QUEL VOLTO E' LA NOSTRA STORIA
(Speciale Pasqua)
Una straordinaria
riflessione sul “Volto Santo” nell’opera di Rouault di don Franco Patruno tratta
dall’Osservatore Romano del 20 Aprile 2004
C'è una costante
dell'arte che ha inteso indagare nell'abisso. Una sorta di notte oscura
affascina, incita e pungola ad andare o, meglio, a scendere nelle profondità
delle situazioni umane. Non è un viaggio morboso e nevrotico, quasi un prendere
a pretesto la vocazione formale per la libera uscita delle proprie nevrosi
malamente celate, ma una volontà di conoscere, di spezzare le catene a coloro
che risultano marginali non per propensione, ma per esclusione patita dal
puritano clima che decreta, con integristica fermezza, la bontà e la
cattiveria. Molti esclusi sono i "cattivi" di questo mondo, sia nella
loro attuale personale condizione che nel loro stato sociale di dimenticati.
"Miserabili" li chiamava Hugo nel clima di riscatto che anche in
Tolstoj assumeva il canto del cristianesimo utopico. Dostoevskij intensifica il
proscenio di altre solitudini nelle quali è possibile essere penetrati dai
conflitti di ogni memoria del sottosuolo, in quegli spazi della coscienza nei
quali anche l'apparente follia, quasi un clown di purezza estrema e di limpida
chiaroveggenza, assume i contorni dell'idiota che inquieta in proporzione agli
spazi che gli vengon concessi per la sua apparente pazzia. Questa costante ha
guidato mano e cuore di un grande della prima metà del Novecento: George
Rouault. Comprendo che uno dei suoi maestri, Gustave Moreau, tutto preso dal
suo simbolismo degli svelamenti del mistero, rimanesse sconvolto innanzi alla
proposta di volti di pagliacci, prostitute e giudici iniqui che già avevano
trovato indulgenza in certo post-Impressionismo e che diversa partecipata
tristezza incontreranno nel Picasso del periodo "Bleu" e
"Rosa". Leon Bloy che, come scrive Maritain, "affettuosamente,
ma senza mezzi termini, l'accusava di cadere in un'arte demoniaca, di
compiacersi nella sporcizia e nel deforme", aveva afferrato il genio di
Rouault e ne temeva la perdita di confine.Afferrare il genio non è sempre ascoltare il cuore: George da sempre aveva quel sentimento che un tempo veniva declinato nei termini di "naturaliter cristiano".
Già l'aiutare il padre
nel restauro delle vetrate medievali l'aveva immerso nell'universo di una luce
che proviene dall'interno o, più correttamente, che trae la propria
trasfigurata cromaticità dalla fonte naturale del cielo piovoso, del sole
splendente e della melodia malinconica di ogni tramonto.
Quando affronterà,
senza più abbandonarli, i temi biblici, creerà contorni non per chiudere
l'immagine, ma per darle fisica e plastica consistenza. Certo, conchiudere è
raccogliere come in un abbraccio d'insondabile tenerezza. Anche dalla lettura
delle pagine ispirate, Rouault vivrà la polarità dello sguardo di Cristo su
ogni umana indigenza (ed in questo, la serie del Miserere chiamerà a raccolta tutti i personaggi della sua prima
indagine pittorica, nel ritmo splendidamente dolente del Salmo Cinquanta) e
della contemplazione del Volto Santo ormai reso terragno dei colori della
Palestina.
L'immagine che
propongo è del 1946. Negli anni tra le due guerre, Rouault tratterà
ripetutamente il tema della Passione di Cristo. La sua interpretazione
dell'evento di salvezza è austera, lontana da ogni indulgenza descrittiva: il
dolore, presente quanto mai, non è gridato, ma prossimo ad un'ipostasi non metafisica.
Un'ipostasi, cioè, che, come nelle vetrate medievali, si lascia coinvolgere
dalle suggestioni di una materia resa cromatica per connaturalità, per simbiosi
che include il colore nel formarsi organico della terra splendente. In alcuni
casi riappare la derisione, ed il Cristo viene esposto come il Pierrot
più volte trattato negli anni
giovanili. Il tema caro è quello dell'"Ecce Homo" che l'artista
modula sulla fissità degli sguardi, come in certe esperienze antinaturalistiche
della pittura bizantina. Ma siamo lontani dalla poetica dell'Ikona, perché tale
fissità è quella dell'Espressionismo maturo, delle sintesi che Rouault recupera
dalla formatività plastica del Romanico. Nel velo della Veronica lo splendore è
interno all'immagine, quasi fosse possibile perpetuare lo sguardo d'amore di
chi, crocifisso, già sperimenta il Corpo Risorto. Gli occhi dell'artista si fanno quelli di Giovanni che contempla la contemporaneità dell'ultimo grido e il totale abbandono già dal Padre glorificato. L'abisso si trasforma in stupore, l'Ora dell'essere elevato assume e raccoglie ogni elemento del creato ed ogni lacrima di disperazione. L'epifania del Volto si rivolge, viene incontro, è esposta dopo l'apparente sconfitta. Lo spazio e il tempo si contraggono quasi a riconciliare ogni frammento di storia divisa. Eppure la cronaca permane nelle terre racchiuse dallo sguardo, rappresa e coinvolta nei contorni d'abbraccio perenne. Quel Volto è la nostra storia. La pulsione è vitalmente trasfigurata senza nulla disperdere dei frammenti d'umanità piena. In questo senso, si presenta senza rappresentare.
20-4-2003
Franco Patruno
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