<<Sacra
Conversazione>> o <<Pala Gozzi>>
Quando
Tiziano Vecellio inaugurò il 20 marzo 1518 la pala dell’Assunta nella Chiesa dei Frari di Venezia, l’intera città rimase
attonita per tanta bellezza.
Al contrario i committenti, i frati francescani, avrebbero voluto rifiutarla, se non avessero mutato parere avendo saputo che l’ambasciatore austriaco si era offerto di acquistarla al loro posto. Due anni più tardi il pittore riaccese la fiamma del genio e dipinse una nuova opera in grado di gareggiare con l’Assunta : ovvero con la Sacra Conversazione detta Pala Gozzi, strepitoso capolavoro che ha eccezionalmente lasciato la Pinacoteca Francesco Podesti di Ancona, dov’è solitamente conservato, per essere esposto a Palazzo Marino di Milano dal 5 dicembre al 14 gennaio 2018, in occasione della tradizionale rassegna offerta dalle autorità comunali per Natale.
Al contrario i committenti, i frati francescani, avrebbero voluto rifiutarla, se non avessero mutato parere avendo saputo che l’ambasciatore austriaco si era offerto di acquistarla al loro posto. Due anni più tardi il pittore riaccese la fiamma del genio e dipinse una nuova opera in grado di gareggiare con l’Assunta : ovvero con la Sacra Conversazione detta Pala Gozzi, strepitoso capolavoro che ha eccezionalmente lasciato la Pinacoteca Francesco Podesti di Ancona, dov’è solitamente conservato, per essere esposto a Palazzo Marino di Milano dal 5 dicembre al 14 gennaio 2018, in occasione della tradizionale rassegna offerta dalle autorità comunali per Natale.
La mostra
sulla Pala Gozzi nella Sala Alessi –
a cura di Stefano Zuffi (catalogo 24 ore cultura) con allestimento di Corrado Anselmi – rappresenta
un’occasione preziosa non solo per ammirare uno dei dipinti più belli di
Tiziano ma anche per addentrarsi nei dettagli della sua storia, delle sue
vicissitudini.
La pala è stata
dipinta nel 1520, su commissione del mercante di Ragusa (ora Dubronmik, in
Dalmazia) Alvise Gozzi. Ne fa fede l’iscrizione che appare nel cartiglio che si
trova al centro della parte bassa della pala: “Aloyxius Gotius Ragosinus /
fecit fieri / MDXX / Titianus Cadorinus pinsit”. Venne collocata sull’altare
della cappella di proprietà dei Gozzi nella chiesa di San Francesco ad Alto ad
Ancona, dove dopo la morte avvenuta il 12 maggio del 1538, all’età di 83 anni,
venne sepolto il committente. Trasferita nel 1862-64 nella chiesa di San
Domenico, la pala è stata ceduta al Museo civico di Ancona nel 1864.
L’autografia e la cronologia accertata della iscrizione fanno di questo dipinto
– il più antico tra quelli di soggetto religioso a portare la data e la firma
del pittore – un autentico punto fermo della produzione giovanile di Tiziano.
In esso il Cadorino, come sempre particolarmente attento e aggiornato sulla
realizzazione dei grandi artisti attivi a Roma, riprende lo schema iconografico
utilizzato solo qualche anno prima da Raffaelo nella Madonna di Foligno, ora conservata alla Pinacoteca Vaticana.
La
composizione è suddivisa in due parti: in alto, tra le nubi, appare la Vergine
che a stento trattiene il vivacissimo Bambino e rivolge lo sguardo in basso,
verso il gruppo di destra; nel registro inferiore si trovano a sinistra la
statuaria figura di San Francesco e a destra quella di un altro santo, colto
nell’atto di presentare alla Madonna il committente del dipinto, ritratto in
ginocchio, quasi di profilo.
Erroneamente,
questo secondo santo è spesso riconosciuto in letteratura come sant’Alvise, il
santo eponimo del donatore; viceversa esso è identificabile con certezza in san
Biagio, patrono di Ragusa, la città d’origine del Gozzi, e protettore dei
mercanti. Lo spazio libero tra le due figure di santi è occupato da una
suggestiva veduta di Venezia, dove ben visibili nella vivida luce serotina
risultano il Palazzo Ducale e la retrostante basilica di San Marco, lo snello
campanile e, a sinistra, gli edifici dei Granai di Terranova.
L’attenta
lettura iconografica evidenzia la compresenza nel dipinto di san Francesco,
patrono della chiesa cui l’opera era destinata e quindi indicante Ancona, di
san Biagio, legato a Ragusa, e dell’immagine di Venezia ha la funzione di
collegare tra loro quelle che allora erano le tre principali città marinare
dell’Adriatico, che erano state al centro di una vicenda di notevole importanza
politica. Dopo la sconfitta di Agnadello, infatti Giulio II aveva imposto nel
1510 a Venezia la libertà di navigazione e commercio per Ancona, città fedele
al papato; attorno al 1520, cioè in un momento prossimo alla realizzazione
della pala, le convenzioni europee avevano cancellato tale imposizione,
restituendo alla Serenissima il controllo e la tutela sull’intero Adriatico.
Allora pare evidente il significato del dipinto, volto a celebrare il successo diplomatico ottenuto dalla Serenissima: la presenza della Vergine, che appare in alto, posta esattamente sopra la veduta di San Marco, centro del potere politico dello Stato Veneziano, si spiega con il rituale rapporto – consolidato iconograficamente – esistente tra la Madonna e Venezia; dal basso i santi indicanti Ancona e Ragusa rendono infatti omaggio a Venezia. La presenza del fico – che sovrasta due altre piante di minori dimensioni – davanti alla veduta di Venezia ha lo scopo di confermare che la città lagunare è depositaria del privilegio di controllo e tutela sull’Adriatico di cui si è detto, che si rinnova in questo momento, come lo stesso fico, rinato da un tronco tagliato, produce nuove foglie e nuovi frutti.
Allora pare evidente il significato del dipinto, volto a celebrare il successo diplomatico ottenuto dalla Serenissima: la presenza della Vergine, che appare in alto, posta esattamente sopra la veduta di San Marco, centro del potere politico dello Stato Veneziano, si spiega con il rituale rapporto – consolidato iconograficamente – esistente tra la Madonna e Venezia; dal basso i santi indicanti Ancona e Ragusa rendono infatti omaggio a Venezia. La presenza del fico – che sovrasta due altre piante di minori dimensioni – davanti alla veduta di Venezia ha lo scopo di confermare che la città lagunare è depositaria del privilegio di controllo e tutela sull’Adriatico di cui si è detto, che si rinnova in questo momento, come lo stesso fico, rinato da un tronco tagliato, produce nuove foglie e nuovi frutti.
Le figure,
plasticamente intese, si stagliano imponenti, ma vive nelle dinamiche posizioni
in cui sono riprese, contro il cielo percorso dalle nubi luminose del tramonto;
il timbro cromatico è su toni bassi, e solo poche zone sono toccate da una luce
argentea, vivida, che ne esalta il colore.
L’ultima
curiosità della Pala Gozzi si trova
sul retro: direttamente disegnati sulle tavole si trovano schizzi di figure,
realizzati a matita e lumeggiati a pennello. Si tratta di schizzi coevi
all’esecuzione del dipinto ma di mani diverse. Tra questi si nota un bozzetto
di qualità decisamente superiore agli altri: con ogni probabilità è di mano
dello stesso Tiziano che forse qui ci vuol mostrare la prima idea avuta per la
testa di Gesù Bambino.
La figura
della Vergine col suo bambino ha svolto un ruolo straordinario nella civiltà
europea. Attraverso questa immagine, che assume forme diversissime, che è
chiamata e invocata con nomi anche contrastanti, questa civiltà non ha pensato
soltanto il proprio rapporto col divino, la relazione di Dio con la storia
umana, ma l’essenza stessa di Dio. Perché Dio è generato da una donna? Pensare
quella Donna costituisce una via necessaria per cogliere quell’essenza. E la
grande icona di quella Donna, come la Madonna della Pala Gozzi di Tiziano, non sono illustrazioni di idee già in sé
definite, bensì tracce del nostro procedere verso il problema che la sua
presenza incarna.
Maria Paola
Forlani
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