giovedì 14 novembre 2019

PLASMATO DAL FUOCO


Plasmato dal Fuoco

La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici


Tutta l’energia dell’arte barocca imprigionata nel metallo, grazie alla potenza viva della fiamma: è questo, in sintesi, il concetto di Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici,

mostra accolta fino al 12 gennaio 2020 al Tesoro dei Granduchi, negli spazi al pianterreno di Palazzo Pitti. Le opere sono oltre 170, con molti prestigiosi prestiti da musei internazionali, quali i Musei Vaticani, il Louvre, il Victoria and Albert di Londra, l’Hermitage di San Pietroburgo, il Getty di Los Angeles, la National Gallery of Art di Washintgton, la Frick Collection di New York e molti altri. Nelle sei sale al piano terra della reggia, la narrazione parte da un piccolo nucleo di opere di Giambologna: dal lavoro di questo fiammingo, eletto artista di corte da Francesco I de’ Medici, parte la grande stagione della bronzistica fiorentina, culminando nella seconda metà del ‘600 con artisti celebri anche fuori dal territorio toscano e nazionale come Giovan Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi.

L’esposizione, curata dal direttore degli Uffizi Eike Schmidt insieme a Sandro Bellesi e Riccardo Gennaioli, offre per la prima volta un racconto completo ed esaustivo della decorazione in pietre dure, che diventa moneta corrente per doni diplomatici con le altre corti europee, materia di scambi di natura tecnica e mercantile, oggetto di commissioni importanti da parte delle teste coronate e della nobiltà del continente.

Tante le novità della rassegna, a cominciare dal Giambologna: dell’artista si può ammirare un’inedita, squisita Venere al Bagno (di collezione privata) realizzata per Enrico IV di Francia ma mai esposta fino ad oggi al grande pubblico. Sempre del Giambologna, il San Giovanni restaurato per l’occasione; da segnalare inoltre il grande ritorno da Roma di un gruppo di copie delle statue antiche della Tribuna del Buontalenti, realizzate in bronzo dal Foggini con la probabile collaborazione di Pietro Cipriani. Sono state riscoperte al Ministero dell’Economia e delle Finanze proprio durante le ricerche per la mostra, quasi 150 anni dopo che Quitino Sella le aveva portate con sé a Roma.
Un altro grande ritorno è quello dei gruppi scultorei un tempo accolti proprio in Palazzo Pitti negli appartamenti dell’Elettrice Palatina: originariamente 12, furono lasciati in eredità da Anna Maria de’ Medici ai parenti, amici e istituzioni, ma nei secoli sono stati poi dispersi in varie collezioni e musei. Adesso, ben 11 sono stati raccolti e riuniti per essere esposti all’interno di questa mostra, compreso l’ultimo riconosciuto nel 2006 nelle collezioni reali di Madrid.

Di Soldani Benzi, maestro straordinario e versatile, si può ammirare il bronzo con l’incontro tenerissimo tra Gesù bambino e San Giovannino; e ancora confrontare la sua versione del Fauno danzante con quello di Foggini e quella realizzata in porcellana di Doccia: si vuole infatti ricordare l’importanza della Manifattura locale di porcellane, nel preservare e tramandare, in modo seriale ma sempre con risultati altissimi, le forme e i modelli di questa grande stagione scultorea fiorentina. La tecnica eccelsa raggiunta dai maestri fiorentini del bronzo si può ancora apprezzare negli ostensori, nei meravigliosi e ricchissimi oggetti sacri, e nei due Cristi Crocifissi del Giambologna e di Pietro Tacca – il celeberrimo autore del Porcellino nonché allievo prediletto del Giambologna.
Ai visitatori nel percorso espositivo diventeranno familiari i nomi di Giuseppe Piamontini, Giovacchino Fortini, Antonio Montauri, Agostino Cornacchini, Lorenzo Merlini, Girolamo Tacciati, Giovan Camillo Cateni e Pietro Cipriani, e altri emersi dagli archivi in occasione della mostra, come Francesco Formigli, figura fino ad oggi poco nota a cui è stato possibile attribuire su base documentaria ben tre opere.
Completano l’esposizione la raccolta di 42 disegni di Soldani Benzi, uno straordinario blocco di fogli acquistati dagli Uffizi solo un anno e mezzo fa, e alcuni dipinti, tra i quali anche tele dei Dandini e dei Bimbi, posti in dialogo con la plasticità delle sculture.

La splendida Fontana del Bacchino (1658-1665) di Ferdinando Tacca proveniente da Prato inserita in una sala del palazzo Comunale, fu citata criticamente da Gabriele D’Annunzio, ricordando gli anni nei quali era stato convittore del collegio Cicognini di Prato “E amico l’ebbi, il pargolo divino, su l’agil coppa sua, tra i freschi getti. Ei m’insegnava il riso di Lieo. Or fatto è prigioniero nel museo squallido, in mano degli scribi inetti. Io spremo dai miei grappoli il mio vino” (D’Annunzio 1903, p. 160).

L’opera dal centro della bassa ed ampia vasca, con pianta derivata da un ottagono, emerge il basamento della tazza, di sezione quadrata, con cornici digradanti in marmo e zona superiore in bronzo.
Questa – come la tazza soprastante – mostra una fantasia ancora nutrita di spunti giambologneschi e buontalentani, con elementi di matrice fantastica: gli spigoli sono segnati da figure di sirene alate, con doppie code aperte e intrecciate fra loro, le cui teste divengono semplici, carnose volute a sostegno della soprastante cornice marmorea con, chiari, riferimenti alla base del Nettuno al Gianbologna. Dalla vasca emerge un basamento in marmo, appena arricchito sugli spigoli da foglioni ricadenti che è coronamento del gruppo bronzeo col Bacco fanciullo, seduto, quasi attorto su una roccia, in una dinamica spirale e che si conclude nell’orgogliosa testa eretta del giovane dio, dalla folta capigliatura ricciuta. Senza sforzo apparente Bacco schiaccia con le mani due corposi grappoli d’uva, dai quali fuoriescono i getti d’acqua: un getto maggiore dalla sua bocca raggiunge la vasca.



M.P.F.

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