Arte Lombarda
Dai Visconti agli Sforza
Milano al centro dell’Europa
Milano al Centro dell’Europa
La mostra che si è aperta a
Palazzo Reale di Milano, fino al 28 giugno 2015, a cura di Mauro
Natale e Serena Romano, si ispira in modo programmatico, ma criticamente
rivisto, alla straordinaria esposizione Arte
lombarda dai Visconti agli Sforza, allestita nel 1958 nelle stesse sale,
risanate dopo i bombardamenti del 1943: un progetto che aveva allora costituito
l’affermazione dell’identità culturale milanese e lombarda e della grandezza
della sua tradizione artistica.
Promossa dall’Assessorato
della Cultura del Comune di Milano, coprodotta da Palazzo Reale e da Skira editore, la mostra di oggi
ripensa quel progetto nella chiave
più pertinente e attuale:
quella della centralità di Milano e della Lombardia, alle radici dell’Europa
moderna.
Al centro della riflessione
della mostra del 1958 e dei suoi precedenti era, forte, il concetto di
“lombardo”: un concetto difficile, sfrangiato e nondimeno essenziale per un’equilibrata
visione della storia dell’arte, e della storia tout court, italiana ed europea. Longhi – che apre la sua Introduzione al catagolo con la celebre
perorazione in cui accusa, di fatto, i lombardi di aver quindi provocato “La
lunga dimenticanza dei valori d’arte di Lombardia” – ricercava una “schedatura
di valori che, mentre s’inseriscono a buon diritto nel corpo dell’arte d’Italia,
rilevano certe persistenze di aspetti e preferenze poetiche che sarà ormai
ingiusto chiamare altrimenti che ‘lombarde’”.
L’affermazione, così forte e
decisa, segnò un discrimine negli studi e di certo funzionò anche come un
appello alla responsabilità degli studiosi, che nel loro lavoro specialistico e
professionale sapevano ora di dover fronteggiare un problema anche civile, e
certamente una delle questioni di fondo che attengono alla costruzione delle
gerarchie culturali italiane, da Dante fino a oggi, passando per il punto
cruciale della critica di Giorgio Vasari.
A più di cinquant’anni
dell’esposizione di Palazzo Reale, questa nuova splendida mostra propone una
rilettura della storia artistica lombarda, riconoscendo nelle aperture e nelle
relazioni con gli altri territori una parte sostanziale della sua identità.
Il percorso della mostra si
svolge attraverso una serie di tappe in ordine cronologico, che costituiscono
altrettante sezioni e sottosezioni, che illustrano la progressione degli eventi
e la densità della produzione artistica: pittura, scultura, oreficeria,
miniatura, vetrate, con una vitalità figurativa che soddisfa le esigenze della
civiltà cortese e conquista rinomanza internazionale al punto da divenire sigla
d’eccellenza riconosciuta: L’ “ouvraige de Lombardie”.
Dopo una breve sezione
introduttiva che offre il contesto storico, presentando una galleria di ritratti
delle due dinastie di grandi committenti, i decenni centrali del Trecento
costituiscono la prima sezione espositiva, dedicata a illustrare come i Visconti abbiano impresso una svolta
fondamentale alla cultura lombarda, dapprima a Milano e in Lombardia artisti
“stranieri” – i toscani Giotto e Giovanni di Balduccio – poi aprendo
cantieri nelle capitali del ducato, nelle città satelliti, nelle campagne,
occupando gli spazi urbani e rinnovando quelli ecclesiastici; fondando
biblioteche, come quella di Pavia, che fu una delle più importanti del mondo
occidentale e fu poi in gran parte spostata in Francia dopo la conquista del
ducato.
Sono qui esposte opere di
grandissimo pregio e di svariate ed eccelse tecniche, dipinti su tavola,
affreschi, vetrate, sculture in marmo, legno, pietra, oreficerie, miniature,
bronzi, ricami, arazzi; tra gli altri, i manoscritti Liber Pantheon del 1331 e il Libro
d’Ore Bodmer della Morgan Library, splendide vetrate della chiesa di Santa
Maria Matris Domini di Bergamo, uniche del Trecento esistenti in Lombardia,
alcune mirabili opere in marmo di Giovanni
di Balduccio, del Maestro di
Viboldone e di
Bonino da Campione provenienti, oltre che dalla Lombardia, da importanti musei europei e
americani, disegni, tavole e affreschi di Giovanni
da Milano, di Giusto de’Menabuoi, del
Maestro di San Nicolò dei Celestini.
Si assiste qui alla
trasformazione del linguaggio figurativo lombardo, dapprima ancora legato alla
tradizione autoctona, come nella austera e arcaica Madonna col Bambino del Maestro
degli Osili (1330 circa), poi innovato dagli artisti toscani, intrisi di
cultura francese.
Una seconda tappa è quella
degli anni attorno al 1400, dove domina Gian Galeazzo Visconti, personaggio
chiave del tardo gotico lombardo: sono gli anni del grande cantiere del Duomo
di Milano.
A volgere del 1400, grazie
alla personalità magnetica e intraprendente di Gian Galeazzo, i rapporti della
corte milanese con altre corti e gli altri grandi cantieri europei –
specialmente Parigi; ma anche Praga, Vienna, Budapest, le Fiandre – sono
strettissimi e contribuiscono alla fioritura di una cultura gotica che
rappresenta uno dei punti culminanti dell’esposizione. I protagonisti di questa
stagione sono Giovannino de’Grassi e
in seguito Michelino da Besozzo: entrambe
lavorano al cantiere del Duomo, sono esposte in mostra opere notevolissime come
alcuni m
anoscritti – il Taccuino di
disegni, l’Offiziolo di Visconti e il Landau
Finaly 22 di
De’ Grassi e
il Libro d’Ore di Michelino da Avignone. Questo
straordinario momento creativo corrisponde all’apice del fasto della corte
pavese verso la quale convergono artisti di primissimo piano, italiani e
stranieri come Jean d’Ambois, Gentile da
Fabriano, di cui è in mostra una splendida tavola da Pavia e Pisanello.
Nella terza sezione si passa al lungo regno di Filippo Maria Visconti, molto diverso da Gian Galeazzo, con una
personalità nevrotica, non adatta a riunire una vita di corte di qualità.
Comincia la crisi del ducato e molti artisti lasciano la Lombardia ,
disperdendosi, Michelino da Besozzo va infatti a Venezia, Verona e Vicenza, poi
rientra a Milano, ma non lavora più per la committenza ducale. In questa
sezione domina comunque il linguaggio tardo-gotico con largo uso di materiali
preziosi, ori, vestiti sfarzosi, con opere straordinarie: le tavole di Michelino di Verona (Museo di
Castelvecchio), di Siena (Pinacoteca Nazionale) e di New York (Metropolitan
Museum); magnifici manoscritti di seguaci di Michelino, il bellissimo polittico
con
Madonna col Bambino, Santo e donatore (1447) di Maestro
Paroto; e ancora pale d’altare, messali, miniature, i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo, di cui è stata ricomposta in mostra il capolavoro
costituito dall’Incoronazione del
Museo Cremona e delle due tavole che l’affiancavano, ora al Museo di Denver.
Il capitolo successivo, la quarta sezione, mette a fuoco
l’importanza capitale dello snodo figurativo che corrisponde alla fine dei
Visconti e alla presa di potere di Francesco
Sforza (gli anni intorno al 1450) fino a tutto il periodo di governo di
Galeazzo Maria Sforza. Le iniziative di Francesco
Sforza si collocano all’insegna della continuità con il passato, ma
integrano anche nuove esperienze favorite dalla politica di alleanze sulle
quali il duca poggia il proprio potere. Anche il progressivo spostamento della
sede della corte da Pavia a Milano, destinata a diventare a breve l’unica
capitale stabile del ducato, facilita l’avvento di nuove maestranze e nuove
tendenze: il razionalismo figurativo di Vincenzo
Foppa che si apre al linguaggio padovano si confronta con il naturalismo di
origine fiamminga che filtra da Genova e seduce i signori italiani. È
il periodo delle grandi botteghe che si spartiscono il lavoro delle grandi
imprese decorative al Castello Sforzesco a Milano e a Pavia: Foppa, Bembo, Zanetto Bugatto, Borgognone.
Una quinta sezione e ultima tappa è dedicata agli anni di Ludovico il Moro e alla spaccatura
provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei Francesi: sono anni di cambiamenti
radicali nell’urbanistica, nell’architettura e in generale nella produzione
artistica grazie alla presenza a Milano di personalità come Bramante, Leonardo e
Bramantino. In
questi anni, malgrado la crisi del sistema politico e la fragilità delle
finanze dello stato, le botteghe lavorano a pieno regime. Milano produce ed
esporta meravigliosi prodotti di lusso come smalti, oreficerie, ricami eseguiti
in gran parte sulla base di progetti elaborati da artisti di primo piano,
secondo un procedimento che anticipa quello del moderno “design”. Stimolato
dall’ambizione sfrenata del duca, la produzione artistica è sottesa da uno
spirito di emulazione/concorrenza nei confronti delle altre corti padane,
legate a quella sforzesca da stretti rapporti famigliari oltre che da interessi
economici e politici comuni: la sezione prende in esame in modo particolare le
relazioni con Ferrara, Bologna e con Mantova. Non dimentichiamo che la giovane
consorte del duca era la figlia di Ercole I, Beatrice d’Este, colta e raffinata, allieva
del filosofo Battista Guarino e che nel ducato lombardo fu sempre circondata da grandi artisti e coltivò tutte le arti. In questa
sezione vi sono esposte
sculture in marmo di Giovanni Antonio
Amadeo, importanti tavole di Bernardino
Buttinone, la bella tavola Madonna
col Bambino, sante Dorotea e Caterina e angeli
dal Petit Palait di Parigi; vetrate dal Duomo di
Milano e alcune tavole di Foppa, tra cui la mirabile Annunciazione (1500 circa) dal Palazzo Borromeo all’Isola Bella
(Stresa) e molti capolavori ancora. La mostra si chiude con opere che attestano
l’impatto avuto in Lombardia da Leonardo
e Bramante, con dipinti di Giovanni Boltraffio, Ambrogio de Predis,
Bernardo Zenale.
Maria Paola Forlani
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