Palma il Vecchio
Lo sguardo della bellezza
“Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
Sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c’han le cittadi, hanno i castelli suoi…
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.”
(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, 34, 72)
I versi ariosteschi rispecchiano le sublimi atmosfere dell’opera
di Ninfe al bagno (1519-1520) di
Palma il Vecchio (Vienna Kunsthistorisches Museum). Le Naidi, le ninfe d’acque
dolce, venerate perché nutrivano le piante e quindi anche gli animali e gli
uomini, erano amiche del canto e della poesia. L’evocazione idealizzata del
mondo pastorale nel rapporto fra stati d’animo e la descrizione del paesaggio
dell’Arcadia di Jacopo Sannazaro pare,
anch’esso, visualizzarsi nella composizione armoniosa del dipinto di Palma, in
cui “Uscirai de’ suoi nidi ombrosi e foschi / Le vaghe Ninfe, e per le rive e i
fonti / Spargerai di sue man divini odori”.
Palma il Vecchio sa cogliere
con maestria ogni accenno di malizia ogni sfida in quegli sguardi che sembrano
“bucare la tela”, ogni piega erotica in quei corpi nudi, che precorrono di
secoli Goya e Modiglioni. E i prati, i boschi, i castelli, i piccoli paesi
degli sfondi, paiono magici ma veri.
Insomma, Palma il Vecchio è
davvero un grande artista, come conferma la sua prima mostra monografica
mondiale, organizzata in occasione dell’Expo milanese 2015 alla GAMeC –
Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo
(Palma il Vecchio. Lo sguardo della bellezza), aperta fino al 21
giugno)
(catalogo Skira): più di una quarantina di opere
tra le pale d’altare, ritratti, dipinti mitologici e allegorici, giunte da
musei italiani e stranieri, che permettono di riscoprirlo e dargli il suo posto
accanto a grandi colleghi come Giorgine, Tiziano, Lorenzo Lotto, Sebastiano del
Piombo e vari ferraresi, veneti, emiliani, padani che respirano la stessa aria.
La mostra ideata da Giovanni
C.F. Villa, permette non solo di ammirare il pittore, ma di ripercorrere
idealmente o in pratica tutto il territorio bergamasco grazie a varie
iniziative collegate, itinerari nelle chiese e restauri di opere come il Polittico della presentazione della Vergine e
l’Adorazione dei pastori della
parrocchiale di Santa Maria Annunciata di Serina e di San Lorenzo Martire di
Zogno.
Palma il Vecchio nasce a
Serina in Val Brebana intorno al 1480, con il nome di Jacopo Negretti o
“Nigreti de Lavalle” (o anche “De la
Valle ”), figlio di Antonio.
La data si desume dalla
testimonianza di Giorgio Vasari che, nell’edizione delle Vite del 1550, lo dice morto all’età di quarantotto anni, scomparsa
che gli archivi veneziani registrano il 30 luglio 1528. Non sappiamo quando
l’artista arrivi a Venezia, dove è ricordato come <<Iacomo de Antonio
Negreti depentor>> in un testamento dell’8 marzo 1510. Due anni dopo, l’8
gennaio 1513 in
un altro testamento è indicato come <<Jacopo Palma depentor>>, con
il soprannome che passerà al pronipote. Quest’ultimo si prenderà l’appellativo
di Giovane lasciando al predecessore quello meno felice di Vecchio.
La prima formazione avviene
in ambito locale, ma già intorno ai vent’anni il giovane pittore deve essere
arrivato nella Serenissima, attratto dalla fama di Giovanni Bellini, Cima da
Conegliano, Vittore Carpaccio e da Vivarini. Nel 1513 diventa membro della
Scuola grande di San Marco e il 5 febbraio 1514 è attestato il pagamento per la
sua prima pala d’altare nota, l’Assunzione
della Vergine per la Scuola
di Santa Maria Maggiore, giunta in mostra dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Ma prima di quella data Palma
ha già realizzato dipinti sacri, mitologici, pale d’altare (La
Madonna leggente della
Germäldegalerie di Berlino, la Madonna col Bambino in trono tra sante Barbara e
Cristina e due committenti della Galleria Borghese di Roma, le Due ninfe in un paesaggio del Städelsches
Kunstinstitut di Francoforte), mettendo a punto un suo linguaggio originale in
continuo dialogo con la lezione di Giorgine e la pittura di Tiziano. Un ruolo,
il suo, che Giovanni Battista Cavalcaselle nel 1871 definisce come quello di
<<modernizzare e rigenerare l’arte veneziana>>
insieme ai due celebri
colleghi. Nasceranno così nel secondo decennio del Cinquecento Sacre
conversazioni con sfondi paesaggistici, destinate a chiese lombarde e venete.
Forse al 1523-1524 risale il Polittico di
Santa Barbara e vari santi per la scuola dei Bombardieri nella chiesa di
Santa Maria Formosa a Venezia, ricordata dal Vasari nel 1568: <<Ma la Santa Barbara è delle migliori
figure, che mai facesse questo pittore>>.
Nasceranno dipinti mitologici
come le varie Ninfe al bagno o
distese in profondi paesaggi verdi sole o in gruppo, destinate a una
committenza intellettuale raffinata.
Dipinti biblici come Incontro di Giacobbe e Rachele (o Promessa d’amore nel paesaggio montano), uno
spaccato contadino del tempo tra nugoli di animali al pascolo: emerge un nuovo
naturalismo, intriso di poesia. Ritratti femminili capaci di creare una nuova
estetica, come il Ritratto di giovane
donna in abito blu con ventaglio (1518 circa) del
Kunsthistorisches Museum
di Vienna o
E a proposito di ritratti c’è
un aspetto interessante, che la rassegna sottolinea.
Quelle opere permettono di
seguire lo sviluppo della moda nel territorio della serenissima, dove si
diffonde uno stile “all’italiana”, caratterizzato da una continua ricerca di
novità, varietà tagli fantasiosi, ampi volumi e colori accesi, in auge nelle
maggiori corte padane.
Una moda già superata nel
1528, come lamenta Baldassare Castiglione nel Cortegiano (II, XXVI), pubblicato a Venezia in quello stesso anno,
quando ormai vanno per la maggiore
vesti <<alla francese, alla spagnola,
alla tedesca>>, ma che i ritratti di Palma documentano nel dettaglio. Nel
Ritratto di giovane donna in abito blu
con ventaglio, per esempio, troviamo un look tipico italiano-lombardo di
quegli anni: una veste abbondante con ampia scollatura quadrata, il corpetto
allacciato da fiocchi, le maniche a sbuffo staccate con
sottomaniche strette all’avambraccio,
una camicia di batista di lino finissima. Il Ritratto virile, il cosiddetto Ariosto
della National Gallery di Londra del 1520-1525 presenta invece l’abbigliamento
di un gentiluomo: veste, sopravveste con pelliccia, camicia di
battista di lino
plissettata, guanti di pelle. Molta cura era poi data ai capelli sulle spalle
come nel magnifico Ritratto di tre donne (1518-1520)
della Germäldegalerie di Dresda. Oppure raccolti in trecce a
costruire complicate acconciature trattenute da sottili turbanti di seta,
secondo una moda femminile diffusa da Isabella d’Este. Capelli rigorosamente
lunghi e fluenti per gli uomini, che addirittura ne aggiungevano di posticci
per aumentare il volume, corta barba dal terzo decennio sull’esempio di
Francesco I di Valois.
Maria Paola Forlani
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