NEL RICORDO DI
CRISTINA CAMPO, UNA SCRITTRICE TRA NOSTALGIA DELLA TRADIZIONE E TORMENTO DI
DIO.
La Biblioteca delle Donne (www.bibliotecadelledonne.it),
che fa parte del complesso delle biblioteche di Bologna, ha dedicato un
incontro a Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini), che fu poetessa,
scrittrice, saggista, e si occupò di vari temi, tra cui la fiaba, sulla quale
scrisse una serie di saggi poi raccolti in volume (‘Il flauto e il tappeto’,
ed. Rusconi, Milano) e, nell’ultima parte della sua vita, la liturgia
cattolico-romana e bizantina, in scritti che ora l’editrice Adelphi sta
pubblicando, sia inediti (la maggior parte) che già editi ma tutti peraltro già
da tempo esauriti.
Questo articolo nasce dalla presente informazione, che mi
giunge tra le consuete decine e decine di notizie riversate ogni giorno sul mio
computer, e ci si potrebbe chiedere la ragione di questo mio interesse.
Infatti, vedere il nome della Campo, un tempo totalmente dimenticata, nel
novero di manifestazioni indette per di più dalla Biblioteca delle Donne, in
anni lontani ristretta a pochi gruppi di femministe molto convinte ed
esclusive, mi ha piacevolmente stupito. E infatti l’indifferente silenzio e la
voluta disattenzione al suo lavoro poetico e letterario non potevano spiegarsi
in altro modo se non con il fatto che la sua aristocratica mentalità culturale,
il suo distacco dal contingente, la sua fede che non ammetteva compromessi
l’avevano irreparabilmente emarginata dal contesto sociale, specialmente in un
periodo, come gli anni ’70 e ’80, molto turbati da scontri, contestazioni,
rivolte e smantellamento dei valori in cui lei fortemente credeva.
Ma, in tutto questo, venivano sepolte nel silenzio anche
le voci più genuine e più pure di una forza lirica ideale, e di una vita
vissuta nella ricerca di una superiore bellezza spirituale. E Cristina Campo era tra questi. Di nome
Vittoria Guerrini, nasce nel 1923 a Bologna da illustre famiglia dell’alta
borghesia cittadina. Il padre, Guido, è un insigne maestro di musica; la madre,
Emilia Putti, è sorella del celebre ortopedico Vittorio Putti, sulla collina
bolognese. Cristina è inoltre nipote di Enrico Panzacchi, poeta e docente di
letteratura italiana presso l’Università di Bologna, che fu molto noto sullo
scorcio dell’Ottocento nell’ambito del circolo carducciano. Respira quindi coltura fin dalla nascita, che
consolida via via nei primi anni dall’infanzia e dell’adolescenza vivendo con
la famiglia presso la bella villa del professor Putti, nel parco dell’Ospedale
Rizzoli di Bologna, tra il verde della collina, dove l’illustre clinico lavorò
diventando celebre nel campo della chirurgia ortopedica. Non ci deve stupire
quindi se la sua visione della cultura era prevalentemente classica, e
conseguentemente la sua scrittura si muoveva nell’ambito di una composta ed
elegante correttezza linguistica e lessicale, spesso elevata a vera e propria
poesia soprattutto nell’interpretazione di certi aspetti della letteratura e
nelle traduzioni, a cui si dedicò con impegno, traducendo soprattutto dal
tedesco e dal francese.
A Firenze, dove la famiglia si trasferisce, e dove fa le
prime, interessanti conoscenze, fino a Roma, dove vive fino alla morte
sopraggiunta prematuramente nel 1977, sviluppa una rete di conoscenze con
poeti, artisti, scrittori e si lega sentimentalmente per un lungo periodo con
Élemire Zolla, studioso di antropologia e di storia delle religioni, uomo
coltissimo ma di affetti mutevoli, tanto che sposò poi la poetessa Maria Luisa
Spaziani, scomparsa nel 2014 a 91 anni.
Affetta da una malformazione cardiaca fin dalla nascita,
vive una vita sempre sul limitare, nel timore che si rompa l’equilibrio tra la
sua impetuosa energia creativa e la debolezza fisica che lei avverte crescente,
e ne debilita il pensiero e le forze.
La sua visione religiosa, coltivata in famiglia fin
dall’infanzia, si fa sempre più tesa nei primissimi tempi dopo il Concilio
Vaticano II, quando l’urto tra progressisti e conservatori diventa addirittura
drammatico. Così le pur prudenti aperture dei Padri Conciliari suscitano
fortissimi dissapori e critiche da una parte e dell’altra. Cristina è sconvolta dalle riforme apportate
nei riti e nella liturgia, dove gruppi diversi interpretano con libertà
eccessiva i vari documenti conciliari, fino a mettere in discussione lo stesso
significato della Messa cattolica. In certe chiese si fa musica con percussioni
e balli rock durante i riti, in altre, si demoliscono altari anche antichi per
adattare vetusti edifici alle nuove esigenze liturgiche, si contestano anche le
più antiche tradizioni, come le processioni, l’associazionismo tradizionale, la
stessa visione della vita tradizionalmente cristiana. Il papa Paolo VI, in
questo complesso e drammatico travaglio della Chiesa – al fine di evitare
disobbedienze dai tradizionalisti e anche, per taluni versi, dai progressisti -
impone alcune trasformazioni al rito della Messa tradizionale, definito fin dal
Concilio di Trento, suscitando reazioni anche da parte di alti prelati: I
cardinali Siri, arcivescovo di Genova, e il curiale cardinale Ottaviani,
scrivono e diffondono un opuscolo che fa scalpore, la cui stesura è della
stessa Cristina Campo, fondatrice insieme ad altri notissimi intellettuali
cattolici dell’Associazione UNA VOCE, per la difesa della liturgia latina e del
canto gregoriano. Per lei, ad essere distrutta è soprattutto la bellezza del
rito, la poesia evocativa di una lingua sacra come il latino, la stessa poesia
della religiosità e l’abbandono (ancorché parziale) della tradizione antica che
si definiva allora perenne. Tutto ciò l’allontana ancor più dal suo tempo e la
affonda in un oceano di tristezza e di malinconica nostalgia. Questo continuo
stato di disagio, accresciuto ancor più da una tensione psichica che ne
incupisce i giorni e le ore della vita, non giova ovviamente al suo cuore
debilitato da tempo. Muore in età ancor giovane, e di lei, da allora, si ignorò
ormai tutto. Soltanto più tardi un’amica bolognese, che condivideva con lei
l’amore per la poesia, la bellezza dell’antico pensiero cristiano e lo splendore
delle liturgie solenni, si interessò per la traslazione dei resti di Cristina
Campo nella Certosa di Bologna, che da allora riposano nella cappella del
professor Marcello Putti, segnalata in particolare da una piccola lapide in cui
è inciso il nome e cognome e le date di nascita e di morte.
In un bellissimo articolo apparso sul Corriere della Sera
del 12 gennaio, scriveva Pietro Citati: …”Tutto era stato inutile: la fede, la
grazia, l’attenzione, l’amore, la discrezione, la vocazione, la tenacia, l’ardore,
la dolcezza, la crudeltà – tutto quello che aveva fatto di lei una creatura
incomparabile, era stato spazzato via con un gesto. Per un momento non riuscii
a pensare ad altro. Poi nella memoria risorse il lieve splendore della voce di
Vittoria, la grazia della scrittura di Cristina, e il verso incessante di Dylan
Thomas: “E la morte non avrà più dominio”.
Come infatti sta già lentamente avvenendo, non ovviamente
sul piano umano, ma su quello più elevato della cultura; e, non ultimo, quello spirituale proprio
dell’itinerario dantesco, dove ragione e fede si fondono in un unico processo
di luce.
Gian Luigi Zucchini
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