lunedì 16 marzo 2015

LO STUDIOLO del DUCA

Lo Studiolo del Duca
Il ritorno degli Uomini illustri

Alla Corte di Urbino

Urbino, nella seconda metà del’400, si trasforma, nel giro di pochi anni, da capoluogo di una piccola signoria, in capitale di uno stato. Ciò si deve a Federico da Montefeltro, divenuto dopo la tragica morte del fratello Oddantonio (1444), conte e, successivamente (1474), duca di Urbino.

Federico è politico e stratega, ma è anche principe umanista, attento ai problemi culturali e impegnato personalmente in progettazioni architettoniche. Raccoglie intorno a sé letterati e artisti, fra i quali Piero della Francesca, Pedro Berruguente, Luciano e Francesco Laurana, Francesco di Giorgio Martini. La città diventa così

 uno dei centri intellettuali più vivi d’Italia, mentre un’intensa attività edilizia le dà
 un volto.
I Montefeltro, che possedevano in Urbino una vecchia rocca trecentesca, avevano costruito nel’ 400, un nuovo palazzotto: Federico decide di unire le due costruzioni, poco distanti fra loro, inglobandole in un nuovo grandioso palazzo. L’incarico, non facile per i dislivelli del terreno, viene affidato a Luciano Laurana (Zara, 1420-25 – Pesaro 1479).

A Urbino il Laurana si trattiene pochi anni dal 1466 al 1472: ma riesce a creare, pur senza portarlo a compimento, il più importante palazzo del’400 italiano.

Nel raccordare i due vecchi edifici, che si trovano su posizioni sfalsate, l’architetto ha costruito una facciata ad ali, che, per la sua forma geometrica, genera uno spazio misurato, delimitato dai due nitidi corpi che si incontrano ad angolo retto, sulle cui superfici i vuoti si alternano aritmicamente ed equilibratamente ai pieni, secondo un rapporto che dà pacata chiarezza. Porte e finestre sono incorniciate da paraste e sormontate da architravi che le definiscono e le fanno risaltare con discrezione dalla parete incompiuta. Dall’altro lato, dove il dislivello del terreno si fa evidente, il Laurana costruì l’alta Facciata dei torricini, obliqua rispetto al resto del palazzo.

 La facciata, con le due torri cuspidate, ricorda i castelli medievali settentrionali, allo scopo di affermare la potenza militare dei Montefeltro, perché domina il panorama della città per chi vi giunga provenendo dalla Toscana.

Il Palazzo Ducale è perciò, e ancora più lo era, il centro di riferimento dell’intera città. Su una delle logge si affaccia lo studiolo del duca Federico inserito fra la sala delle udienze e la loggia fra i torricini, e persino in alcune opere di pittura, come la pala della confraternita del Corpus Domini, commissionata a Paolo Uccello che dipinge la predella, poi proposta a Piero della Francesca e eseguita nel’ 74 da Giusto di Gand e la pala Montefeltro di Brera. Il vano dello studiolo è rivestito fino a una certa altezza da uno zoccolo di legno intarsiato, mentre dissimula la porta verso la loggia. Un ambiente così raccolto e fortemente architettato ha tuttavia una conformazione irregolare: i riferimenti interni ed esterni si compensano in modo sottile, come nell’intero organismo del palazzo.

Le tarsie dello zoccolo rappresentano una serie di scaffali chiusi o semiaperti, occupati da libri e altri oggetti <<quasi che il principe, dopo d’aver aperto le scansie ed averne estratto i libri preferiti, dopo d’essersi spogliato della corazza e delle armi poggiandone disordinatamente qua e là i vari pezzi, dopo d’aver approntato gli strumenti musicali e aperto gli spartiti per trarne inni marziali, si fosse d’un tratto assentato, lasciando la sua presenza nel disordine da lui stesso creato>>.

Fra lo zoccolo e il soffitto è inserita una fascia dipinta, con una doppia fila di ritratti degli uomini illustri antichi e moderni, dipinti da Giusto di Gand, da Pedro Berruguete e forse da un terzo pittore.

Su questo ciclo pittorico si è aperta una mostra dal titolo Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli uomini illustri alla Corte di Urbino, a cura di Carlo Bertelli, Alessandro Marchi e Maria Rosaria Palazzi, evento mai realizzata prima d’ora che permetterà – fino al 4 luglio 2015 presso la Galleria Nazionale delle Marche – di restituire al pubblico lo Studiolo del Duca nella sua veste originale, precedente cioè allo smembramento seicentesco dei dipinti, che completavano la decorazione di questo microcosmo intellettuale tanto denso di significati e messaggi, con raffigurazioni dei cosiddetti Uomini illustri: filosofi, poeti,
scienziati, uomini d’ingegno, dottori della Chiesa del lontano passato e contemporaneo, chiamati dal Duca per ispirarlo e guidarlo. Tutto ciò rivela prima di tutto un tratto della storia di Urbino e un capitolo fondamentale del nostro Rinascimento, ma che ci ricorda anche come 14 dei 28 personaggi rappresentati in questo ambiente privatissimo – e nel contempo fortemente rappresentativo – siano finiti al Museo del Louvre di Parigi, dopo la “razzia” attuata nel 1633 dal Cardinale Fesch zio di Napoleone e poi in quella del
marchese Campana, la sua bancarotta e, infine, l’acquisto dei 14 dipinti da parte di Napoleone III. Un evento che rievoca il clima intellettuale del tempo e le ambizioni di Federico di Montefeltro – lui che più di ogni altro ha rappresentato il mito rinascimentale della virtù militare unita alla sapienza. Lo studiolo d’Urbino, esempio capitale di una tipologia che conta pochi esemplari superstiti, rispondeva all’antica idea di ricreare un ambiente adeguato a favorire studio e riflessione, radunando immagini di sapienti – con i quali instaurare un dialogo virtuale – e oggetti rari con cui nutrire lo spirito.

Con la fine della dinastia dei Della Rovere e la devoluzione del ducato di Urbino allo stato pontificio, ci fu lo smembramento dei dipinti dello studiolo: un’operazione di rimozione “devastante” che portò alla parcellizzazione delle immagini con taglio del supporto ligneo. Ciò che era stato concepito spazialmente e strutturalmente come unicum, un sistema organico fatto di aggregazioni e rimandi interni – reso ora esplicito anche dagli esami dei supporti – fu trasformato in una serie di ritratti individuali con perdita del disegno unitario, dei riferimenti al Duca, del messaggio implicito.

Oggi solo la metà dei ritratti è conservata nel Palazzo divenuta sede della Galleria Nazionale delle Marche – opere acquistate dallo Stato italiano nel 1934 a seguito del famoso accordo sul Fidecommesso Barberini e riportate in loco – mentre le restanti 14 tavole, giunte al Museo del Louvre nel 1863, non sono mai tornate prima d’ora in Italia.
Lo fanno, ora, in questa occasione, ricollocate nella loro posizione originale, per dialogare con quello “Studiolo” gioiello di “sapienza” e con il pubblico partecipe a tanta “bellezza”.

Maria Paola Forlani



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