Vivian Maier
A Bologna,
nella sede di Palazzo Pallavicini si è aperta, fino il 27 maggio 2018, una
delle rassegne più complete dedicate alla grande fotografa statunitense Vivian
Maier (New York 1926 – Chicago 2009): con oltre 120 fotografie in bianco e nero
realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta, una selezione di immagini a colori
scattate negli anni Settanta e alcuni filmati in super 8, la mostra Vivian Maier, a cura di Anne Morin, è un viaggio nelle opere e nella vita di un’artista che ha fatto
del mistero il suo fascino.
“Nessuno è eterno, bisogna lasciare
il
posto agli altri, è un ciclo. Abbiamo
tempo fino alla fine e poi, un altro
prenderà il nostro posto. Ѐ tempo di
chiudere e tornare al lavoro”
Vivian Maier
Come per
altri artisti rimasti sconosciuti o semisconosciuti durante la loro vita,
Vivian Maier e, soprattutto, la sua vasta quantità di negativi è stata scoperta
nel 2007, grazie alla tenacia di John Maloof, anche lui americano, giovane
figlio di un rigattiere. Nel 2007 il ragazzo, volendo fare una ricerca sulla
città di Chicago e avendo poco materiale iconografico a disposizione, decise di
comperare in blocco per 380 dollari, in un’asta, il contenuto di un box zeppo
degli oggetti più disparati, espropriati per legge ad una donna che aveva
smesso di pagare i canoni di affitto.
Mettendo
ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini e perfino
assegni di rimborso delle tasse mai riscossi), Maloof reperì una cassa
contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare.
Dopo aver
stampato alcune foto Maloof le pubblicò su Flickr, ottenendo un interesse
entusiastico e virale e l’incoraggiamento della community ad approfondire la
sua ricerca. Pertanto fece delle indagini sulla donna che aveva scattato quelle
fotografie: venne a sapere che Vivian non aveva famiglia ed aveva lavorato per
tutta la vita come bambinaia soprattutto nella città di Chicago e Los Angeles.
Le maggior
parte delle sue foto sono “street photos” ante litteram e può essere
considerata una antesignana di questo genere fotografico. Inoltre scattò molti
autoritratti, caratterizzati dal fatto che non guardava mai direttamente verso
l’obiettivo, utilizzando spesso specchi o vetrine di negozi come superfici
riflettenti.
La sua vita
può essere paragonata a quella della poetessa Emily Dickinson, che scrisse le
sue riflessioni e le sue poesie senza mai pubblicarle e, anzi, a volte,
nascondendole in posti impensati, dove furono trovate solamente dopo la sua
morte. Dal momento della sua scoperta, Maloof ha svolto una grande attività di
divulgazione della sua opera fotografica, organizzando mostre itineranti in
tutto il mondo. Vivian Maier utilizzava per scattare le sue immagini una
macchina fotografica Rolleiflex e un apparecchio Leica IIIc.
La vita di
Vivian Maier è stata ricostruita in particolare da John Maloof che ha cercato
testimonianze della sua vita negli Stati Uniti, specialmente tra le famiglie
presso le quali ha vissuto. La parte francese della sua biografia è stata ricostruita
grazie al lavoro dell’associazione Vivian
Maier et le Champsaur che ha cercato testimoni nel Champsaur, la valle
d’origine della sua famiglia materna nelle Alte Alpi.
Vivia Maier
nacque a New York, il 1 febbraio 1926. Suo padre, Charles Maier, era americano,
nato da una famiglia di emigranti austriaca, mentre sua madre, Maria Jaussaud,
era nata in Francia, nel maggio 1897, a Saint-Julien-en-Champsaur in cui visse
fino alla sua partenza in America. A New York, Maria conobbe Charles Maier,
impegnato in una drogheria, il quale la sposò nel maggio 1919. Da questa unione
nacquero due figli, prima un maschio, Wiliam Charles, nel 1920, e poi, nel
1926, la figlia Vivian.
Separatisi i
genitori nel 1929, il ragazzo fu affidato ai nonni paterni e Vivian rimase con
la madre, che trovò poi rifugio presso un’amica francese che viveva nel Bronx,
Jeanne Bertrand, nata nel 1880 non lontano dalla valle di Champsaur. Jeanne
Bernard era fotografa professionista riconosciuta dalla critica e che ebbe onori elogiativi sul suo lavoro attraverso
articoli sul Boston Glob. Fu lei che trasmise a Maria e a sua figlia la
passione per la fotografia.
Grazie alle
testimonianze raccolte dai residenti in Champsaur, il sito dell’associazione
locale riporta che tra il 1932 e il 1933, le due donne e Vivian tornarono in
Francia e si stabilirono prima a Saint-Julien, poi a Saint-Bonnet-en-Champsaur.
Parte dell’infanzia di Vivian si svolse quindi in Francia, dai sette anni fino
ai dodici. In quel periodo, Vivian parla francese e gioca con i bambini della
sua età; Maria, sua madre, scatta alcune fotografie che testimoniano del loro
soggiorno.
Il Iº agosto 1938 Maria Maier e sua figlia
ripartiranno per gli Sati Uniti a bordo del transatlantico Normadie, che collegava Le Havre a New York, dove di nuovo si
stabilirono. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1950-1951, Vivian Maier tornò
in Champsaur per mettere all’asta una proprietà che le era stata lasciata in
eredità.
La giovane
donna ripartì nell’aprile del 1951 per New York. Con il ricavato della vendita,
comprò una fotocamera eccellente, una Rolleiflex professionale, e viaggiò nel
Nordamerica. In seguito lavorò come bambinaia al servizio di una famiglia di
Southampton, prima di stabilirsi definitivamente nel 1956 a Chicago, dove
continuò a fare la governante per bambini.
Vivian Maier
aveva 30 anni al suo arrivo a Chicago, dove era stata assunta dai coniugi Nancy
e Avron Gensburg per prendersi cura dei loro tre ragazzi.
Presso i
Gansburg aveva un bagno privato, che le servì anche come camera oscura,
attrezzandola per sviluppare i negativi e i suoi film. Diede libero sfogo alla
sua passione per la fotografia allorchè, ad ogni occasione, potè immortalare la
vita quotidiana nelle strade con i suoi abitanti, bambini, lavoratori, persone
di buona società e personaggi famosi come pure miserabili, mendicanti ed
emarginati. Mentre era ancora al servizio dei Gensburg, che ricorsero ad una
temporanea sostituta, Vivian intraprese, da sola, per 6 mesi, tra il 1959 e il
1960, un viaggio intorno al mondo, visitando le Filippine, la Thailanda,
l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia e infine la Francia con un ultimo
soggiorno a Champsaur girando in bicicletta per tutto il circondario e
scattando molte foto.
Sua madre
morì nel 1975 e Vivian, a 49 anni, si ritrovò sola, sempre animata dalla sua
grande passione per la fotografia, continuò a guadagnarsi da vivere come
bambinaia.
Sul finire
del 2008, ebbe un incidente cadendo sul ghiaccio e battendo la testa.
Vivian Maier
morì, dopo poco tempo, il 21 aprile 2009, mentre il suo box era stato messo
all’asta, per gli affitti non pagati, e prima che John Maloof, che cercava sue
notizie e voleva valorizzare la sua opera, potesse trovarla.
Dalle opere
di Vivian Maier non colpisce soltanto la capacità di osservazione, l’occhio
vigile e attento a ogni sensibile variazione dell’insieme, l’abilità di
composizione e di inquadratura. Ciò che più impressiona è la facilità nel
passare da un registro all’altro, dalla cronaca, alla tragedia, alla commedia
dell’assurdo, sempre tendendo saldamente fede al proprio sguardo. Una voce
rimasta per molto tempo fuori dal coro, ma senza dubbio ben accordata.
Maria Paola
Forlani
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