Ebrei
Una storia italiana
I primi mille anni
Noi siamo molto contenti che vengano
ad abitare qua con le loro famiglie…
Perché sempre saranno benvisti e
trattati in tutte le cose che potremo
E ogni die più se ne conteranno di
essere venuti a Casa nostra.
L’invito che
Ercole I d’Este rivolgeva nel 1492 agli Ebrei esuli dalla Spagna è tra i
momenti più alti negli otto secoli di presenza ebraica a Ferrara. Era l’inizio
dell’Età moderna quando i fuggiaschi si stanziavano nella capitale estense,
dove iniziava lo sviluppo della raffinata cultura sefardita e ora, dopo 525
anni, assistiamo a un altro evento fondamentale che si fonde e si intreccia
ancora forte e saldo, con la storia della città di Ferrara.
L’apertura
del primo grande edificio del Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della
Shoah (MEIS), con la mostra “Ebrei, una
storia italiana. I primi mille anni”, rappresenta una tappa di notevole
rilevanza nella realizzazione del Museo e della città estense.
L’ex carcere
di Ferrara, ristrutturato in modo impeccabile per essere adibito alla nuova
destinazione d’uso assegnatagli, si appresta pertanto ad assumere, in una sorta
di contrappasso, da luogo di segregazione e di esclusione, quale è stato per
tutta la durata del Novecento e in particolare negli anni bui del fascismo, il
ruolo, quanto mai significativo, di centro di cultura, di ricerca, di
didattica, di confronto e dialogo e quindi, in una parola, di inclusione.
Il MEIS
verrà poi completato entro la fine del 2020, con la costruzione di cinque
edifici moderni, connotati da volumi che richiamano i cinque libri della Torah,
destinati ad ospitare, accanto agli spazi espositivi, anche accoglienza al
pubblico, museum shop, biblioteca,
archivio, centro di documentazione e catalogazione, auditorium, laboratori didattici,
ristorante e caffetteria, dando così vita a un grande complesso museale
culturale.
Oggetto
della narrazione del MEIS, che inizia con la mostra sui primi mille anni,
condurrà il suo racconto oltre due millenni di vitale e ininterrotta presenza
degli Ebrei in Italia, con le loro tradizioni e i fondamentali contributi
arrecati alla storia e alla cultura del Paese, nonché all’ebraismo nel suo
insieme.
Pur essendo
una minoranza, il ruolo degli Ebrei è stato infatti, di primo piano già a
partire dall’epoca romana e successivamente nel Rinascimento, per continuare in
epoca moderna, nello sviluppo economico di Nord e Centro Italia e poi nel
processo di unificazione nazionale e risorgimentale, fino all’apporto alla
produzione letteraria e scientifica del XX secolo. Inoltre, nel corso dei
secoli essi hanno contribuito a instaurare numerosi rapporti tra l’Italia,
l’Europa e le altre sponde del Mediterraneo. Si può, quindi, sostenere a buon
diritto che gli Ebrei rappresentano un riferimento indispensabile per comprendere
la storia e la civiltà italiana, tra periodi più sereni di convivenza, con
interazioni feconde, e altri, tragici, di persecuzioni e cacciate, culminati
nella tragedia della Shoah.
La mostra
inaugurale, perciò, non si pone come una mera esposizione temporanea su un tema
particolare, bensì assume il carattere di una vera e propria mostra di
prefigurazione del Museo, di cui rappresenta sostanzialmente dal punto
scientifico ed espositivo, la prima grande sezione. Ad essa è assegnato
l’obiettivo di comunicare l’unicità della storia dell’ebraismo italiano,
descrivendo – per la prima volta con tale ampiezza – come la presenza ebraica
in Italia si sia formata e sviluppata in fasi successive, e come, di
generazione in generazione, gli Ebrei d’Italia abbiano costruito la propria
peculiare identità, anche rispetto al resto dell’ebraismo.
La mostra, a
cura di Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, con la collaborazione
per l’allestimento dello Studio GTRF, si presenta assolutamente originale in
una rappresentazione di contesti temporali, spaziali, sociali, culturali,
attraverso oggetti autentici o riproduzioni, testi scritti, immagini fisse o in
movimento, capaci di comunicare ai visitatori l’interpretazione dei primi mille
anni della storia degli Ebrei in Italia.
Oltre
duecento oggetti, molti dei quali preziosissimi, fra cui venti manoscritti,
sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, provenienti in
gran parte dalla Genizah del Cairo, quarantanove epigrafi di età romana e
medievale e centoventuno tra anelli, sigilli, monete, lucerne, amuleti, poco
noti o esposti per la prima volta, prestati da numerosi importanti musei
italiani e stranieri, segnalano l’importanza dell’evento ferrarese.
Leopold
Zunz, grande storico ottocentesco del giudaismo, ha scritto che i nomi
rappresentano gli annali in cifra di un popolo.
A giudicare dall’onomastica che
ricorre negli oggetti e sulle lapidi in esposizione, la vicenda ebraica nella
Penisola, tra l’età antica e quella alto-medievale, è stata molto spesso al
femminile. Tanti i nomi e gli scorci di vite di ebree – Claudia, Felicita,
Marcella, Gaudentia, Isidora, Aster, Faustina, Coelia Paterna, Mara, Ammia,
Artemidora. Spose e madri, naturalmente, ma anche orgogliose e prospere
protettrici di sinagoghe, schiave deportate dopo la presa della Città santa, o
bambine strappate dalla morte all’affetto della famiglia. Ricordate in greco,
in latino, in ebraico, perché dove c’è vita ebraica gli idiomi si moltiplicano
e si accavallano, queste figure femminili, di cui intuiamo la vivacità, sono
una delle novità di un racconto sempre avvincente.
L’ebraismo
pulsa a sud e langue nella pianura padana e verso le Alpi. Da una parte i
commerci, dall’altra la vita religiosa e quella culturale, la poesia. La vita
ebraica italiana attecchisce e si sviluppa tra Puglia, Campania, Calabria e Sicilia,
sempre ravvivata dall’antica fiamma della Comunità di Roma, vera lampada
perpetua, che ancor oggi rimane accesa, dopo tanti secoli. Sul giudaismo nel
Settentrione si conosce molto meno, soprattutto dopo il declino dell’impero
romano. Un museo dell’ebraismo italiano seve anche a questo per conoscere e
scoprirne tutti i luoghi e i suoi confini.
Maria Paola
Forlani
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