Potere e Pathos
Bronzi del mondo
Ellenistico
La rappresentazione artistica
della figura umana è centrale in gran parte delle culture antiche, ma è la Grecia il luogo in cui ha
avuto maggiore importanza e influenza sulla storia dell’arte successiva. Che si
trattasse di raffigurare dei immortali, eroi mitici, guerrieri caduti, atleti
vittoriosi o altri personaggi celebri, l’interesse dei Greci verso la resa
della forma, del carattere e della storia dell’individuo – il più delle volte
maschile – mediante la rappresentazione scultorea del suo corpo sfociò in una
delle conquiste artistiche più eccezionali e illustri della storia.
Un tripudio di figure
classiche, ben cinquanta statue di bronzo d’età ellenistica, sono ora visibili,
come uno degli spettacoli più emozionanti che mai visitatore abbia avuto la
gioia di ammirare prima d’ora. Sono bronzi d’età ellenistica – prodotti tra il
IV e il II secolo avanti Cristo – e sono quanto di più bello e affascinante la
mano dell’uomo sia riuscita a modellare in termini di realismo e di potere
espressivo.
Queste emozioni ce le offre,
fino al 21 giugno 2015, una mostra sorprendente allestita a Palazzo Strozzi di
Firenze, dal titolo <<Potere e Pathos. Bronzi nel mondo
ellenistico >>, curata
da Jens M. Daehner e Kenneth Lapatin (Catalogo Giunti) e realizzata in
collaborazione con il J.Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery
di Washington e la
Soprintendenza Archeologica della Toscana.
Una mostra di concezione e di respiro assolutamente internazionale, che avrà
come prossime tappe il J.Paoul Getty Museum di Los Angeles (28 luglio - 1°
novembre) e la National Gallery
di Washington (6 dicembre 2015 – 20 marzo 2016).
Forte di prestiti strepitosi
da ogni parte del mondo, la rassegna di Firenze lascia affascinati i visitatori.
A cominciare dal primo pezzo che si incontra entrando nella sezione
introduttiva, che non è una statua in bronzo bensì una base in marmo
proveniente da Corinto su cui era issata una statua bronzea. Sul lato anteriore
si conserva parte di un’iscrizione in greco:
<<Lisippo fece>>. È
attestato che Lisippo abbia realizzato in totale circa millecinquecento opere (Plinio N.H. 34. 37) in Grecia, in Asia
Minore e nei territori dell’Oriente ellenistico. Qui, su questo antico
supporto, dunque, si innalzava una delle opere che Lisippo modellò – stando
alle fonti antiche – e delle quali neppure una è sopravvissuta in originale.
Dietro la base di Lisippo si staglia il primo grande bronzo della mostra, un
pezzo celeberrimo, l’Arringatore del
Museo Archeologico di Firenze, opera del II secolo a.C. La statua, con ogni
probabilità proveniente da un santuario, venne casualmente alla luce, durante
lavori agricoli, in località Sanguineto presso il lago Trasimeno e, come
racconta il Vasari, fu consegnata a Cosimo de’ Medici nel settembre 1566. La
statua, di dimensioni appena maggiori del vero, rappresenta un personaggio
maschile di età matura, come denotano le rughe della fronte e ai lati degli
occhi e della bocca: i capelli sono corti, disposti in ciocche regolari, i grandi
occhi, originariamente riportati in altro materiale, sono vuoti. È
vestito di una toga e indossa alti calzari di tipo romano.
All’anulare della mano
sinistra porta un anello con castone ovale, mentre la destra è sollevata e
protesa in avanti, con il palmo aperto, in un gesto interpretato comunemente
come quello del silentium manu facere, prima
dell’inizio dell’orazione pubblica da cui il nome di Arringatore. Analizzando la statua si apprendono molte cose. La
prima è che queste sculture erano sempre a figura intera ma che venivano fuse
in parti separate (teste, braccia, gambe, vestiti, eccetera) e poi assemblate.
Inoltre, che non erano verdi (un colore frutto di successive alterazioni che ci
appare oggi) ma “brunite” come il bronzo, ed erano abbellite con occhi di
alabastro e pasta vitrea, denti d’argento o d’avorio, labbra di rame. IL grande
amore per il realismo che la scultura ellenistica ha saputo esprimere rispetto
alla bellezza astratta e idealizzata del periodo classico è maggiormente
evidente nella seconda sezione (I
ritratti del potere). Il percorso propone una suggestiva panoramica sui
ritratti con le effigi dei personaggi influenti dell’epoca, considerato un
nuovo genere artistico che nasce con Alessandro Magno. Ne sono esempi
straordinari la figura di Alessandro
Magno a cavallo, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il
macedone, col diadema reale tra i capelli, monta a cavallo, forse Bucefalo.
Colossali gruppi equestri
dovevano immortalare la grandezza militare e
l’eroismo del re in tutto il suo vasto impero, attraverso statue profondamente
dinamiche e caratterizzate dal più vivace realismo.
Ma se erano così apprezzati e
numerosi, perché i bronzi ellenistici sono quasi del tutto scomparsi? La
risposta è banale: il bronzo si poteva rifondere. Già in epoca romana si fusero
statue antiche per fare altre statue. Plinio raccomanda agli scultori di usare
sempre una parte di <<bronzo antico>> per le statue nuove. Oppure,
assai più banalmente, venivano fuse per ricavarne armi o utensili domestici. Ma
allora come si salvarono le statue superstiti? Viaggi per mare finiti in
disastrosi naufragi (pensiamo ai “Bronzi di Riace”) o catastrofiche eruzioni
come quelle del Vesuvio hanno paradossalmente salvato le statue bronzee
ellenistiche dall’inesorabile destino della fusione, facendole giungere fino a
noi nel loro “ realistico splendore”.
Non c’è, per gli dei, né pittore
Né scultore, che possa foggiare
Una bellezza pari a quella della verità
Filemone Comico (PCG VII, fr.
75 K.-A.)
Maria Paola Forlani
Nessun commento:
Posta un commento