Donatello e la sua lezione
Scultura e oreficerie
A Padova tra Quattro e Cinquecento
Ne 1443 Donatello si reca a
Padova dove resterà per una decina di anni. Nella città veneta trova un
ambiente colto, ricco di spunti umanistici (fin dal 1222 vi ha sede una delle
più importanti università),e, al tempo stesso, sereno, privo dello spirito
critico, perennemente mordace, di Firenze.
Sono anni fecondi di
capolavori.
Nel 1446 l’artista firma il
contratto per l’Altare del Santo nella
Basilica antoniana.
L’altare venne
disgraziatamente smembrato alla fine del’500 e ricomposto, ma molto
lacunosamente, solo trecento anni dopo. Non siamo perciò più in grado di
apprezzarlo nella sua complessità architettonico-plastica, se non immaginandolo
sulla scorta della Pala del Mantegna
in San Zeno a Verona, che deriva da
questo precedente donatelliano. Oggi sulla mensa dell’altare stanno le figure
di alcuni Santi intorno alla Madonna sovrastata dal Crocifisso.
In basso sono rappresentati,
in rilievo i Miracoli di Sant’Antonio. In
questi quasi non distinguiamo subito il fatto miracoloso narrato, perché
protagonista è la folla, agitata, sconvolta, meravigliata. Sempre a Padova, dal
1447 al 1453, Donatello erige il Monumento
equestre al condottiero della repubblica veneta Erasmo da Narni detto
<<il Gattamela>>. Innanzi tutto bisogna sottolineare che qui, forse
per la prima volta dopo l’antichità classica, la statua si svincola dalla
concezione della scultura come parte integrante dell’architettura (addossata a
un muro o racchiusa in una nicchia) per proporsi come forma autonoma, come
volume liberamente rapportato allo spazio.
La mostra, aperta ai Musei
Civici agli Eremitani e a Palazzo Zuckerman di Padova fino al 26 luglio 2015, a cura da Davide
Banzato ed Elisabetta Gastaldi (Catalogo SKIRA),documenta non solo la personale
via nella riproposizione del tema romano della statua equestre, ma anche il
capolavoro patavino e il suo lavoro più complesso, l’altare del Santo, di cui
vengono esposti i calchi realizzati dallo scultore Luigi Ceccon, che ci riportano nel pieno del fermento culturale
ottocentesco legato ai lavori di ricomposizione dei bronzi dell’altare,
conclusosi poi secondo il progetto di Camillo Boito. Quando Donatelo lasciò
Padova, nel 1453, le soluzioni compositive e gli stilemi da lui introdotti
avevano già una capillare diffusione.
Fra gli allievi fu un
padovano, Bartolomeo Bellano, nato
verso il 1437-38 ed entrato giovanissimo nella bottega, a seguire il maestro a
Firenze, a collaborare alle sue ultime opere e a concludere insieme a Bartolomeo di Giovanni. Nei rilievi con
le Storie bibliche per il presbiterio di Sant’Antonio, fusi nella
seconda metà degli anni ottanta, esibisce la sua abilità nel narrare episodi di
carattere corale.
Alla mano di Bellano viene attribuita anche la
replica di un bronzo originariamente concepito da Donatelo, la
Crocifissione del Bargello, per la prima volta
presentata al pubblico e agli studiosi e significativa per comprendere la
prassi di lavoro nella bottega del toscano. I documenti indicano che in più di
un’occasione Bellano si sarebbe valso del materiale del Maestro per la
realizzazione delle sue opere. In questo caso, si sarebbe trovato tra le mani
il modello di un’opera che non aveva ancora raggiunto la forma definitiva portandolo
a termine con alcune personali variazioni sempre comunque sulla base del
materiale iconografico appartenente al repertorio di bottega.
Alla luce degli
studi più recenti viene proposta l’ipotesi che
A seguito della presenza di
Donatelo si assiste a Padova a una consistente produzione di terrecotte.
Emerge la bottega dei de Fonduli, Giovanni e il
figlio Agostino. La bella statua di San
Giovanni evangelista è testimonianza della formazione di una comunione di
linguaggio che coinvolge anche l’attività del più grande artista del bronzo
dell’Italia del nord, Andrea Briosco,
detto il Riccio per la sua capigliatura.
I suoi modelli dalla matrice
espressionistica approdano a una precisione antiquaria e classicista che trova
poi riscontro nelle terrecotte con San
Canziano e Santa Canzinilla della
chiesa di San Canziano a Padova.
Il primo decennio del
Cinquecento fu il momento nel quale più stretto dovette essere il rapporto del Riccio con Severo da Ravenna, ideatore e diffusore di una notevole quantità di
soggetti classici e con lui fecondo produttore di piccoli manufatti in bronzo,
presenti in mostra.
Tra il 1520 e il 1530 vengono
collocati alcuni capolavori in terracotta policroma quali la Madonna della Scuola del Santo e la Testa di Madonna del Museo padovano.
Della fase estrema, 1530, è
il gruppo con il quale si conclude questa parte dell’esposizione, il Compianto in terracotta per la
chiesa di San Canziano, del quale si presentano due Marie piangenti. Nell’accostarsi agli esempi di Guido Mazzoni il
Briosco coniuga alla sensibilità per il colore un accademismo levigato.
L’influsso di Donatello si manifestò anche nelle arti
applicate e in particolare nell’oreficeria.
Negli spazi per esposizione
temporanee di Palazzo Zuckermann è esposta un’importante selezione di
oreficerie sacre del Quattrocento e del Cinquecento, reliquiari e preziosi
oggetti di uso cultuale eccezionalmente prestati dal Tesoro del Santo. In questi, grazie all’opera di maestri come Baldassarre da Prata e Ambrogio di Cristoforo (il padre di
Brioso), si assiste al passaggio dal gotico allo stile rinascimentale.
Maria Paola Forlani
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