Lo specchio del gusto.
Vittorio Cini e il collezionismo
d’arte antica
Con una giornata di studi tenutasi il 14 novembre alla
Fondazione Giorgio Cini si è celebrato il suo fondatore a quarant’anni dalla
scomparsa.
Vittorio Cini (Ferrara 1885 – Venezia, 1977), imprenditore e
uomo politico coinvolto in molte delle più importanti imprese finanziarie e
produttive dell’Italia del Novecento, è tra i grandi collezionisti del XX
secolo. Raffinato uomo di cultura, fu anche mecenate e filantropo: a lui si
deve in particolare la Fondazione intitolata al figlio Giorgio tragicamente
scomparso e sorta nel 1951 sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Sede di istituti di ricerca avanzata in campo umanistico, la Fondazione fu dotata di raccolte d’arte per le attività di studio, ad esempio i disegni antichi. Gli eredi di Vittorio Cini hanno perseguito la strada del mecenatismo intrapresa dal padre. Nel 1981 la figlia Yana donò dipinti toscani dal XIII al XVI secolo, sculture di pregio e oggetti di arte decorativa nonché una porzione del palazzo di famiglia sul Canal Grande, che il padre aveva acquistato dopo le nozze con la diva del cinema muto Lyda Borelli. Ѐ nata così la Galleria di Palazzo Cini, la casa museo che restituisce il fascino e la raffinatezza della dimora paterna. Nel 1989 la Galleria si è arricchita del lascito di un’altra figlia Ylda: la straordinaria raccolta di dipinti ferraresi del Rinascimento messa insieme dal padre in omaggio alle proprie origini e con l’aiuto di Nino Barbantini che ne curò la mostra in Palazzo dei Diamanti nel 1933.
Sede di istituti di ricerca avanzata in campo umanistico, la Fondazione fu dotata di raccolte d’arte per le attività di studio, ad esempio i disegni antichi. Gli eredi di Vittorio Cini hanno perseguito la strada del mecenatismo intrapresa dal padre. Nel 1981 la figlia Yana donò dipinti toscani dal XIII al XVI secolo, sculture di pregio e oggetti di arte decorativa nonché una porzione del palazzo di famiglia sul Canal Grande, che il padre aveva acquistato dopo le nozze con la diva del cinema muto Lyda Borelli. Ѐ nata così la Galleria di Palazzo Cini, la casa museo che restituisce il fascino e la raffinatezza della dimora paterna. Nel 1989 la Galleria si è arricchita del lascito di un’altra figlia Ylda: la straordinaria raccolta di dipinti ferraresi del Rinascimento messa insieme dal padre in omaggio alle proprie origini e con l’aiuto di Nino Barbantini che ne curò la mostra in Palazzo dei Diamanti nel 1933.
Il convegno ha voluto ripercorrere l’intensa e illuminata
attività di raccoglitore di opere d’arte antica di Vittorio Cini che resta il
più annoverato collezionista del Novecento: nel presentare la sua collezione
nel 1984 Federico Zeri la definì << la
più importante fatta in Italia negli ultimi cinquant’anni>>. Le
relazioni si sono concentrate in particolare sulle figure degli storici
dell’arte che gli fecero da consulenti, come, il già citato, Nino Barbantini,
Federico Zeri e Bernard Berenson. Altre relazioni hanno analizzato affinità e
differenze fra Vittorio Cini e altri collezionisti a lui contemporanei: Angelo
Costa, Riccardo Gualino, Guido Cagnola e Aldo Crespi. La giornata è stata
introdotta da Giovanni Bazoli e Luca Massimo Barbero, rispettivamente
presidente della Fondazione Cini e direttore dell’Istituto di Storia dell’arte
della Fondazione stessa. Molto si è parlato di Zeri, che sospesosi
dall’attività presso la Soprintendenza in cui era impegnato, ha preferito sempre
frequentare gli antiquari italiani per il piacere di conoscere, di identificare,
di scoprire nuovi dipinti e per lui, profondo ricercatore, queste frequentazioni
diventavano indispensabili. Nel 1952 Zeri comincia un rapporto di
collaborazione regolare con Alessandro Contini Bonacossi e Giovanni Salocchi
che saranno personaggi centrali per l’arricchimento della collezione Cini.
<<Debbo dire, scrive Zeri in Confesso che ho sbagliato, che non mi trovai
mai imbarazzato quando, per un breve periodo, dovetti lavorare nello stesso
tempo per l’uno e per l’altro>> cioè per Contini Bonacossi e per
Vittorio Cini: questa frase riflette la situazione di fiducia che si era
stabilita fra i due.
Questo tipo di tranquillità, di onestà professionale e nello
stesso tempo di coinvolgimento personale negli interessi commerciali si appiana
completamente percorrendo quelle che sono le acquisizioni che Cini ha fatto
presso Contini Bonacossi e presso Giovanni Salocchi.
Descrive così la collezione Federico Zeri << Per
illustrare la ricchezza della collezione , citerò il secondo piano della Casa
di san Vio dove era riunita una splendida raccolta di opere dal XIII al XV
secolo: una pala d’altare dell’immediata cerchia di Duccio da Boninsegna, un
grande polittico pisano del Trecento, opere fiorentine e marchigiane e, di
estrema rarità, due tavole della scuola del Trecento di Rimini che io avevo
rintracciato a Firenze e a Londra. […]. Al primo piano c’erano le grandi
sale da ricevimento. La gemma era la famosa <<Madonna Villamarina>> di Piero della Francesca, accanto a un
magnifico <<Giudizio di
Paride>> di Sandro Botticelli e dei suoi allievi, un Cosmè Tura, tre
Ercole de’Roberti […].
Anche da una scorsa così rapida si può comprendere il gusto
del collezionista. Cini era rimasto <<segnato>> dagli stereotipi di
moda all’inizio secolo e dalle gerarchie di valori fissati dalla cultura
anglosassone, da Walter Pater a Bernard Berenson.
Era una visione della cultura italiana come
<<apogeo>> dai primitivi all’apogeo nel Rinascimento (soprattutto
toscano), dopodichè non esistevano che rovine e decadenza, con breve riprese
nel Settecento veneziano. Invano e più volte avevo cercato di far capire a Cini
la grandezza di Caravaggio di Bernini o, a livelli un po’ inferiori, di un
Giulio Procaccini, di un Bernardo Cavallino, di un Valerio Castello o di un
Johann Liss. Non li capiva o ostentava un profondo disprezzo verso qualsiasi
aspetto del Barocco, che vedeva, seguendo l’esempio di Berenson, come una
degradazione delle forme del Rinascimento. Era una sorta di cecità, ancora più
sorprendente considerando che accettava Tiepolo e Guardi […].
Un’altra residenza importante nella vita di Vittorio Cini, fu
il Castello di Monselice, dimora paterna dove Vittorio continuò il lavoro di
industriale e finanziere del padre. Nel 1934 fu nominato senatore del Regno,
ministro delle Comunicazioni e nel marzo 1933 fu nominato da Mussolini “Conte
di Monselice”, soprattutto per i grandi lavori di restauro compiuti nel
castello di Monselice.
A Ferrara resta la casa natale di Vittorio Cini sul lato
destro di via Boccacanale di Santo Stefano, al numero 24 sotto portici
medievali. IL conte mantenne sempre un legame affettivo forte con questa casa
paterna, in cui visse episodi importanti della sua vita e in cui era solito
tornare ogni mese, finchè l’età glielo consentì. A Ferrara donò il palazzo di
Renata di Francia all’Università e destinò la casa di famiglia alla Provincia
Romana della Compagnia di Gesù, affinchè ne facesse un centro culturale e di
formazione educativo e morale dei giovani, come recita l’epigrafe collocata in
cima allo scalone d’onore: “Questa Casa Giorgio Cini / dedicata alla cultura /
e alla gioventù ferrarese / è vivente e operante testimonianza / di paterno e
filiale amore”.
Esaurita la presenza dei gesuiti a Ferrara, la casa fu
affidata nel 1984 a don Franco Patruno e a don Francesco Forini; partito per le
missioni in Africa quest’ultimo, don Patruno, finchè fu in vita, ha continuato
a dirigere le attività culturali dell’Istituto. Ha ospitato mostre di pittura,
concerti, corsi di aggiornamento, conferenze e altre attività formative.
Ora la Casa è stata, miseramente, affittata per uffici ed
altro, e quella forza di amore e solidarietà tanto voluta dal conte Vittorio
Cini e così fortemente vissuta da don Franco Patruno si è persa in un silenzio
desolante di “morte”.
Ma tutto questo il conte Vittorio Cini non lo saprà mai.
Ma tutto questo il conte Vittorio Cini non lo saprà mai.
Maria Paola Forlani
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