La Collezione Cavallini Sgarbi
Da Niccolò dell’Arca a
Gaetano Previati
Tesori d’arte per Ferrara
L’intérieur è l’assillo dell’arte. Il
collezionista
è il vero
inquilino dell’intérieur
(W:Benjamin)
Una cosa
bella è gioia per sempre;
cresce di
grazia; mai passerà
nel nulla;
ma sempre terrà
una silente
pergola per noi, e un sonno
pieno di
dolci sogni, e salute, e quieto fiato
(J. Keats)
L’opera
d’arte apre, a suo modo, l’essere dell’ente.
Nell’opera
ha luogo questa apertura, cioè lo svelamento,
cioè la
verità dell’ente. L’arte è il porsi in opera della verità
(M.
Heidegger).
Al Castello
Estense di Ferrara si è aperta, fino al 3 giugno 2018, la mostra “La
collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò a Gaetano Previati. Tesori d’arte per
Ferrara.”
L’esposizione
è dedicata alla Collezione Cavallini Sgarbi, 130 opere tra dipinti e sculture,
dall’inizio del Quattrocento alla metà del Novecento, raccolte in circa
quarant’anni di collezionismo appassionato da Vittorio Sgarbi.
Elisabetta
Sgarbi, per il tramite della propria Fondazione, ha voluto che questa mostra
raccontasse, nel luogo più rappresentativo della città di Ferrara, non solo la
storia di una straordinaria impresa culturale, ma anche quella di una famiglia
ferrarese che all’arte ha dedicato tutte le proprie energie.
Vittorio
Sgarbi, dopo aver acquistato, a partire dal 1976, 2800 titoli delle 3500 fonti,
trattati, guide e storie locali, databili dal 1503 al 1898, elencanti da Julius
von Schlosser nella sua Letteratura
artistica, cuore di una biblioteca con oltre 200.000 volumi, il critico
d’arte capisce “che collezionare quadri e sculture poteva essere più divertente
che possedere il libro più raro”. Quest’illuminazione scaturisce dall’incontro
con Mario Lanfranchi, collezionista e maestro perfetto, il primo dei tanti da
lui incontrati dopo aver abbandonato il dogma universitario che lo aveva
indotto a “guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali, ma
materialmente indisponibili”. Così, dal 1984, incrociando il San Domenico di Niccolò dell’Arca,
Sgarbi decide che non avrebbe “più acquistato ciò che era possibile trovare, di
cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò di cui si poteva presumere
l’esistenza, per sua natura introvabile, anzi incercabile”. Come lui stesso afferma
“la caccia ai quadri non ha regole, ma ha obiettivi, non ha approdi, è
imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova.
Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”. Da collezionismo
“rapsodico, originale, che ambisce a rapporti esclusivi con le opere come
persone viventi”, è sorta, incontro dopo incontro, una vera e propria sintesi dell’arte italiana, tra pittura
e scultura, dal XV secolo ai giorni nostri, che riflette la cultura ampia e
multiforme del collezionismo.
La mostra si
apre con un capolavoro del Rinascimento italiano, il San Domenico in terracotta modellato nel 1474 da Nicolò dell’Arca e
collocato in origine sopra la porta “della vestiaria” nel convento della chiesa
di San Domenico a Bologna, dove tra il 1469 e il 1473 l’artista attese all’Arca del santo da cui deriva il suo
pseudonimo.
Immagine
potente, intensa, di estremo vigore naturalistico, il busto rivela
l’impareggiabile capacità del maestro pugliese di infondere la vita alle sue
figure, così vere che paiono respirare. Il destino porterà Vittorio Sgarbi a
incrociare un’altra opera di Nicolò dell’Arca, un’Aquila in terracotta che appare una prima idea per quella posta sul
portale d’ingresso della facciata della chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna.
Seguono i notevoli capitelli con sibille eseguiti nel 1484 dal celebre scultore
ticinese Domenico Gagini per la venerabile confraternita di Santa Maria
dell’Annunziata di Palermo, le terrecotte di Matteo Civitali e Agostino de
Fundulis, e una straordinaria raccolta di preziosi dipinti, perlopiù su tavola,
eseguiti tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento: ai pittori
nati o attivi a Ferrara – Giovanni
Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Nicolò Pisano, Benvenuto Tisi detto il
Garofalo – si affiancano autori rari come Liberale da Verona, Jacopo da Valenza, Antonio da Crevalcore, Giovanni
Agostino da Lodi, Nicola Filotesio detto Cola da Crevalcore, Johannes Hispanus,
Bernardino da Tossignano, Francesco Zaganelli, Bartolomeo di David, Lambert
Sustris.
Il focus
sulla “scuola ferrarese” prosegue agli inizi del XVII secolo con dipinti di documentata
provenienza. Spicca tra questi “Cristo
morto sorretto da due angeli” di Sebastiano Filippi, detto il Bastianino.
Nell’opera
suggestiva è l’apparizione dal sepolcro aperto del corpo senza vita di Cristo,
le cui possenti membra, nell’abbandono conferitogli dalla morte, compongono una
posa serpentina. Seguono capolavori di Gaspare Venturini, Ippolito Scarsella
detto lo Scarsellino, Camillo Ricci, Giuseppe Caletti, le straordinarie opere
di Carlo Bononi tra cui la possente “Sibilla”
il cui carattere scenografico e pittorico rileva un carattere di palinsesto
profondamente manierista.
Contestualmente si possono ammirare la Cleopatra di Artemisia Gentileschi, la Madonna assistita dagli angeli di Pier
Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, il San Girolamo di Jusepe Ribera, la Vita umana di Guido Cagnacci e il Ritratto di Francesco Righetti di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino. Quest’ultimo
dipinto si pone al vertice di una straordinaria galleria di ritratti che
compendia lo sviluppo del genere dall’inizio del Cinquecento alla fine
dell’Ottocento, tra pittura e scultura.
Altrettanto
avvincente è il percorso tra dipinti “da stanza” di tema sacro, allegorico e
mitologico del Sei e del Settecento: una selezione di sorprendente varietà, e
di alta qualità, che riflette gli interessi sconfinati e la frenesia di ricerca
del collezionista, con maestri della scuola
veneta, lombarda e toscana.
Tra le
sculture, le delicate creazioni modellate da Giuseppe Mazza, Cesare Tiazzi,
Petronio Tadolini e Giovanni Putti documentano la fortuna della plastica in
terracotta a Bologna e in Emilia. Tra Ottocento e Novecento la mostra torna su
Ferrara e sui suoi artisti: Gaetano
Previati, Giovanni Boldini, Filippo de Pisis, Giuseppe Mentessi, Adolfo
Magrini, Giovanni Battista Crema, Ugo Martelli, Augusto Tagliaferri, Carlo
Parmeggiani, Arrigo Minerbi, Ulderico Fabbri.
Uno dei
capolavori più affascinanti e misteriosi della storia della scultura italiana
del Novecento è rappresentato dalla straordinaria figura di Alceo Dossena e dagli interrogativi che
ancora la sua arte pone forse come abile falsario o come uomo fuori tempo.
Nella collezione Sgarbi spicca il Busto
di Caterina Savelli. Si tratta di una raffigurazione eseguita nello stile
di Mino da Fiesole nella quale tutto rimanda alle peculiarità di Alceo:
dall’accurata resa e rifinitura del delicato volto morbidamente levigato, nel
quale la conformazione del naso, del mento e degli zigomi pronunciati
corrispondono felicemente al maestro toscano a cui l’opera si è ispirata.
Maria Paola
Forlani
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