Capolavori a confronto.
Bellini/Mantegna.
Presentazione di Gesù
Due dipinti,
identici nella struttura compositiva, realizzati da due grandi artisti del
Rinascimento, Andrea Mantegna e Giovanni Bellini.
Due opere
geniali, uguali eppure diverse.
Affascinante,
per un profano, cercare le differenze tra due Presentazioni di Gesù al Tempio,
eccezionalmente efficace nella mostra proposta dalla Fondazione Querini
Stampalia, a Venezia. Progetto promosso dalla Fondazione Querini Stampalia e
dalla Germäldegalerie di Berlino con la collaborazione scientifica della National
Gallery di Londra.
Ѐ la prima volta che s’incontrano, in tempi moderni, la tempera su tela
del Mantegna, della Gemäldegalerie di Berlino, e l’olio su tavola del Bellini della
Querini Stampalia – di una di quelle alchimie che di tanto in tanto si
verificano nella storia.
Giovanni
Bellini (1438/1440-1516), uomo la cui vita non ha lasciato spazio
all’encomiastica ottocentesca, perché raramente un pittore eccelso, un classico
alle soglie della modernità, <<uno dei grandi poeti d’Italia>>
nella definizione di Roberto Longhi, è tanto congetturale. Un mito sbiadito in
quel Novecento che ha invece esaltato in modo assoluto Andrea Mantegna
(1431-1506).
Due giganti
della storia dell’arte occidentale caratterialmente assai distanti ma uniti da
un profondo legame familiare: la figlia di Jacopo Bellini e sorellastra di
Giovanni Bellini, Nicolosia, sposa dal 1453 di Mantegna. Il loro sarà un lungo
matrimonio, allietato da sei figli, quasi tutto trascorso ai margini della
coltissima corte mantovana dove Andrea è artista, decoratore e ancor più
consigliere del duca per tutte le cose d’arte. Il rapporto fra cognati e fra
fratelli lo possiamo soltanto immaginare: nessun documento svela la loro
affettività e dimestichezza. Solo le loro opere parlano, a chi voglia
intenderle anche come espressione di sentimenti nonché di stili, tecnica,
costruzione iconografica. Dal matrimonio generandosi uno dei più appassionati
dialoghi pittorici del Quattrocento, imperniato principalmente sul passo del Vangelo di Luca (2, 22-35) dedicato alla
purificazione, soggetto iconografico della Presentazione
di Gesù al tempio di Mantegna, ora a Berlino, e della veneziana Presentazione di Gesù al tempio di
Giovanni Bellini. Una coppia di opere che, per la prima volta dopo mezzo
millennio, si trovano esposte una accanto all’altra a Venezia
( Capolavori a confronto.
Bellini/Mantegna. Presentazione di Gesù al tempio, a cura di Brigt Blass-Simmen, Neville
Rowley e Giovanni Carlo Federico Villa, fino al 1º luglio).
Un evento
eccezionale in un’eccelsa cornice: le sale auliche di una delle più
straordinarie case-museo del mondo, la Fondazione Querini Stampalia, gioiello
neoclassico oggi incastonato tra i mirabili interventi novecenteschi di Carlo
Scarpa e Mario Botta.
<<Scolpì
in pittura propria viva et vera>>: nel sonetto di Ulisse degli Aleotti
troviamo il senso profondo dell’arte del Mantegna e un passo magnificamente
rapportabile all’azione della Presentazione,
bassorilievo classico mutato in pittura, le figure chiuse in autonomo
isolamento, i gesti ridotti all’essenza narrativa. Su di un’esilissima tela di
lino i sacri attori sono profilati dal fondo scuro, così da avere rilievo
scultoreo, centrati retoricamente in una cornice di marmi mischi che scinde ma
anche crea un’illusione di continuità tra il campo pittorico e lo spazio del
fedele. Evidente nel gomito della Madonna poggiato sulla mensola della
finestra, quasi a misurare la profondità dello spazio e reggere il Bambino
fasciato, tratto da una formella dell’altare donatelliano della basilica di
Sant’Antonio di Padova. Dallo sfondo emergono infine Giuseppe – frontale e
severo a osservare l’atto, conscio dell’annuncio ferale dell’anziano sacerdote
– con ai lati, Mantegna che si autoritrae ed effigia sul lato opposto Nicolosia.
Compiuta intorno al 1454, l’opera plausibilmente si connota quale immagine
votiva a ringraziamento per la sopravvivenza del primo nato della coppia e
diviene un dipinto di grande fascinazione per Giovanni Bellini, che ne trarrà
un cartone ricalcando i contorni della pittura.
Per poi, intorno al 1475,
creare un’immagine praticamente identica nella composizione ma emotivamente del
tutto originale. Introducendo un parapetto di breccia vede antico in luogo
della cornice marmorea, Bellini allunga orizzontalmente il campo per inserire
altre due figure ai margini opposti della composizione. Un dettato che consente
un’originale prossimità sentimentale, fatta di gesti, sguardi e dell’affettuosa
dolcezza che inevitabilmente coinvolge un gruppo di persone accanto a un
neonato.
Accompagnandosi con una regia luministica profondamente diversa da
quella mantegnesca, orientata a una bidimensionalità prospettica cui viene
intonata la pelle delle figure, con Bellini attento invece all’analisi
tridimensionale ottenuta tramite il chiaroscuro e una temperie cromatica addolcita,
del tutto sconosciuta all’austera severità mantegnesca. Sviluppando il peso
dello spazio non dipinto, con le tenebre che creano un vuoto sopra le teste
tale da sospendere in un tempo eterno e silenzioso il gioco degli sguardi. Così
il Bambino si rivolge all’indefinito orizzonte e nessuno lo guarda, dando
durata sacrale a un momento che altrimenti si perderebbe in un rito di
quotidianità. Ma il rito c’è, assoluto: il dono in fieri di un Bambino, stretto
nella fasciatura, già presago. Al contempo Bellini scioglie il tono fermo e
immoto degli attori mantegneschi tramite una fluida modulazione atmosferica, la
luce defluida modulazione atmosferica, la luce definendo un insieme pittorico
di grande morbidezza accompagnato dalla resa dei tessuti, eclatante il velluto
broccato e allucciolato del sacerdote.
L’esito
finale del dialogo a distanza tra i cognati sono due composizioni dal ritmo
lento e sospeso conquistato tramite codici visivi diversi, in una logica
percettiva del tempo di lettura riconducibile allo stile proprio dei due
maestri. Con Mantegna il pennello facendosi punta di diamante a cesellare il
comporsi dei volumi; procediamo allora vigili, con cautela, di contorno in contorno,
avviati dalla
specificità di forme che non lasciano dubbi.
Forme di pietra, veli, velluti, gesti e sguardi la cui invincibile sostanza ci
inchioda e trattiene.
In Bellini
il pennello accarezzando la tela, allargandosi in soffuse superfici, accompagnando
lo sguardo tra un castone cromatico e l’altro; la lettura più disinvolta,
accolti in prima istanza da una luce-colore che fattasi attorno a noi decanta
in forme che si rivelano dolcemente in tutta la loro importanza.
E allora,
nel confronto attualissima resta la riflessione di Lorenzo da Pavia che nel
1504, rivolgendosi a Isabella d’Este sentenziava: << De invenzione
nessuno non po’ arivare a Messer Andrea Mantegna che invero z’è ecelentissimo e
el primo, ma Giovanni Bellini in colorir è ecelente>>.
Maria Paola
Forlani
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