortini: “Qui siamo noi
due, qui giunti per ora/
recati dal tempo: tu ancora/ confidi nei giovani anni/ e nella leggera figura/ quand'eri sui compiti ancora./ stupìto ti guardo che vivi.” (A mia moglie).
recati dal tempo: tu ancora/ confidi nei giovani anni/ e nella leggera figura/ quand'eri sui compiti ancora./ stupìto ti guardo che vivi.” (A mia moglie).
Ma
un legame forte anche con la sua Ferrara.
Che
Ferrara fosse bella, Carlo Bassi ce l’ha sempre detto! Nei molteplici frammenti di un discorso amoroso - per
dirla con Roland Barthes – Carlo non perdeva occasione per magnificare la città
dalle cento meraviglie, in cui era nato 95 anni or sono e nella quale ritornava
appena poteva, con la purezza d’animo di fanciullo, con l’incanto di chi
contempla, ma con lo sguardo acuto e sapiente dell’urbanista. Occhio e cuore,
sempre nuovi, consentivano a Carlo questa nuova impresa: «misurare – sono parole sue
– il fascino persistente che segna quella che per me è sempre una mitica realtà
urbana, dopo tante vicende e tante sofferenze, anche recenti che gli occhi che
guardano e, purtroppo, testimoniano».
Lungi
dal pensare Ferrara immobile, chiusa nella sua storia, silenziosa e altera,
orgogliosa dei grandi vi hanno vissuto, portava il Nostro a credere e
professare che essa è viva. Che ci si muova nel castrum, nell’addizione di
Ercole o in quella di Ciro Contini; che ci si trovi immersi nella sacralità
metafisica di via Campofranco, in cui la presenza della figura umana non reca
turbamento né distrugge l’aura mistica delle voci angeliche delle Clarisse del
Corpus Domini; che ci si perda nelle sue strade, come ci si smarrisce in una
foresta, avvolti in quella «bruma luminosa che a Ferrara fascia, ingloba»: poco
importa. Si tratta di un vedere col cuore in cui Carlo era maestro
insuperabile. Sono emozioni che affiorano sempre, in una trama che permea una
vita intera e che la lontananza sublima in una dimensione poetica.
Concludo con questo
«haiku»: «Negato ogni sbocco il calore mutò il carbone in diamante». Il
diamante è carbonio allo stato puro. In queste parole sembra di scorgere tutta
la forza con cui Dag Hammarskjöld ha saputo trasformare la sua solitudine, il
suo vedere un orizzonte chiuso nella propria vita in una potenzialità. Quando
ci vediamo messi all’angolo, impossibilitati a trovare uno sbocco all’infuori
di noi stessi, siamo portati a rendere nella sua purezza essenziale quello che
noi siamo. Purtroppo vale per il bene come per il male, ovverosia possiamo
anche cristallizzare il male che c’è in noi. È il gioco della vita interiore,
di Hammarskjöld e di ciascuno di noi, di noi credenti che dobbiamo fare i conti
con questa missione ricevuta dal Signore. Chiamatela vocazione, chiamatela – mi
si perdoni il gioco di parole – chiamata,
chiamatela semplicemente risposta a quello che noi siamo. Dobbiamo capire che
anche quando ci viene negato ogni sbocco, in realtà le risorse, le possibilità
per trasformare il negativo della nostra vita in qualcosa di estremamente
positivo – «il carbone in diamante» – non ci è tolto, anzi, forse ci è
facilitato da questo «sbocco» che manca. E’ Sempre Franco Fortini che parla: E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade. (lettera).
Dove le feste han spento tutte le lampade. (lettera).
Accadeva il 24 settembre 2017
a Carlo Bassi.
Andrea Nascimbeni
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