domenica 1 dicembre 2019

DE NITTIS


De Nittis e la rivoluzione dello sguardo

Palazzo dei Diamanti dedica una mostra a Giuseppe De Nittis (!846-1884), aperta fino al 13.4.2029, (De Nittis e la rivoluzione dello sguardo), figura di spicco, insieme a Boldini, della scena parigina di fine Ottocento. Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in collaborazione con il Comune di Barletta, la mostra nasce dal rapporto di interscambio culturale instauratosi tra due istituzioni civiche simili per storia e natura: il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e la Pinacoteca Giuseppe De Nittis di Barletta.
Grazie all’accordo tra i due musei, Barletta città natale dell’artista, ospiterà nella prestigiosa sede di Palazzo Marra un nucleo di dipinti e di opere grafiche di Giovanni Boldini, mentre a Ferrara presenta una selezione di opere del pittore pugliese, tra cui figurano alcuni suoi capolavori. La rassegna è a cura di Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e Héléne Pinet.

Si tratta di una mostra dal taglio originale, che rilegge la parabola creativa del pittore da una prospettiva che evidenzia la carica innovativa della sua arte e il suo modo, per certi versi inedito, di guardare la realtà e tradurla con immediatezza sulla tela per mezzo di inquadrature audaci, tagli improvvisi, prospettive sorprendenti, affiancate a una sapiente resa della luce e delle atmosfere. Che si tratti di paesaggi assolati del sud Italia, di ritratti o delle affollate piazze di Londra e Parigi,
De Nittis ha lasciato una serie di istantanee che rappresentano il mondo nel suo apparire fugace e transitorio, partecipando attivamente a quel “nuovo sguardo” che apre la strada alla modernità.
Pur senza dimenticare le esigenze del mercato e facendosi interprete del gusto delle esposizioni ufficiali, attraverso un linguaggio teso alla sperimentazione e una sensibilità ottica affine a quella degli amici Manet, Degas e soprattutto Caillbotte, De Nittis ha abbracciato quella “rivoluzione dello sguardo” che segna l’avvento della modernità in arte, a cui nella Parigi di fine Ottocento contribuisce il confronto tra pittura e i codici della fotografia e dell’arte giapponese che egli studiò e collezionò.

Questo suggestivo dialogo è reso parlante in mostra grazie all’affiancamento dei dipinti di De Nittis a celebri fotografie d’epoca firmate dai più importanti autori del tempo – da Edward Steichen a Gustave Le Gray, da Alvin Coburn a Alfred Stiegliz – oltre ad alcune delle prime immagini in movimento dei fratelli Lumiére.
Prende vita così un percorso avvincente scandito da quasi 150 opere provenienti da importanti collezione pubbliche e private d’Italia e d’Europa, volto a mettere in evidenza il contributo dell’artista alla comune creazione del linguaggio visivo della modernità.

Di famiglia agiata, presto orfano di tutte e due i genitori, ricevuti a Barletta i primi insegnamenti da G.B. Calò, Giuseppe De Nittis a quindici anni era a Napoli ed entrava all’Istituto di Belle Arti per frequentare le lezioni del Mancinelli e dello Smargiassi.
Ma, insofferente di qualsiasi disciplina, era costretto ad allontanarsi dalla scuola. Fu così che due anni dopo, nel 1863, conosciuti il de Gregorio ed il Rossano, rinunciando a qualsiasi studio accademico il De Nittis, si metteva a dipingere all’aperto e faceva gruppo con loro e con l’amico Cecioni. Questi per suo conto, entusiasta per le doti spontanee del giovane pugliese lo faceva conoscere a Firenze ove i Macchiaioli, nel ’66 gli facevano accoglienze estremamente cordiali.
Di quel primo periodo sono vari piccoli paesaggi del golfo e della campagna napoletani e alcune assolate vedute di Puglia da porsi tra le cose più schiette e preziose del giovanissimo pittore.
La sua tavolozza è chiara, la mano leggera, la sensibilità pronta, l’intelligenza meridionale prensile.
Ha tutti i numeri per fare della buona pittura, ma la natura entusiasta e vanitosa insieme nonché una estrema sicurezza di sé, quale si rivela anche nei suoi Notes et souvenirs, da lui lasciati incompiuti ma pubblicati a Parigi nel 1895, sembrano anche spingerlo a bruciare, quasi dilettantescamente, le qualità più sostanziose del suo temperamento. Giunto a Parigi il De Nittis aveva trovato conveniente, soprattutto dal punto di vista della pratica, mettere le sue notevoli qualità a servizio di una pittura di genere e di costume verso la quale d’altronde l’esortavano alcuni fra i personaggi più autorevoli degli ambienti ove veniva decretato o meno il successo d’un artista: Gérome Meissonier, Goupil, Reitlinger furono i suoi cattivi consiglieri d’allora.

 E furono anche loro a procuragli le buone commissioni, che in breve fecero del De Nittis un pittore alla moda, e gli aprirono le porte dei Salons ove nel 1870 poteva esporre La visite chez l’antiquere.
Frattanto la guerra franco-prussiana esortava il De Nittis a tornare in Italia, e qui riprendeva a dipingere le marine, le campagne e le bianche strade inondate di sole del mezzogiorno, riconquistando una sua indipendenza stilistica affermata in alcune tele che sono – con le opere del primo tempo – fra le cose più schiette della sua produzione.
Poi nel ’72 è di nuovo a Parigi ove al Salon espone La strada da Brindisi a Barletta, una tela che richiama ancora una volta l’attenzione del pubblico sul giovane italiano il quale frattanto tiene anche d’occhio quanto vanno facendo i pittori d’avanguardia e cerca di innestare qualcosa della loro novità nella sua elegante maniera.
E questa ha il suo trionfo l’anno successivo quando espone al Salon Che freddo! Un quadro ove appaiono tre giovani signore ed una bambina sullo sfondo di un <<boulvard>> coperto di neve. È il tempo nel quale il candore della neve e le modulazioni grigie delle sue ombre lo affascinano. Segue la sua ricerca con quel blu squillante sul candore della neve intatta con il bruno delle figure del suo In slitta della Pinacoteca di Barletta e si può comprendere come Degas fosse affascinato dalle qualità spontanee dell’italiano.

Certo si è che a Parigi ed a Londra, nella quale città dal ’74 il De Nittis tornerà ogni anno a lavorare, la sua pittura spiritosa, veloce, egli crea un’aureola di notorietà che ha largo riflesso anche in Italia, a Napoli, ove il De Nittis riappare molto spesso a dipingere. A dipingere per sé, e sono ancora fra le sue cose migliori, certe tavolette con vedute del Vesuvio, alcuni ritratti e piccole tele, come “Posillipo”.

Così come Telemaco Signorini a Parigi nel ’73 può parlare della <<squisitezza d’osservazione>>, della <<eleganza>> del De Nittis, allorchè egli medesimo, il Signorini, era quasi sul punto di mettersi sulla stessa via mondana, Diego Martelli nel ’79 certo alludendo, come ha rilevato Roberto Longhi, al De Nittis ed al Boldini parla dei <<facili guadagni>> degli <<altri italiani…che intascano i tesori delle cocottes>>.


De Nittis lavorava intensamente troppo, e fu il lavoro a logorare la sua fibra. Morì infatti che aveva 38 anni appena di congestione celebrale, nell’agosto del 1884, nella residenza di Saint-Germain-en-Laye, località poco distante da Parigi.

Nel redigere l’inventario dei beni rimasti nell’atelier, gli esecutori testamentari registrarono la presenza di una <<scatola contenente circa cento fotografie>>, probabilmente utilizzate come repertorio visivo, e la proprietà di un atelier mobile, una carrozza utilizzata per catturare di nascosto il pulsare della vita <<che il finestrino inquadra per un istante>>.
Ed è proprio indagando questi aspetti meno noti del suo metodo di lavoro che è nata la mostra di Ferrara, la quale intende rileggere la carriera di De Nittis da una prospettiva che pone l’accento sul suo “occhio fotografico”. Sospesa tra descrizione veritiera e narrazione evocativa delle atmosfere e dei luoghi vissuti in prima persona (La traversata degli Appennini), la pittura di De Nittis nasce e si afferma dentro il perimetro di un rinnovamento dei codici visivi che hanno segnato il secondo Ottocento, partecipando attivamente a quel “nuovo sguardo” che apre la strada alla modernità.


Maria Paola Forlani


Nessun commento:

Posta un commento