Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari
Gaudenzio
Ferrari nasce intorno al 1480 a Valduggia, in Valsesia (Vercelli), all’estremo
confine occidentale dello Stato di Milano. Si forma secondo quanto riferisce il
pittore e storiografo lombardo Giovanni Paolo Lomazzo, nella bottega milanese
di Stefano Scotto, che secondo lo stesso trattatista era esperto nei
<<rabeschi>>, cioè negli elementi decorativi, ma – è sempre Lomazzo
che parla – in questa pratica Gaudenzio avrebbe superato il suo maestro. A
Milano il valsesino guarda ai pittori della generazione precedente, come
Bramantino, allievo di Donato Bramante da Urbino che coniuga lo studio
prospettico con un’astrazione quasi metafisica. Ma anche Leonardo da Vinci,
presente nell’ultimo ventennio del Quattrocento nella capitale del ducato, deve
averlo impressionato con la sua pittura legata alla rappresentazione dei moti
dell’animo e dei caratteri grotteschi.
Le prime
commissioni arrivano dalle valli natali, dove probabilmente affianca lo
Scotto in alcune imprese (cappella del
Sepolcro della Vergine al Sacro Monte di Varalo, Vercelli) per poi affrescare,
da solo, la cappella Scarognino, nel 1507, in Santa Maria delle Grazie a
Varallo. Qui – dopo un viaggio di formazione a Roma e forse anche a Firenze
(dove ha modo di studiare, uno dei pittori più apprezzati del momento:
Perugino) – dipingerà nel 1513, la grande parete del tramezzo con le storie
della vita di Cristo. Intanto fervono i lavori al sacro Monte dove Bernardino
Caimi, vicario provinciale dei minori osservanti e fondatore del complesso, ha
inteso ricreare i luoghi della Passione a seguito di un viaggio in Terra Santa.
Gaudenzio interpreta le volontà del francescano, scomparso nel 1500, lavorando
sia agli affreschi che alle sculture (secondo Lomazzo solo in terracotta, ma probabilmente
scolpite anche in legno). Nascono così i complessi di Betlemme (dove spiccano
l’Adorazione del Bambino, dei pastori e
dei magi), ma anche la cappella della Crocifissione (prima del 1521), una
sorta di Cappella sistina alpina, dove pittura e scultura si fondono in un grande
affresco teatrale, che coinvolge profondamente lo spettatore.
Intanto
Gaudenzio ha già realizzato alcuni polittici sparsi tra Varallo e il Piemonte
orientale (come quello della collegiata di Santa Maria di Arona, in provincia
di Novara, presente nella mostra Il
Rinascimento di Gaudenzio Ferrari, distribuita in tre città del Piemonte:
Varallo Sesia, Pinacoteca e Sacro Monte; Novara, Broletto, Vercelli, Arca, aperta
fino al 1º luglio, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, mettendo a punto una
bottega con personalità ben distinte, che gli permette di affrontare più
commissioni contemporaneamente e di spingersi fino alla bassa Valtellina,
Traona e Morbegno (dove dipinge la toccante Nascita
della Vergine, ora in mostra, per una grande ancòna realizzata da Giovanni
Angelo del Maino, il più grande scultore ligneo lombardo del periodo). Da
Morbegno (Sondrio) viene la sua seconda moglie, Maria Foppa.
Verso la
fine degli anni Venti del Cinquecento è a Vercelli, dove, in San Cristoforo,
affresca due cappelle e realizza la pala d’altare: la cosiddetta,
fortunatissima, Madonna degli aranci.
Nella prima
metà degli anni Trenta Gaudenzio arriva fino a Casale Monferrato (Alessandria),
pala già in Santa Maria di Piazza: Battesimo
di Cristo, presente nell’esposizione piemontese), Como (ante per l’ancona
di Sant’Abbondio), scolpita da Maino) e Vigevano dove è voluto dall’ultimo duca
Sforza, Francesco II, per lavorare nella cattedrale: qui realizza
probabilmente, oltre agli affreschi del coro, più di un’ancona, ma resta soltanto
la predella a grottesche di una Pentecoste,
ora dispersa.
Tra il 1534 e il 1536, Gaudenzio affresca i cori angelici
(provvisti di dettagliatissimi strumenti musicali) che coronano l’Assunzione della Vergine nella cupola
del santuario di Santa Maria dei miracoli a Saronno (Varese), capolavoro della
sua maturità. Di lì a poco Gaudenzio avrà bottega a Milano, dal 1535 provincia
dell’impero di Carlo V. Qui si confronta, in una città ormai priva della scuola
locale, con il manierismo di Tiziano e dei pittori che cercano di rubargli la
piazza: bresciani (Moretto; Savoldo), lodigiani (Callisto Piazza), e forse già
cremonesi (Giulio Campi). Gaudenzio si adegua al gusto imperante aumentando le
proporzioni (come nel Battesimo di Cristo
di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso o, più ancora, nel San Paolo, portato in Francia dalle
truppe napoleoniche, oppure nel San
Gerolamo in San Giorgio al Palazzo, tutti e tre in mostra). Alla sua morte
avvenuta il 31 gennaio 1546, resta in bottega il <<Cenacolo
bellissimo>> sono le parole dello storico aretino Giorgio Vasari
realizzato per Santa Maria della Passione (in mostra).
La lezione
di Gaudenzio, che grazie ai suoi tanti collaboratori influenza le scuole locali
nelle varie città dove tiene bottega – da Varallo a Vercelli, fino a Milano -,
verrà interpretato dalla generazione dei pittori di Federico Borromeo: dal
Cerano (nativo di Romagnano Sesia, Novara, dove nella parrocchia c’era un
polittico di Gaudenzio, ora in buona parte confluito nella raccolta Borromeo,
in mostra) al Mazzone, che integra il percorso delle cappelle gaudenziane al
Sacro Monte, adeguandosi al linguaggio del maestro più antico. A lasciare la
fortuna collezionistica e storiografica del pittore, a livello internazionale
saranno soprattutto i conoscitori che dalla metà dell’Ottocento comprano suoi
quadri, in Italia, per i grandi musei del mondo. Nel 1956 a Vercelli al museo
Borgognona è stata dedicata a Gaudenzio una manifestazione, fatta di prestiti
di opere, dall’Italia e dall’estero, fortemente voluta da Giovanni Testori.
Fu. Giovanni
Testori che coniò per l’opera di Gaudenzio al Monte di Va
rallo, il termine di
<<gran teatro montano>>.
Il termine
di <<teatro>> connotato dall’aggettivo <<montano>>
amplifica di suggestioni indefinite l’invenzione gaudenziana per la figurazione
di Varallo nella sua totalità e, allo stesso tempo, la ricchezza del respiro
infinito di un fatto di vita concreta che è in qualche modo l’agire di soggetti
reali entro uno spazio altrettanto reale, seppure su schema e canovaccio
rituale – perciò storicizzato – nel quale può configurarsi appunto
l’<<azione teatrale>>.
Maria Paola
Forlani
Nessun commento:
Posta un commento