giovedì 7 dicembre 2017

LO SPECCHIO DEL GUSTO

Lo specchio del gusto.

Vittorio Cini e il collezionismo d’arte antica


Con una giornata di studi tenutasi il 14 novembre alla Fondazione Giorgio Cini si è celebrato il suo fondatore a quarant’anni dalla scomparsa.
Vittorio Cini (Ferrara 1885 – Venezia, 1977), imprenditore e uomo politico coinvolto in molte delle più importanti imprese finanziarie e produttive dell’Italia del Novecento, è tra i grandi collezionisti del XX secolo. Raffinato uomo di cultura, fu anche mecenate e filantropo: a lui si deve in particolare la Fondazione intitolata al figlio Giorgio tragicamente scomparso e sorta nel 1951 sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Sede di istituti di ricerca avanzata in campo umanistico, la Fondazione fu dotata di raccolte d’arte per le attività di studio, ad esempio i disegni antichi. Gli eredi di Vittorio Cini hanno perseguito la strada del mecenatismo intrapresa dal padre. Nel 1981 la figlia Yana donò dipinti toscani dal XIII al XVI secolo, sculture di pregio e oggetti di arte decorativa nonché una porzione del palazzo di famiglia sul Canal Grande, che il padre aveva acquistato dopo le nozze con la diva del cinema muto Lyda Borelli. Ѐ nata così la Galleria di Palazzo Cini, la casa museo che restituisce il fascino e la raffinatezza della dimora paterna. Nel 1989 la Galleria si è arricchita del lascito di un’altra figlia Ylda: la straordinaria raccolta di dipinti ferraresi del Rinascimento messa insieme dal padre in omaggio alle proprie origini e con l’aiuto di Nino Barbantini che ne curò la mostra in Palazzo dei Diamanti nel 1933.

Il convegno ha voluto ripercorrere l’intensa e illuminata attività di raccoglitore di opere d’arte antica di Vittorio Cini che resta il più annoverato collezionista del Novecento: nel presentare la sua collezione nel 1984 Federico Zeri la definì << la più importante fatta in Italia negli ultimi cinquant’anni>>. Le relazioni si sono concentrate in particolare sulle figure degli storici dell’arte che gli fecero da consulenti, come, il già citato, Nino Barbantini, Federico Zeri e Bernard Berenson. Altre relazioni hanno analizzato affinità e differenze fra Vittorio Cini e altri collezionisti a lui contemporanei: Angelo Costa, Riccardo Gualino, Guido Cagnola e Aldo Crespi. La giornata è stata introdotta da Giovanni Bazoli e Luca Massimo Barbero, rispettivamente presidente della Fondazione Cini e direttore dell’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione stessa. Molto si è parlato di Zeri, che sospesosi dall’attività presso la Soprintendenza in cui era impegnato, ha preferito sempre frequentare gli antiquari italiani per il piacere di conoscere, di identificare, di scoprire nuovi dipinti e per lui, profondo ricercatore, queste frequentazioni diventavano indispensabili. Nel 1952 Zeri comincia un rapporto di collaborazione regolare con Alessandro Contini Bonacossi e Giovanni Salocchi che saranno personaggi centrali per l’arricchimento della collezione Cini. <<Debbo dire, scrive Zeri in Confesso che ho sbagliato, che non mi trovai mai imbarazzato quando, per un breve periodo, dovetti lavorare nello stesso tempo per l’uno e per l’altro>> cioè per Contini Bonacossi e per Vittorio Cini: questa frase riflette la situazione di fiducia che si era stabilita fra i due.
Questo tipo di tranquillità, di onestà professionale e nello stesso tempo di coinvolgimento personale negli interessi commerciali si appiana completamente percorrendo quelle che sono le acquisizioni che Cini ha fatto presso Contini Bonacossi e presso Giovanni Salocchi.
Descrive così la collezione Federico Zeri << Per illustrare la ricchezza della collezione , citerò il secondo piano della Casa di san Vio dove era riunita una splendida raccolta di opere dal XIII al XV secolo: una pala d’altare dell’immediata cerchia di Duccio da Boninsegna, un grande polittico pisano del Trecento, opere fiorentine e marchigiane e, di estrema rarità, due tavole della scuola del Trecento di Rimini che io avevo rintracciato a Firenze e a Londra. []. Al primo piano c’erano le grandi sale da ricevimento. La gemma era la famosa <<Madonna Villamarina>> di Piero della Francesca, accanto a un magnifico <<Giudizio di Paride>> di Sandro Botticelli e dei suoi allievi, un Cosmè Tura, tre Ercole de’Roberti [].
Anche da una scorsa così rapida si può comprendere il gusto del collezionista. Cini era rimasto <<segnato>> dagli stereotipi di moda all’inizio secolo e dalle gerarchie di valori fissati dalla cultura anglosassone, da Walter Pater a Bernard Berenson.
Era una visione della cultura italiana come <<apogeo>> dai primitivi all’apogeo nel Rinascimento (soprattutto toscano), dopodichè non esistevano che rovine e decadenza, con breve riprese nel Settecento veneziano. Invano e più volte avevo cercato di far capire a Cini la grandezza di Caravaggio di Bernini o, a livelli un po’ inferiori, di un Giulio Procaccini, di un Bernardo Cavallino, di un Valerio Castello o di un Johann Liss. Non li capiva o ostentava un profondo disprezzo verso qualsiasi aspetto del Barocco, che vedeva, seguendo l’esempio di Berenson, come una degradazione delle forme del Rinascimento. Era una sorta di cecità, ancora più sorprendente considerando che accettava Tiepolo e Guardi [].
Un’altra residenza importante nella vita di Vittorio Cini, fu il Castello di Monselice, dimora paterna dove Vittorio continuò il lavoro di industriale e finanziere del padre. Nel 1934 fu nominato senatore del Regno, ministro delle Comunicazioni e nel marzo 1933 fu nominato da Mussolini “Conte di Monselice”, soprattutto per i grandi lavori di restauro compiuti nel castello di Monselice.

A Ferrara resta la casa natale di Vittorio Cini sul lato destro di via Boccacanale di Santo Stefano, al numero 24 sotto portici medievali. IL conte mantenne sempre un legame affettivo forte con questa casa paterna, in cui visse episodi importanti della sua vita e in cui era solito tornare ogni mese, finchè l’età glielo consentì. A Ferrara donò il palazzo di Renata di Francia all’Università e destinò la casa di famiglia alla Provincia Romana della Compagnia di Gesù, affinchè ne facesse un centro culturale e di formazione educativo e morale dei giovani, come recita l’epigrafe collocata in cima allo scalone d’onore: “Questa Casa Giorgio Cini / dedicata alla cultura / e alla gioventù ferrarese / è vivente e operante testimonianza / di paterno e filiale amore”.
Esaurita la presenza dei gesuiti a Ferrara, la casa fu affidata nel 1984 a don Franco Patruno e a don Francesco Forini; partito per le missioni in Africa quest’ultimo, don Patruno, finchè fu in vita, ha continuato a dirigere le attività culturali dell’Istituto. Ha ospitato mostre di pittura, concerti, corsi di aggiornamento, conferenze e altre attività formative.

Ora la Casa è stata, miseramente, affittata per uffici ed altro, e quella forza di amore e solidarietà tanto voluta dal conte Vittorio Cini e così fortemente vissuta da don Franco Patruno si è persa in un silenzio desolante di “morte”.
Ma tutto questo il conte Vittorio Cini non lo saprà mai.

Maria Paola Forlani



Nessun commento:

Posta un commento