Canaletto 1697-1768
Grande
“fotografo” o sublime visionario? Erede del capriccio rococò o interprete delle
novità illuministiche, della nuova razionalità del secolo dei lumi?
Come ogni
artista grande, Canaletto non è interpretabile a senso unico, non è risolvibile
in una formula. Canaletto è rococò e illuminista, razionale e capriccioso,
erede di una tradizione locale e al contempo inventore di una personale,
inedita e capitale immagine pittorica.
Ovviamente
non nasce dal nulla, ma da quella Venezia dove ancora operavano geni della
decorazione come Giovan Battista Tiepolo, e acuti cronisti della società del
tempo come Pietro Longhi. Una Venezia che, per quanto già nella fase – lenta ed
estenuata – della decadenza, offriva al pubblico ammirato lo spettacolo di se
stessa, delle sue cerimonie, e la vivacità della sua vita culturale. Basti
pensare a Goldoni, a Gozzi, a Beretti, e alla splendida stagione della musica,
con Galuppi, Benedetto Marcello, Antonio Vivaldi. Una città dove ancora si
edificano palazzi e chiese, da San Stae ai Gesuati, da Ca’ Rezzonico ai palazzi
Pesaro, Pisani, Labia, Albizzi.
E Canaletto
nasce e si educa in un contesto famigliare grandemente collegato a questa
effervescenza (il padre Bernardo Canal “pitor” era uno scenografo abbastanza noto);
il suo apprendistato nella scenografia lo mette in contatto con gli umori, le
mode, le stravaganze della cultura e dell’arte in quella città che da quasi un
secolo era paradigma e mito dei ricchi e colti forestieri, inglesi e tedeschi
soprattutto, anche se il “grand tour d’Italia” era stato invenzione francese.
Quando
inizia la sua carriera di vedutista, il giovane Canal ha ben presente quello
che va di moda in quel momento, ovvero il paesaggio d’invenzione portato ad
altri risultati da Marco Ricci, e la veduta architettonica di Luca Carlevarijs
La pittura
di figura e la decorazione non gli interessano: fin dai primi quadri Canaletto
è un occhio che guarda lo spazio della città e vuole catturarlo, capirlo,
inventarlo, unificando le due opzioni di Ricci e Carlevarijs. Gli esseri umani
– le macchiette – sono parte del paesaggio, nascono da esso, ci sono perché la
natura – il mare, i canali, la laguna – e l’architettura – le chiese, i
palazzi, i campi, i ponti – non avrebbero senso senza degli abitatori.
Eppure, a
volte, proprio le macchiette danno il tono e l’atmosfera all’opera, come nel
giovanile Bacino di san Marco oggi al
museo di Cardiff, nel quale in primissimo piano una coppia, un gentiluomo in
nero e una dama in arancione, passa nella zona d’ombra verso la zona di pieno
sole: già le teste sono sfiorate dalla luce, con un effetto di animazione
dinamica del tutto nuova e profondamente espressiva.
Ѐ questo uno dei primi esempi di quel trattamento della luce che fa di
Canaletto un illuminista nel senso letterale e metaforico: luce diurna e
cristallina, che esalta le strutture dello spazio e assorbe in splendida unità
i “pittoreschi accidenti”, come Canaletto chiamava le particolarità
atmosferiche. Per Antonio Canal il viaggio a Roma del 1719-1720 rappresentò
un’autentica rivelazione: il giovane scenografo rimase così travolto dal
fascino della città antica che <<tutto si diede a dipingere vedute dal
naturale>>. Produsse dapprima piccoli disegni con i più noti monumenti
della Roma antica: poi compose tele più grandi con capricci archeologici di
fantasia, ancora molto simili a quinte teatrali. Solo dopo il ritorno a Venezia
nel 1720, Canaletto si mise a dipingere le prime vedute lagunari. Il fascino
dell’Urbe aveva avuto su di lui un peso decisivo: la città e le sue ruine avevano mutato Canal
<<pittore da teatro>> in Canaletto <<pittore di
vedute>>.
Pensando a
questo, Roma non s’è lasciata sfuggire l’occasione. Per celebrare il 250º anniversario della scomparsa del
pittore (defunto nel 1768) e per ribadire il ruolo che dell’Urbe ebbe nella
formazione del maestro, il Museo di Roma a Palazzo Braschi ha allestito una
mostra dal titolo Canaletto 1697 – 1768, promossa
dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, organizzata da
MetaMorfosi in collaborazione con Zètema, a cura di Bozema Anna Kowalczcyk.
Ricca di 42
dipinti, 9 disegni, 16 libri e di alcuni documenti d’archivio, questa rassegna
offre l’opportunità di attraversare tutta la carriera del pittore veneziano, partendo
proprio dalla fatidica trasferta romana del 1719 – 1720.
Il cammino
biografico inizia con preziosi libretti d’opera che riportano i nomi dei Canal
quali autori delle scenografie, e con un quadro dipinto a quattro mani da
Bernardo e Antonio che immortala l’Aracoeli e il Campidoglio.
Fanno
seguito le Vedute ideate con rovine
romane e i capricci architettonici che preludono alle prime vedute
veneziane.
Le vedute
veramente importanti erano però quelle prodotte per commemorare feste civili e
religiose o arrivi di ambasciatori. Nei primi decenni del Settecento erano una
prerogativa di Luca Carlevarijs, ma a partire dal 1726 Canaletto si sostituì al
pittore friulano anche in questo genere di splendide rappresentazioni. In
mostra rifulge La scena del Buncistoro di
ritorno al Molo il giorno dell’Ascensione, una tela commissionata
dall’ambasciatore di Francia Jacque-Vincent Languet come pendant del suo
solenne Ingresso a Palazzo Ducale, (San
Pietroburgo, Museo dell’Ermitage).
Queste
prestigiose commissioni suggellarono il successo di Canaletto presso il
collezionismo internazionale. Il console britannico a Venezia, Joseph Smith,
colse perfettamente le potenzialità commerciali delle vedute canalettiane e
aprì all’artista le porte dell’Inghilterra. Le vedute di Venezia destinate a
questo mercato si moltiplicarono. I soggetti richiesti erano sempre quelli (San
Marco, Il Bacino, il Canal Grande, eccetera), però di vario formato a seconda
delle possibilità economiche degli acquirenti e il più delle volte realizzate
in coppia.
Tra il 1746
e il 1755 Canaletto si trasferì in Inghilterra. Londra, il Tamigi, le residenze
di campagna inglesi divennero i soggetti dei suoi quadri. La veduta di Chelsea
vista dal Tamigi dipinta nel 1751, conobbe una storia avventurosa. Prima nel
1802, qualcuno la tagliò in due. La parte sinistra finì a Blickling Hall,
l’altra addirittura nel Museo Nazionale dell’Avana. Adesso, in occasione della
mostra a Palazzo Braschi, la tela sforbiciata è stata eccezionalmente
ricomposta. Una meraviglia.
Maria Paola
Forlani
Nessun commento:
Posta un commento