Il Tempo di Giacometti da Chagall a
Kandinsky
Capolavori dalla Fondazione Maeght
Il Comune di
Verona e Linea d’ombra, assieme alla Fondazione Marguerite e Aimè Maeght, con
l’apporto fondamentale del Gruppo Baccini in qualità di principale sponsor,
presentano a Verona, nel Palazzo della Gran Guardia, una grande mostra
organizzata da Linea d’ombra e curata da Marco Goldin.
Il tempo di
Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght (aperta
fino al 5 aprile) è una superba incursione, con un centinaio di opere tra
sculture, dipinti e disegni, nel terreno del più alto Novecento internazionale,
avendo Parigi quale centro. Una vera e propria monografia dedicata ad Alberto
Giacometti, con oltre settanta opere, unitamente ad altri artisti che
gravitavano nella Parigi soprattutto degli anni tra le due guerre ma anche nei
due decenni successivi, da Kandinsky a Braque, da Chagall a Mirò, con un’ulteriore
ventina di dipinti celebri, spesso di grande formato.
Si tratta di uno
splendido spaccato dell’ambiente che ha caratterizzato la vita e l’opera di
Alberto Giacometti (1901-1966), considerato a ragione il più importante
scultore del XX secolo. Un intero mondo fatto anche di straordinarie relazioni
con altri artisti famosi come lui, tutto ciò reso possibile grazie
all’intervento della Galleria prima, e della Fondazione poi, fondate da Aimè e
Marguerite Naeght. Si tratta quindi di una storia corale e non una, pur
bellissima, monografia sull’opera di un artista straordinario come Alberto
Giacometti.
Marco Goldin ha
curato l’esposizione, tornando in questo modo al suo amore per il XX secolo e
agli studi del Novecento, da cui è partito fin dagli anni universitari: “
Giacometti è stato una delle mie primissime passioni nel campo dell’arte, poco
dopo i vent’anni. Lo cercavo nei libri, nelle mostre e nei musei d’Europa. Ho
immensamente amato dapprincipio i suoi disegni, diversi dei quali ho infatti
scelto di portare in Gran Guardia. Poi i suoi quadri così sincopati,
soprattutto le figure e le nature morte, anch’essi presenti a Verona, e
naturalmente le celeberrime sculture.
Sono felice di poter rendere omaggio a
Giacometti in Italia con questa mostra così vasta, con opere che ne
attraversano tutta la carriera, dal suo tempo giovanile in Svizzera alle
sculture inaugurali attorno ai quindici anni fino alle prove surrealiste e a
quelle ormai facenti parte dell’immaginario collettivo, della maturità”.
È giusto dire che questa mostra serve
anche a rievocare una delle più straordinarie avventure culturali in Europa
dalla metà del secolo in poi, quella di Aimè e Marguerite Maeght, che prima
dell’inizio della Seconda guerra mondiale fondano a Cannes una loro galleria.
Nell’ottobre 1945 aprirà la galleria parigina, dove due anni dopo verrà
presentata, con successo senza precedenti, l’Esposizione internazionale del
Surrealismo, in collaborazione con Duchamp e Breton.
Nel 1964 poi viene
inaugurata a Saint-Poul-de-Vence la Fondazione Maeght, con un insieme
architettonico concepito per presentare l’arte moderna e contemporanea in tutte
le sue forme. La Fondazione possiede oggi una delle più importanti collezioni
in Europa di dipinti, disegni, sculture e opere grafiche del XX secolo, con
nomi di grande importanza che sono stati legati alla famiglia Maeght per decenni,
Giacometti in primis.
“È affascinante ormai non più soltanto
immaginare, ma anche effettivamente vedere- conclude Marco Goldin – nel vasto
salone centrale della Gran Guardia la Donna in piedi, scultura filiforme di
quasi tre metri di altezza, fino alla scultura più celebre tra tutte, L’uomo
che cammina, esposto al suo fianco.
Nel mezzo la ricostruzione precisa, e
poetica, dell’intera vita di Giacometti, tra disegni e pitture e soprattutto
tante tra le sue famosissime sculture, dai busti e le teste del fratello Diego,
ai cani, ai gatti, alle foreste fatte di figure quasi liquefatte. Fino alla
notissima figura femminile del 1956, detta Donna di Venezia, esposta alla
Biennale veneziana di quell’anno e che tanto successo riscosse. Ebbene di
quella figura la Fondazione Maeght possiede tutte le nove variazioni, che
puntualmente sono giunte a Verona per essere esposte, per un confronto che rare
volte nel mondo intero si è fatto”.
Figurazione
lineare e scheletrica, quei suoi uomini ridotti a lunghe linee e quasi arbusti
carbonizzati, che sono la cifra del suo stile, Giacometti è il vero
protagonista della rassegna. Sono figure esistenziali, le sue, ma di un
esistenzialismo che non diventa mai una moda o un gioco mondano, perché nasce
da un autentico sentimento drammatico. L’artista è stato infatti fra i pochi,
nei due decenni del Dopoguerra, che ha saputo ancora rappresentare l’uomo in
modo credibile, al di fuori del realismo sociale e della pittura illustrativa.
I suoi volti, come quello del fratello Diego, ripreso in un intrico di rughe,
corrosioni, sporgenze e rientranze che ne agitano la fisionomia, hanno una
intensa – e non teatrale – drammaticità. Così le sue figure che camminano e non
si sa dove vadano (non lo sanno nemmeno loro); le sue sagome smangiate dal
vento e dal tempo, corrose come se fossero coperte di cicatrici eppure
saldamente attaccate alla terra, con quella specie di “scarpone” che la tiene
ancorata al suolo, sono una delle interpretazioni dell’uomo più commoventi del
Novecento. Di un secolo, cioè, percorso più che mai dalla violenza, ma anche da
un sentimento di incomprensibilità delle cose e del nostro stesso destino.
Le
sue figure si ergono nello spazio a guisa di simboli della solitudine, talvolta
della disperazione e dell’angoscia: una popolazione smarrita in un labirinto
Kafkiano.
Maria Paola
Forlani
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