Huma Bhabha. The Company
C’è
così tanta devastazione fisica in diverse parti del mondo che molte città vive
sembrano degli scavi archeologici. Uno dei modi con cui amo avvicinarmi al
passato è quello cinematografico, reimmaginandolo e proiettandolo verso il
futuro come spesso solo il cinema fa.
-Huma
Bhabha
La
galleria Gagosian presenta The Company, una mostra di nuove sculture e disegni
di Huma Bhabha, aperta fino al 14 dicembre 2019. È la prima volta che l’artista pakistana espone
a Roma.
Tramite
espressivi disegni su fotografia e sculture figurative intagliate nel sughero e
nello Styrofoan, realizzate con materiali di scarto e argilla, o fuse in
bronzo, Bhabha esplora le tensioni tra tempo, memoria, e sradicamento. Tra
fantascienza, resti archeologici, rovine romane e utopia postbellica l’artista
trasforma la figura umana in totem ghignanti, allo stesso tempo figure
inquietanti e sinistramente divertenti.
The
Company è in parte ispirata a “La Lotteria a Babilonia” (1941), un breve racconto
di Jorge Luis Borges nel quale una società immaginaria è sopraffatta dal
sistema di una lotteria incombente che dispensa ricompense e punizioni. La
lotteria è presumibilmente diretta dalla Compagnia, un segreto, forse
inesistente organismo che decide i destini delle persone. La processione di
sculture di Bhabha svela il potere di questa Compagnia misteriosa.
Questa
comprende un paio di grandi mani disarticolate dal corpo che sembrano fluttuare
su piedistalli trasparenti; una figura seduta; e numerose figure in piedi di
diverse dimensioni. I disegni su fotografia richiamano questi personaggi, che
potrebbero provenire da un lontano regno futuristico così come da una civiltà
perduta. Le figure in piedi sono intagliate in pile di sughero scuro, emanante un
acre odore di terra, e dal suo opposto tecnico, lo Styrofoam. Questi materiali,
dall’aspetto duro e compatto, come pietre erose e marmi appena estratti, sono
in realtà leggeri e morbidi e permettono a Bhabha di scolpire in maniera rapida
e spontanea senza rifiniture. Il processo scultoreo diventa così una sorta di
flusso di coscienza dal quale emergono mostri alieni, divinità e kouros greci.
I
visi delle sculture di Bhabha simili a maschere sono allo stesso tempo maestosi
e conturbanti. Dipinti in sorprendenti toni pastello-azzurro, malva, rosa e
verde –richiamano i graffiti, nei quali la sporcizia urbana si mescola a
interventi pittorici dai colori brillanti. Con i loro lineamenti folli da
cartone animato rafforzati da un profetico bipedismo, le sculture di Bhabha
sembrano sia prendere in giro che mettere in guardia, in quanto riflessioni e
testimoni dell’orgoglio e del potere umano, della venerazione e
dell’iconoclastia.
Accostando
cicatrici di guerra, il colonialismo e i traumi ad allusioni ad eventi attuali
e ai media di massa, Bhabha ha a lungo sostenuto che il mondo sia
un’apocalisse, creata sia dall’uomo che dalla natura: le sculture saccheggiate
sembrano essere testimoni di una certa catastrofe alla quale sono riuscite a
sopravvivere per raccontarne la storia. Come un faraone sul trono e un cyborg
colpito da una pioggia di schegge di proiettili, una figura seduta è realizzata
con argilla giallastra compressa in rete metallica, frammenti da Karachi la
città natale di Bhabha, intrappolata in un fuoco incrociato di conflitti e
internazionali.
Nei
disegni di grande formato di Bhabha, le figure umane e non umane abitano lo
spazio condiviso da fotografia, collage e gesti pittorici: i loro visi
eterogenei e le forme indistinte sembrano infestare paesaggi, strade cittadine
e siti architettonici. In uno di questi, un arco blu e beige interferisce su
una fotografia che Bhabha ha scattato a Roma, ai Musei Capitolini, ad un’antica
statua di un cane, con due Kouroi che incombono sullo sfondo.
Oltre
alle sculture, l’artista pachistana realizza anche dipinti e disegni dai tratti
espressionisti e dai colori violetti, che ricordano i graffiti di Jean-Michel
Basquiat. Spesso Bhabha interviene pittoricamente sovrapponendo volti umani su
immagini di animali, ritratti dei suoi cani o calendari con foto di ghepardi,
coyote e lupi: <<Adoro i cani e i lupi mannari>>, racconta.
Nella
mostra romana è esposta una serie di dipinti dove il cane, come il coyote di
Joseph Beuys, è una sorta di mediatore tra il mondo dell’uomo e il regno della
natura: <<L’interazione di Joseph Beuys con il coyote nella performance I like
America and America like me (1974)
è per me un riferimento fondamentale>>. In mostra anche uno scatto di
Huma Bhabha che ritrae un’antica statua di cane conservata ai Musei Capitolini,
sorvegliata da due Kouroi bianchi. Proprio i ricordi legati a un
viaggio di studio a Roma e l’impressione suscitata dai resti smembrati della
statua colossale di Costantino I a Palazzo dei Conservatori sono all’origine
del suo immaginario, popolato da personaggi che paiono testimoni scampati a una
tragedia per raccontarne la storia.
Biografia
Huma
Bhabha è nata nel 1962 a Karachi, Pakistan, vive e lavora a Poughkeepsie, New
York. I suoi lavori sono inclusi nelle collezioni del Museum of Modern Art, New
York; Bronx Museum of Art; Centre Pompidou, Parigi; Collezione Maramotti,
Reggio Emilia, Italia; e della Art Gallery of New South Wales, Sidney. Ha
partecipato alla 56th Biennale di Venezia (2015); e al 57th Carnegie
International, Carnegie Museum of Art, Pisttsburg, Pa (2018).
M.P.F.
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