Henri Matisse
Arabesque
“La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai
i miei
disegni, fatti sul modello, perché quei preziosismi e
quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione. Ben collocati
suggeriscono
la forma o l’accento dei valori necessari alla
composizione
Del disegno.”
Proposta dalle Scuderie del
Quirinale, la mostra Henri Matisse.
Arabesque aperta fino al 21 giugno 2015, curata da Ester Coen, espone per
la prima volta oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti – per
la prima volta in Italia – provenienti dai maggiori musei del mondo: Tate, MET,
MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia,
Washinton, solo per citarne alcuni.
I curatori hanno voluto
restituire un’idea delle suggestioni che l’Oriente ebbe nella pittura di
Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori,
suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo
respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla
necessità della prospettiva e della “somiglianza” per aprire a uno spazio fatto
di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di
superficie pura.
Armonia
in rosso (La desserte) (1908),
(San Pietroburgo, The State Hermitage Museum),opera in mostra, dipinta a Parigi
è il risultato più alto degli anni 1907 e 1908, durante i quali Matisse cerca
di sintonizzare colore e linea. Ha una storia curiosa: in un primo momento il
pittore l’aveva dipinta di verde, intitolandola Armonia verde, poi blu, e come tale la vende, nel 1908, al
collezionista russo
Sergej Sčukin,
e la espone come Armonia in blu.
Infine prima di consegnarla al proprietario, nello
stesso 1908, cambia idea e la ripassa di rosso vivo e brillante. L’opera rappresenta
una donna che prepara la tavola, appoggiando una fruttiera su una tovaglia
rossa, dove ci sono già un paio di bottiglie, fiori e frutta. Fuori dalla
finestra, spiccano alberi in fiore su un paesaggio verde.
In lontananza una casa rosa. Emblematica del
nuovo stile “decorativo” del pittore, la tela presenta, oltre a un intenso
cromatismo, quelle linee arabescate, che saranno la caratteristica principale
delle opere successive. Matisse riesce a esprimere, in
quest’occasione, tutta
la portata rivoluzionaria della sua pittura e l’indipendenza da qualsiasi
modello precedente. La scena quotidiana, già rappresentata all’inizio
dell’attività in alcuni dipinti ispirati a Cézanne o ai divisionisti, si è
trasformata in pura invenzione pittorica, attraverso un’ampia e piatta campitura
cromatica, con risultati di eccezionale decorazione. La natura morta, la figura
umana, il paesaggio, tutti gli elementi della tradizione realista entrano in
gioco ed escono trasfigurati, pur rimanendo riconoscibili, dalla predominanza
dell’elemento decorativo, che occupa tutta la superficie. La bidimensionalità
della composizione non contrasta con la prospettiva appena accennata del tavolo
o con l’apertura della finestra, perché “espressione e decorazione” riescono a
coincidere.
Henri Matisse nasce in provincia,
nel nord della Francia, a Caveau Cambrésis, il 31
dicembre 1869, da una
famiglia di agiati commercianti. Nel 1888 giunge a Parigi per studiare
giurisprudenza. Tutto qui, fino al giorno davvero fatale in cui la madre, per
distrarlo da una lunga convalescenza, gli mette in mano delle matite e dei
pennelli.
È il 1890 e per Matisse è come la creazione del mondo.
Comincia a dedicarsi seriamente alla pittura e dal 1893 frequenta l’atelier del
pittore Gustave Moreau , qui incontra i suoi compagni nell’avventura fauve Roult, Camion, Manguin, e dal maestro
riceve la profezia: “Voi semplificherete la pittura, signor Matisse”. Dopo la
scuola di Moreau teso com’è a impadronirsi di tutti i segreti di quell’arte che
gli si è rivelata così implacabilmente, Matisse frequenta i corsi serali
all’Ecole des Arts Décoratifs e li incontra colui che gli sarà amico per sempre
e compagno di “evasione”, Albert Marquet. Dopo il Fauvismo, nel 1910, per
Matisse c’è un altro elemento determinante per la sua arte: l’Oriente e l’Islam,
che lo abbagliano nel suo primo viaggio in Africa, in Marocco, e dai quali
trarrà l’ispirazione decorativa strutturata intorno l’arabesco.
Matisse frequenta anche le gallerie
dell’avanguardia, come quella di Ambrosie Vollard, dal quale acquista nel 1899
un disegno di Van Gogh, un busto di gesso di Rodin, un quadro di Gauguin e un
Cézanne, che influenzerà moltissimo la sua opera. Viaggia in Algeria (1906), ne
riporta ceramiche e tappeti da preghiera che nel disegno e nei colori
riempiranno le sue tele da li in poi, in Italia (1907) visita Firenze, Arezzo,
Siena e Padova “quando vedo gli affreschi
di Giotto non mi preoccupo di sapere quale scena di Cristo ho sotto gli occhi
ma percepisco il sentimento contenuto nelle linee, nella composizione, nei colori”.
Matisse si lascia alle spalle
le destrutturazioni e le deformazioni proprie dell’avanguardia, più interessato
ad associazioni con modelli di arte barbarica.
Il motivo della decorazione
diventa per l’artista la ragione prima di una radicale indagine sulla pittura. È
dai motivi intrecciati delle civiltà antiche che Matisse coglie i principi di
rappresentazione di uno spazio diverso che gli consente di “uscire dalla
pittura intimistica” e tradizionale.
Il Marocco, l’Oriente,
l’Africa e la Russia ,
nella loro essenza più spirituale e più lontana dalla dimensione semplicemente
decorativa, indicheranno a Matisse nuovi schemi compositivi. Arabeschi, disegni
geometrici e orditi, presenti nel mondo Ottomano, nell’arte bizantina, nel
mondo ortodosso e nei Primitivi studiati al Louvre; tutti elementi interpretati
da Matisse con straordinaria modernità in un linguaggio che, incurante
dell’esattezza delle forme naturali, sfiora il sublime.
“La tendenza dominante del colore deve essere quella
di servire
Il meglio possibile l’espressione. Io metto i miei
toni senza partito
preso. Se di primo acchito e magari senza che io ne
sia stato
cosciente, un tono mi ha sedotto o attirato,
m’accorgerò il più delle volte,
a quadro finito, di aver rispettato quel tono mentre
ho progressivamente
modificato e trasformato tutti gli altri. Il lato
espressivo dei colori mi si
impone in modo puramente istintivo”
Maria Paola Forlani
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