Questa mostra “L’Ottocento dell’Italia tra Hayez e
Segantini” si ricollega sotto un nuovo punto di vista la storia dell’arte
italiana tra Ottocento e Novecento, con altre rassegne realizzate nei Musei San
Domenico, in particolare quelle dedicate nel 2007 a “Silvestro Lega”. “I
Macchiaioli e il Quattrocento”, nel 2013 al “Novecento arte e vita in Italia
tra le due guerre”, nel 2014 al “Liberty.
Uno stile per l’Italia moderna” e nel
2015 a “Boldini. Lo spettacolo della modernità”,
altrettanto dunque approfondite e originali ricognizioni monografiche alla esplorazione
dei movimenti che hanno caratterizzato l’avvincente confronto tra la tradizione
e la modernità, il dialogo tra il passato e il presente, individuati come una
caratteristica specifica della cultura figurativa del nostro paese. Questo
assunto vale in particolare per il mezzo secolo preso in considerazione da
questa mostra che va dall’Unità alla Grande Guerra, l’evento con cui – a
ridosso anche della rivoluzione futurista – poteva considerarsi definitivamente
concluso l’Ottocento. Quindi sono stati oggetto di un’indagine mai tentata
prima gli anni esaltanti e tormentati che hanno visto gli intellettuali e gli
artisti impegnati sul fronte comune di promuovere una nuova coscienza unitaria,
un’identità nazionale che rispecchiassero l’avvenuta unificazione politica del
paese.
Come la letteratura, dominata dalle personalità di Carducci,
Pascoli e D’Annunzio individuati quali i grandi interpreti dell’orgoglio e
delle aspirazioni nazionali, e la musica, che con Verdi, Puccini e Mascagni ha
saputo esprimere le grandi passioni proiettate nella storia come nella
contemporaneità, anche le arti figurative, e in particolare la pittura la cui
presenza è dominante anche se in un incalzante dialogo con la scultura, sono
state un formidabile strumento di aggregazione. Hanno esplorato infatti nuovi
territori tra la mitizzazione della storia, la memoria delle recenti lotte
risorgimentali, viste come una grandiosa epopea popolare, e la dolorosa
testimonianza del presente caratterizzato da forti tensioni sociali.
Per capire le attese, le speranze,
le delusioni di un paese che, ancora profondamente diviso antropologicamente,
economicamente, socialmente e culturalmente, faticava a stare unito, la mostra
propone un confronto, mai realizzato prima, tra le esperienze dei movimenti più
sperimentali che, come i Macchiaioli e i Divisionisti, si sono espressi come
un’alternativa alla cultura figurativa dominante, e la cosiddetta arte
“ufficiale”. Se la consideriamo senza i soliti pregiudizi è stata, nel bene e
nel male non solo un formidabile strumento celebrativo e di propaganda, ma
anche e soprattutto il mezzo più efficace e popolare – diremmo “nazional
popolare” – per fare conoscere agli italiani i percorsi appassionati e
contradditori di una storia antica e recente caratterizzata da aspirazioni e
slanci comuni, ma anche da drammatiche tensioni e divisioni.
Attraverso una selezione di opere diventate iconiche,
soprattutto quelle presentate premiate, acquistate dallo Stato e dagli enti
pubblici, ma anche oggetto di dibattito e di scandalo, alle grandi Esposizioni
Nazionali, da quella di Firenze del 1861 a quelle di Roma, Torino e Firenze (le
tre città che erano state capitali) hanno celebrato il conquantenario
dell’Unità, le dieci sezioni della mostra ricostruiscono i percorsi dei diversi
generi, da quello storico alla rappresentazione della vita moderna, dall’arte
di denuncia sociale al ritratto, al paesaggio. In un percorso coinvolgente,
anche per la particolarità e la qualità dell’allestimento, la scena muta
continuamente riservando al visitatore non poche sorprese, nell’incontro
inatteso e ravvicinato con un Ottocento mai visto.
Dai capolavori dell’ultimo
dei Romantici, il vecchio e glorioso Hayez, interprete degli slanci della
giovinezza, di una bellezza senza tempo e delle passioni del Medioevo, si passa
alla potenza visionaria del teatrale “Otello” di Molmenti, del finalmente
visibile Cesare Borgia a Capua” di Previati, un immenso dipinto leggendario
come le epiche battaglie risorgimentali evocate dai lombardi Induno e Faruffini
e dal meridionale Cammarano, presente con un quadro entrato nell’immaginario
degli italiani come la strepitosa e travolgente “Breccia di Porta Pia”. L’epica dei “vinti”, resa universale dal Signorini
dell’ “Alzaia” e dalla dolorosa attualità degli “Emigranti” di Tommasi, appare
placarsi nella dolcezza di un quadro mitico e amatissimo come le “Due madri” e
nei solenni paesaggi alpini, come quello monumentale di “Alla stanga”, che fanno
di Segantini, celebrato da D’Annunzio come una sorta di pittore vate, il genio
che nei suoi occhi “umili e degni” è riuscito a rendere l’ “infinita bellezza”
della natura. Quella natura che ci rivela il suo mistero in quello struggente
capolavoro finale, misterioso come certi versi del Pascoli simbolista, che è
“Lo specchio della vita” di Pelizza di Volpedo.
Maria Paola Forlani
OTTOCENTO
L’Arte dell’Italia tra Hyez e Segantini
Musei San Domenico
Aperta fino al 16 giugno 2019
A cura di Fernardo Mazzotta, Francesco Leone
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