Giuseppe Mentessi (1857 – 1931)
Artista di sentimento
Giuseppe Mentessi ha fatto di quasi
ciascuna delle sue opere
un inno all’amore, al dolore, alla
pietà. Egli è dunque in
ispecie artista di sentimento, non
dimenticando però mai di
dover essere, innanzi tutto, pittore.
Vittorio
Pica, 1903
Fino al 10
giugno 2018, la Pinacoteca Nazionale di Ferrara in Palazzo dei Diamanti celebra
Giuseppe Mentessi (1857 – 1931) una delle figure di spicco dell’arte italiana
fra Otto e Novecento, nel momento di passaggio dal verismo al simbolismo.
L’esposizione,
curata da Marcello Toffanello, organizzata dalle Gallerie Estensi in
collaborazione con AssiCoop Modena & Ferrara, UnipolSai Assicurazioni e
Legacoop Estense, affronta il tema dell’espressione dei sentimenti in pittura
tra il 1890 e il 1909, coincidente con il periodo centrale e più significativo
dell’attività dell’artista ferrarese.
L’iniziativa
presenta una selezione di opere di Giuseppe Mentessi proveniente dalla
collezione di AssiCoop, oltre a una scelta di disegni delle Gallerie d’Arte
Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara.
L’opera di
Mentessi e degli artisti attivi alla fine Ottocento in Italia permette di
confermare un’ipotesi circa le arti visive e la letteratura: nella seconda metà
del secolo è preminente l’intenzione di realizzare un progetto di società dei
profitti e dei consumi. La meditazione ragionevole di W. Morris verteva allora
sulla perdita nell’età della meccanizzazione dell’istinto per la bellezza e del
carattere popolare dell’arte e giungeva a formulare un progetto di pacifica
reintegrazione sociale. Su un’altra latitudine Van Gogh confidava alla sorella
di sentire << il bisogno di andare a guardare un filo d’erba, un ramo di
pino…Che si può fare d’altro, pensando ad una cosa di cui non si capisce la
ragione, che mettersi a guardare i campi di grano? La loro storia è la
nostra…>>.
Gli artisti
italiani in quei medesimi anni e almeno per tutto il primo decennio del
Novecento non ignorano questi temi; non fanno eccezione i ferraresi Previati e
Mentessi, legati come essi sono ad una situazione sociale originaria di
sottosviluppo agricolo. Deve essere stata memorabile la miseria della madre del
pittore, contadina e analfabeta, dello stesso artista negli anni dell’infanzia
trascorsa nella bassa ferrarese e nei successivi anni di studio.
Il quadro
politico geografico era quello determinatosi dopo l’annessione del ’60, che
aveva creato nuovi equilibri e nuovi scompensi, accompagnati da una forte
emigrazione dal Veneto e dalla Romagna, tale da ripopolare una città deserta e
metafisica, abitata nel 1598 da 30.448 persone contro le 23.500 del 1861, e una
campagna malarica e abbandonata. Intervenne in queste condizioni uno dei
maggiori fenomeni di speculazione nella storia della regione con l’acquisto dei
terreni comunali da parte dei consorzi e delle società di bonifica. Uno dei
quadri più moderni di Mentessi si riferisce a questo clima di vita contadina: Panem nostrum quotidianum è un’immagine
profondamente drammatica, non retorica, persino verista nella sua evidenza di
tema quasi biografico, di una madre con il figlio in mezzo ad un sovrastante
campo di granoturco.
Questa sorta
di realismo autenticato sulle cose della terra può essere anzi considerato
l’aspetto più interessante e singolare del suo lavoro, quando nella produzione
iniziale viene tradotto in termini grafici e pittorici evidenti per densità di
corpo e precisione analitica. Per queste opere uniche e piuttosto rare non è
quindi azzardato parlare di realismo sentito quale margine raggiunto da
Mentessi, un vertice poi irrimediabilmente dimenticato.
Ma vi si intreccia una seconda componente, quella romantico – umanitaria, previatiano – divisionista, sulla quale occorre riflettere prima di considerare come si svolse e perdurò un ideale decadente di natura poetizzata, come le preoccupazioni sociali proprie di un socialismo umanitario siano state piegate ad una nozione sentimentale e borghese della vita. In ogni caso si può credere che l’artista abbia sviluppato il proprio discorso sempre in una dimensione ottocentesca dell’operare artistico e in una identificazione fra estetica ed esistenza tipicamente italiana, almeno fino alla rivolta futurista che tradusse tali simbiosi in termini di contemporaneità eversiva e innovatrice.
Ma vi si intreccia una seconda componente, quella romantico – umanitaria, previatiano – divisionista, sulla quale occorre riflettere prima di considerare come si svolse e perdurò un ideale decadente di natura poetizzata, come le preoccupazioni sociali proprie di un socialismo umanitario siano state piegate ad una nozione sentimentale e borghese della vita. In ogni caso si può credere che l’artista abbia sviluppato il proprio discorso sempre in una dimensione ottocentesca dell’operare artistico e in una identificazione fra estetica ed esistenza tipicamente italiana, almeno fino alla rivolta futurista che tradusse tali simbiosi in termini di contemporaneità eversiva e innovatrice.
Esemplare in
tal senso è il dipinto Visione triste, proveniente
dalla Galleria Ca’Pesaro di Venezia, proprio accanto al bozzetto inedito a
pastello, a grandezza naturale e di una selezione significativa della lunga
serie di disegni eseguiti dall’artista nella preparazione dell’opera. La grande
tempera a tecnica mista, esposta alla Biennale veneziana del 1899 e premiata
con una medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi nel 1900, segna
il passaggio di Mentessi da una rappresentazione naturalistica della realtà
alla sua trasfigurazione in termini simbolici.
Concepito inizialmente come opera di denuncia della condizione contadina nella Pianura Padana, resa tragica dalla diffusione della pellagra, nel corso della sua elaborazione il dipinto assume forma di un’allegoria religiosa, un calvario contadino. Il grande bozzetto che in quest’occasione si presenta per la prima volta al pubblico rappresenta l’anello di congiunzione fra gli studi condotti a matita dal vero su modelli e la loro trasposizione in pittura secondo una personale interpretazione del divisionismo che porta l’artista ferrarese a stendere colore in lunghi filamenti.
Concepito inizialmente come opera di denuncia della condizione contadina nella Pianura Padana, resa tragica dalla diffusione della pellagra, nel corso della sua elaborazione il dipinto assume forma di un’allegoria religiosa, un calvario contadino. Il grande bozzetto che in quest’occasione si presenta per la prima volta al pubblico rappresenta l’anello di congiunzione fra gli studi condotti a matita dal vero su modelli e la loro trasposizione in pittura secondo una personale interpretazione del divisionismo che porta l’artista ferrarese a stendere colore in lunghi filamenti.
Altre due
opere definiscono i termini dell’adesione di Mentessi alle tematiche del
realismo sociale. Ora triste, di cui
sono esposti in mostra due disegni e il bozzetto a olio delle Gallerie d’Arte
Moderna di Ferrara, fu presentata alla prima Triennale di Brera a Milano nel
1891. Una malinconica intonazione azzurrina accentua l’ispirazione sentimentale
del dipinto, che fu salutato dalla critica progressista come un superamento del
brutale realismo verista fino allora imperante.
Vent’anni
più tardi, mutato ormai il clima artistico, Ramingo,
conservato al MASI – Museo d’Arte della Svizzera italiana di Lugano,
esposto alla Biennale del 1909 chiude la fase felice e innovativa dell’opera di
Mentessi. Il confronto con il bozzetto proveniente dalle collezioni ferraresi
della Banca Popolare dell’Emilia Romagna rivela come, anche in questo caso, il
dialogo silenzioso fra il povero pellegrino e il Cristo sofferente sia frutto
di un ripensamento in chiave simbolica e religiosa di una prima idea per
l’opera, raffigurante una madre col bambino.
I disegni per le due figure principali del dipinto, gli studi per lo sfondo architettonico – paragonabile a una quinta scenografica barocca – e le incisioni con cui Mentessi rielabora alcune delle sue opere più celebri, rivelano il saldo possesso degli “strumenti del mestiere” frutto di una solida formazione accademica e di decenni di insegnamento dei fondamenti del disegno, della prospettiva e del paesaggio.
I disegni per le due figure principali del dipinto, gli studi per lo sfondo architettonico – paragonabile a una quinta scenografica barocca – e le incisioni con cui Mentessi rielabora alcune delle sue opere più celebri, rivelano il saldo possesso degli “strumenti del mestiere” frutto di una solida formazione accademica e di decenni di insegnamento dei fondamenti del disegno, della prospettiva e del paesaggio.
La mostra si
chiude con una selezione di disegni, di abbozzi su fogli di fortuna e studi
dettagliati pronti per essere riportati sulla tela, testimonianze di una felice
attività artistica quotidiana praticata da Mentessi fin negli ultimi giorni di
vita.
Maria Paola
Forlani
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