Cinema!
Storie, Protagonisti,
Paesaggi
Il Delta è un altro mondo.
Io al cinema non ho mai
Visto il Delta. Il Cinema
Cerca di trasformarlo in
Un racconto. No il Delta
Inventa lui. Tu sei là, e lo
Guardi incantato.
Gian Antonio
Cibotto
Una ampia
rassegna, a Rovigo a Palazzo Roverella, da conto della singolare attrazione che
il cinema ha provato, e continua a nutrire, per il Delta del Po, la dove il
Grande Fiume si confonde con l’Adriatico.
Si calcola
che le acque, i lembi di sabbia, le piane dell’ampio Delta siano state
protagoniste, più semplicemente scenario, di almeno 500 tra film, documentari,
fiction televisive, girati dai più grandi registi fra i quali Luchino Visconti,
Roberto Rossellini, Giuseppe De Santis, Michelangelo Antonioni, Alberto
Lattuada, Mario Soldati, Pupi Avati, Ermanno Olmi e Carlo Mazzacurati.
“Cinema!
Storie, protagonisti, paesaggi”, questo è il titolo della mostra curata
da Alberto Barbera e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova con
Accademia dei Concordi e Comune di Rovigo, fino al primo luglio (catalogo
SilvanaEditoriale)
Il percorso
della ricostruzione, focalizzata sull’area del Polesine, è affidato
all’utilizzo di diverse tipologie di materiali, esposti in originale o in
copie, stampe e ingrandimenti realizzati per l’occasione: foto di scena e di
set, manifesti, locandine e materiali pubblicitari, documenti originali,
sceneggiature, materiali d’archivio, videomontaggi di sequenze di film,
documentari e sceneggiati TV, interviste filmate ai protagonisti.
Nel 1943 Luchino
Visconti gira Ossessione nel Delta del Po.
Nell’immediato dopoguerra, Roberto Rossellini vi ambienta il suo Paisà mentre Giuseppe De Santis, esordisce con Caccia tragica, su una sceneggiatura sua e di Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro e Cesare Zavattini. Pochi anni dopo, il Grande Fiume è il protagonista de Il mulino del Po per la regia di Alberto Lattuada. Florestano Vancini ambienta qui i documentari “Uomini della palude” e “Tre canne e un soldo” e più tardi è aiuto regista di Mario Soldati che, con La donna del fiume, consacra definitivamente Sophia Loren. Qui avviene l’esordio di Michelangelo Antonioni nel 1957 con Gente del Po. Il regista ferrarese sceglie ancora più volte il Polesine per i suoi film. Qui ambienta Il grido del ’57, per scendere poi a Ravenna per Deserto rosso e risalire a Ferrara per l’ultimo episodio di Al di là delle nuvole codiretto con Win Wenders. Ѐ del ’58 Un ettaro di cielo, film d’esordio di Aglauco Casadio, per la sceneggiatura di Tonino Guerra con Elio Petri e Ennio Flaiano.
Anche
l’altro grande ferrarese, Florestano Vancini, è di casa nel Delta. Ad esso
dedica numerosi documentari e poi, nel 1984, il film tv La neve nel bicchiere.
Nelle Valli di Comacchio, Giuliano Montaldo ambienta “L’Agnese va a Morire”.
Con La casa dalle finestre che ridono Pupi Avati trasforma la bassa nel teatro
ideale di film horror. Il Po e il vicino Veneto sono protagonisti di molti film
di Carlo Mazzacurati che nel Delta gira, nel 1987, il film d’esordio, Notte
italiana.
Ma anche
tanti altri, da Goffredo Alessandrini a Comencini ai Fratelli Taviani,
Bertolucci, Luigi Magni, Bigas Luna, Silvio Soldini, Mario Brenta…
Senza
tralasciare Scano Boa, per la regia di Renato Dall’Ara (1961) tratto dal
romanzo di Antonio Cibotto, grande scrittore rodigino recentemente scomparso
cui la mostra tributerà, proprio con la proiezione del film, un Omaggio.
Accanto alla
produzione cinematografica di finzione, almeno 60 documentari sono stati dedicati
a queste terre. Tra essi, Gente del Po di Michelangelo Antonioni (1943 – 1947),
Delta padano (1951) e Una capanna di sabbia (1955) di Florestano Vancini, La
missione dei Timiriazev di Gillo Pontecorvo (1951), Quando il Po è dolce di
Renzo Renzi (1951), Lungo il fiume di Ermanno Olmi (1992), sino al recente Il
pesce rosso dov’è di Elisabetta Sgarbi (2015). A queste due categorie si
affiancano infine sceneggiati e programmi TV da Il mulino del Po di Sandro
Bolchi (1962) a De Gasperi l’uomo della speranza di Liliana Cavani.
Bisogna
esserci stati in quel lembo di terra che ha affascinato, e continua ad
affascinare, un gran numero di artisti (poeti, scrittori, registi, pittori,
fotografi). Occorre aver attraversato almeno una volta quello spicchio di Paese
poco più lungo di cento chilometri (dall’alto al Basso Polesine), e largo una
trentina, nell’estensione compresa fra il Po di Levante e il Po di Goro. Bisogna
aver visto con i propri occhi la magia di un luogo dove gli uccelli volano
bassi del pelo dell’acqua, lo sguardo si perde all’orizzonte senza incontrare
ostacoli più alti di un palo della luce, di un campanile che esita a competere
in altezza con l’albero più svettante, di un rudere piantato nell’acqua di uno
stagno.
Bisogna aver percorso le strade dritte e strette senza incontrare anima
viva, se non stormi di aironi, fenicotteri, folaghe e anatre; ammirato le
distese che sembrano infinite di campi coltivati a riso, grano, barbabietole da
zucchero; e, soprattutto, il reticolato formato da canneti, gli acquitrini, le
‘valli’ da pesca, i canali e i rami imponenti del Po, stretto fra gli argini
nei quali l’uomo ha dovuto imbrigliarlo per contenere la periodica furia
devastatrice. Bisogna infine aver assimilato la sorprendente scoperta che prima
delle invasioni barbariche Adria era un porto dell’Adriatico, e metà del
territorio che oggi chiamiamo Polesine prima d’allora non esisteva neppure,
essendo il frutto instabile dell’accumulo di detriti e depositi alluvionali del
grande fiume.
Un paesaggio quasi irreale tanto è inconsueto, terra di confine
in ogni senso possibile, terra d’acqua minata dal bradisismo, soggetta a lente
seppur non impercettibili trasformazioni morfologiche. Forse, è questa
indefinitezza geologica a fornire l’alibi all’idea poetica di un luogo che non
esiste.
Maria Paola
Forlani
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