Lo Studiolo del Duca
Il ritorno degli Uomini illustri
Alla Corte di Urbino
Urbino, nella seconda metà
del’400, si trasforma, nel giro di pochi anni, da capoluogo di una piccola
signoria, in capitale di uno stato. Ciò si deve a Federico da Montefeltro, divenuto
dopo la tragica morte del fratello Oddantonio (1444), conte e, successivamente
(1474), duca di Urbino.
Federico è politico e
stratega, ma è anche principe umanista, attento ai problemi culturali e
impegnato personalmente in progettazioni architettoniche. Raccoglie intorno a
sé letterati e artisti, fra i quali Piero della Francesca, Pedro Berruguente,
Luciano e Francesco Laurana, Francesco di Giorgio Martini. La città diventa
così
un volto.
I Montefeltro, che possedevano in Urbino una vecchia rocca trecentesca, avevano costruito nel’ 400, un nuovo palazzotto: Federico decide di unire le due costruzioni, poco distanti fra loro, inglobandole in un nuovo grandioso palazzo. L’incarico, non facile per i dislivelli del terreno, viene affidato a Luciano Laurana (Zara, 1420-25 – Pesaro 1479).
I Montefeltro, che possedevano in Urbino una vecchia rocca trecentesca, avevano costruito nel’ 400, un nuovo palazzotto: Federico decide di unire le due costruzioni, poco distanti fra loro, inglobandole in un nuovo grandioso palazzo. L’incarico, non facile per i dislivelli del terreno, viene affidato a Luciano Laurana (Zara, 1420-25 – Pesaro 1479).
A Urbino il Laurana si
trattiene pochi anni dal 1466 al 1472: ma riesce a creare, pur senza portarlo a
compimento, il più importante palazzo del’400 italiano.
Nel raccordare i due vecchi
edifici, che si trovano su posizioni sfalsate, l’architetto ha costruito una
facciata ad ali, che, per la sua forma geometrica, genera uno spazio misurato,
delimitato dai due nitidi corpi che si incontrano ad angolo retto, sulle cui
superfici i vuoti si alternano aritmicamente ed equilibratamente ai pieni,
secondo un rapporto che dà pacata chiarezza. Porte e finestre sono incorniciate
da paraste e sormontate da architravi che le definiscono e le fanno risaltare
con discrezione dalla parete incompiuta. Dall’altro lato, dove il dislivello
del terreno si fa evidente, il Laurana costruì l’alta Facciata dei torricini, obliqua rispetto al resto del palazzo.
La facciata, con le due torri cuspidate,
ricorda i castelli medievali settentrionali, allo scopo di affermare la potenza
militare dei Montefeltro, perché domina il panorama della città per chi vi
giunga provenendo dalla Toscana.
Il Palazzo Ducale è perciò, e ancora più lo era, il centro di
riferimento dell’intera città. Su una delle logge si affaccia lo studiolo del
duca Federico inserito fra la sala delle udienze e la loggia fra i torricini, e
persino in alcune opere di pittura, come la pala della confraternita del Corpus
Domini, commissionata a Paolo Uccello che dipinge la predella, poi proposta a
Piero della Francesca e eseguita nel’ 74 da Giusto di Gand e la pala
Montefeltro di Brera. Il vano dello studiolo è rivestito fino a una certa
altezza da uno zoccolo di legno intarsiato, mentre dissimula la porta verso la
loggia. Un ambiente così raccolto e fortemente architettato ha tuttavia una
conformazione irregolare: i riferimenti interni ed esterni si compensano in
modo sottile, come nell’intero organismo del palazzo.
Le tarsie dello zoccolo
rappresentano una serie di scaffali chiusi o semiaperti, occupati da libri e
altri oggetti <<quasi che il principe, dopo d’aver aperto le scansie ed
averne estratto i libri preferiti, dopo d’essersi spogliato della corazza e
delle armi poggiandone disordinatamente qua e là i vari pezzi, dopo d’aver
approntato gli strumenti musicali e aperto gli spartiti per trarne inni
marziali, si fosse d’un tratto assentato, lasciando la sua presenza nel
disordine da lui stesso creato>>.
Fra lo zoccolo e il soffitto
è inserita una fascia dipinta, con una doppia fila di ritratti degli uomini
illustri antichi e moderni, dipinti da Giusto di Gand, da Pedro Berruguete e
forse da un terzo pittore.
Su questo ciclo pittorico si
è aperta una mostra dal titolo Lo
studiolo del Duca. Il ritorno degli uomini illustri alla Corte di Urbino, a
cura di Carlo Bertelli, Alessandro Marchi e Maria Rosaria Palazzi, evento mai
realizzata prima d’ora che permetterà – fino al 4 luglio 2015 presso la Galleria Nazionale
delle Marche – di restituire al pubblico lo Studiolo del Duca nella sua veste originale, precedente cioè allo
smembramento seicentesco dei dipinti, che completavano la decorazione di questo
microcosmo intellettuale tanto denso di significati e messaggi, con
raffigurazioni dei cosiddetti Uomini
illustri: filosofi, poeti,
scienziati, uomini d’ingegno, dottori della
Chiesa del lontano passato e contemporaneo, chiamati dal Duca per ispirarlo e
guidarlo. Tutto ciò rivela prima di tutto un tratto della storia di Urbino e un
capitolo fondamentale del nostro Rinascimento, ma che ci ricorda anche come 14
dei 28 personaggi rappresentati in questo ambiente privatissimo – e nel
contempo fortemente rappresentativo – siano finiti al Museo del Louvre di Parigi, dopo la “razzia” attuata nel 1633 dal
Cardinale Fesch zio di Napoleone e poi in quella del marchese Campana, la sua bancarotta e, infine, l’acquisto dei 14 dipinti da parte di Napoleone III. Un evento che rievoca il clima intellettuale del tempo e le ambizioni di Federico di Montefeltro – lui che più di ogni altro ha rappresentato il mito rinascimentale della virtù militare unita alla sapienza. Lo studiolo d’Urbino, esempio capitale di una tipologia che conta pochi esemplari superstiti, rispondeva all’antica idea di ricreare un ambiente adeguato a favorire studio e riflessione, radunando immagini di sapienti – con i quali instaurare un dialogo virtuale – e oggetti rari con cui nutrire lo spirito.
Con la fine della dinastia
dei Della Rovere e la devoluzione del ducato di Urbino allo stato pontificio,
ci fu lo smembramento dei dipinti dello studiolo: un’operazione di rimozione
“devastante” che portò alla parcellizzazione delle immagini con taglio del
supporto ligneo. Ciò che era stato concepito spazialmente e strutturalmente
come unicum, un sistema organico
fatto di aggregazioni e rimandi interni – reso ora esplicito anche dagli esami
dei supporti – fu trasformato in una serie di ritratti individuali con perdita
del disegno unitario, dei riferimenti al Duca, del messaggio implicito.
Oggi solo la metà dei
ritratti è conservata nel Palazzo divenuta sede della Galleria Nazionale delle
Marche – opere acquistate dallo Stato italiano nel 1934 a seguito del famoso
accordo sul Fidecommesso Barberini e riportate in loco – mentre le restanti 14
tavole, giunte al Museo del Louvre nel 1863, non sono mai tornate prima d’ora
in Italia.
Lo fanno, ora, in questa
occasione, ricollocate nella loro
posizione originale, per dialogare con quello “Studiolo” gioiello di
“sapienza” e con il pubblico partecipe a tanta “bellezza”.
Maria Paola Forlani
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