Donatello svelato
Capolavori a Confronto
Donato di Niccolò di Betto
Bardi, detto Donatello (Firenze, 1386 – ivi, 1466), amico del Brunelleschi,
come lui impegnato nel rinnovamento artistico e perciò partecipe delle stesse
idee, è tuttavia personalità ben diversa. Per Brunelleschi il rapporto
uomo-mondo è rapporto sereno in virtù della ragione esiste un dominio sulle
cose, perché esse ubbidiscono a quelle stesse leggi matematiche, eterne e
universali, mediante le quali funziona la ragione. Nessun urto, dunque, ma solo
un equilibrio, reciproco, accordo <<naturale>>.
Per Donatello, al contrario,
il rapporto uomo-mondo è rapporto drammatico. Non esiste una verità certa e
immutabile, frutto del calcolo matematico; la verità è ricerca, è conquista
giornaliera. La verità è lotta: l’ambiente nel quale viviamo non è agevole,
deve essere faticosamente, duramente dominato.
Il Vasari narra che Donatello
aveva scolpito in legno un crocifisso e lo aveva mostrato a Brunelleschi per
averne un parere; ma, contrariamente a quanto lo scultore si sarebbe aspettato,
l’amico lo criticò, affermando che quello era <<un contadino e non un
corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo ed in tutte le parti il
più perfetto uomo che nascesse giammai>>. Brunneleschi rispose con un
altro crocifisso, ugualmente in legno senza parlarne con nessuno, davanti a
tanta meraviglia Donatella rispose - <<a te è conceduto fare Cristi a me
contadini>>.
Molti dubitano della
veridicità dell’aneddoto assai noto, ma certo è che il Crocifisso fiorentino di
Donatello (custodito in Santa Croce) è esposto ora a fianco ad altri due
crocifissi nel Museo Diocesano di Padova nella mostra “Donatello svelato.
Capolavori a confronto”, fino al 21 luglio 2015 (Catalogo Marsilio), curata da
Andrea Nante ed Elisabetta Fracescutti.
Il termine “svelato”
utilizzato nel titolo non è affatto casuale. Al centro dell’esposizione si
trova infatti un Donatelo che va ad aggiungersi al catalogo delle opere certe
del maestro fiorentino, il Crocifisso dell’antica
chiesa padovana di Santa Maria dei Servi. Svelato nell’attribuzione ma anche
nella sostanza perché, sino al restauro voluto dal direttore regionale dei beni
culturali del veneto e condotto dalla Soprintendenza per i beni artistici per
le province del veneto, con la collaborazione della Soprintendenza per i beni
storici artistici del Friuli Venezia Giulia nel laboratorio di Udine di
quest’ultima, la scultura lignea si presentava con le parvenze di un bronzo,
per effetto di uno spesso strato di ridipinture. Affidato alle sapienti cure
dei restauratori, il grande Crocifisso è
emerso in tutta la straordinaria finezza dell’intaglio e nella originale
cromia.
La mostra, ospitata nello
scenografico Salone dei Vescovi, offre l’occasione storica, appunto, di
ammirare per la prima volta tre grandi Crocifissi
che Donatelo produsse nel corso della sua vita: quello realizzato per la
chiesa di Santa Croce a Firenze (1406-08), quello dei Servi e quello bronzeo
della Basilica di Sant’Antonio a Padova (1443 – 1449).
Il Crocifisso ligneo di Santa Maria dei Servi in Padova è stato
attribuito a Donatello alcuni anni fa da Francesco Cagliati, dell’Università di
Napoli, che sulla scorta delle ricerche di Marco Ruffini ha restituito alla
scultura la corretta paternità, attestata dalle fonti più antiche ma ben presto
dimenticata.
L’oblio del nome di Donatello
si spiega con la particolare devozione di cui l’opera ha goduto, e tutt’ora
gode, specialmente in seguito ai fatti miracolosi del 1512, quando l’immagine
in più occasioni sudò sangue dal volto e dal costato.
Con il passare dei secoli la
memoria popolare trasferì la paternità donatelliana alla scultura gotica della
Vergine conservata sempre nella chiesa, ma la speciale cura dei fedeli per il Crocifisso ne assicurò la conservazione,
preservandolo dalla distruzione o dalla dispersione, sorte molto comune per
questo tipo di immagini scolpite.
Se in un primo momento
l’attribuzione, argomentata da Cagliati su basi stilistiche, ha suscitato
qualche perplessità e un atteggiamento di prudenza all’interno della comunità
scientifica, oggi i risultati del restauro non lasciano dubbi.
La rimozione della spessa
ridipintura a finto bronzo rivela ora tutta la qualità dell’intaglio e della
policromia originaria, in buona parte conservatasi, restituendo a Padova un
capolavoro che va aggiunto alle altre opere che Donatello ha lasciato durante
la sua permanenza in città (1443 – 1453) – la statua equestre del Gattamelata,
l’altare e il Crocifisso bronzeo per la Basilica di Sant’Antonio
– aggiungendo un ulteriore tassello nella vicenda biografica dell’artista.
Il Crocifisso del Santo, al pari di quasi tutti i capolavori di
Donatello – commissionato dai massari dell’Arca sul cadere del 1443 o
all’inizio del 1444 – è un’opera assolutamente pionieristica nel suo genere.
Esso è infatti il più precoce Crocifisso a
grandezza naturale in metallo fuso e non a sbalzo che si conosca su suolo
italiano e come tale ha inaugurato un rinnovamento “all’antica” della
tradizione millenaria dei Crocifissi monumentali
che ha poi dato frutti cospicui per più di tre secoli.A causa delle difficoltà economiche e tecniche che la scelta del bronzo poneva ad artisti e committenti, la sfida tentata nel Crocifisso del Santo sarebbe stata replicata forse una sola volta nel Quattrocento e fu a Ferrara, sul pontile del Duomo (1450).
Ha realizzarlo fu un allievo
donatelliano, quel Niccolò Baroncelli che sin dal 1443 era alle prese, di nuovo
a emulazione del maestro, col cavallo del monumento bronzeo del marchese
Niccolò III d’Este. Impensabile anche nello stile senza il suo modello
padovano, il Cristo di Ferrara non
sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso il suo ruolo di gregario. Dopo il
1449 la vicenda dei Crocifissi bronzei
avrebbe dovuto attendere soprattutto i grandi progressi toreutici del tardo Rinascimento
e del Barocco per ritrovare delle vette di qualità nei paraggi di Donatello,
con Giambologna e i suoi allievi e seguaci, con Algardi e con Bernini.
Ci poniamo davanti una rappresentazione della Tua
passione
affinché i nostri occhi di carne abbiano qualcosa a
cui aderire.
Essi però non adorano una immagine
perché l’immagine rinvia alla realtà della Tua
passione.
Quando infatti guardiamo più attentamente l’immagine
della Tua passione,
nel silenzio ci sembra di udire la Tua voce che dice:
Ecco come vi ho amati, vi ho amati fino alla fine.
Guglielmo di Saint-Thierry
(Meditativae orationes 10,7)
Maria Paola Forlani
Mi piacerebbe fare un lavoro su quest'argomento. si avete qualche dato in più vi ringrazierebbe
RispondiEliminaTi consiglio di recuprare il catalogo della mostra Ciao
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