domenica 31 gennaio 2016

INVERNO a PALAZZO FORTUNY

Inverno a Palazzo Fortuny

Henriette Fortuny
Ritratto di una musa
Romaine Brooks
Dipinti, disegni, fotografie
Sarah Moon
Omaggio a Mariano Fortuny
Ida Barbarigo
Erme e Saturni


Quattro straordinarie personalità femminili. Henriette Fortuny, Romaine Brooks, Sarah Moon e Ida Barbarigo – con le loro “storie” singolari ed affascinanti, sono al centro di una importante mostra che la Fondazione Musei Civici di Venezia propone durante la stagione invernale, fino al 13 marzo 2016.

Il progetto nasce per rendere omaggio alla “padrona di Casa” Henriette Fortuny, vera e propria “musa” che, in un affascinante itinerario, riesce a condurre il visitatore nei magici ambienti del laboratorio-atelier di Palazzo Pesaro degli Orfei alla scoperta di esperienze artistiche diverse.

Un intenso “viaggio” che partendo dalla fine dell’Ottocento, attraversa la Belle Époque e gli anni Venti del secolo scorso, per giungere fino ai giorni nostri, raccontando la declinazione al femminile della modernità.

La mostra è un omaggio a una donna che con la sua intelligenza e sensibilità ha saputo affiancare, ispirare e sostenere uno degli artisti più raffinati del secolo scorso.
Adéle Henriette Nigrin nasce a Fontainbleau nel 1877 e agli inizi del’900, a Parigi, incontra Mariano Fotuny. Lui è un artista già noto, impegnato nella sperimentazione di un complesso sistema d’illuminazione che sin dalle prime applicazioni rivoluzionerà la scenotecnica teatrale.

Le scarne notizie biografiche non ci raccontano altro, ma certo è che dal 1902, per ben 47 anni Heriette sarà al fianco di Fotuny, contribuendo in misura determinante al successo delle sue straordinarie creazioni tessili.

A lei si deve infatti l’idea dei Delphos, l’abito in finissima seta plissetata icona di uno stile mondialmente riconosciuto e simbolo di un’eleganza senza tempo.
Nella casa laboratorio di Palazzo Pesaro degli Orfei Henriette affianca il marito nella produzione dei pregiati tessuti stampati e delle lampade in seta, coordinando le numerose maestranze che con loro collaborarono.

Si fa anche carico dei delicati rapporti con una committenza sempre più numerosa e internazionale, lasciando al Maestro la possibilità di dedicarsi interamente agli studi, alle ricerche, alle sperimentazioni nelle varie discipline artistiche.

Dopo la morte del marito (1946) e caduta la società Anonima Fortuny all’amica Elsie McNeill, Hariette dedica il resto della sua vita a ottemperare alle disposizioni testamentarie di mariano – donando numerose opere a musei italiani e spagnoli – e all’inventario dei beni del palazzo che alla sua scomparsa (1965) affida alla città di Venezia.


La mostra a cura di Daniela Ferretti e Cristina Da Roit, è il frutto del lavoro di ricerca, riordinamento e manutenzione effettuato nel corso del 2015 sulle collezioni del museo Fortuny, mediante il quale è stato possibile selezionare – da un corpus di oltre dodicimila originali tra lastre di vetro alla gelatina e pellicole in celluloide – duecento fotografie dell’archivio fotografico Fortuny, che sono state oggetto di un importante intervento conservativo e archivistico. A questo si è aggiunto il riordinamento e l’informatizzazione della raccolta delle matrici per la stampa su tessuto.



Romaine Brooks
Dipinti, disegni, fotografie


Con questa mostra, la prima in assoluto dedicata  in Italia all’artista americana Romaine Brooks (1874-1970), si riscopre quella comunità trasgressiva, raffinata e cosmopolita che animò - tra Parigi, Capri e Venezia – i più sofisticati circoli culturali della Belle Époque. Jean Cocteau, Paul Morand, Luisa Casati, Ida Rubinstein e Gabriele d’Annunzio sono alcuni dei personaggi che ebbero il privilegio di essere immortalati dall’artista famosa per la sua palette dai toni lunari.
L’esposizione a cura di Jérome Merceron su progetto di Daniela Ferretti, nasce dal felice incontro con Lucile Audouy, appassionata e volitiva collezionista parigina, che ha prestato per la mostra veneziana un importantissimo nucleo di opere, molte delle quali inedite.

Nata a Roma nel 1874 da genitori americani e sposata con il pianista
John Ellington Brooks, Beatrice Romaine Goddard è stata una delle figure più interessanti della scena artistica degli anni Venti.


Legata sentimentalmente alla scrittrice Natahalie Clifford Barney e, contemporaneamente alla danzatrice Ida Rubinstein – sua modella per molti dipinti – l’artista americana ebbe anche un’intensa relazione con il Vate, che immortalò in due famosi ritratti.


Inizialmente influenzata dalla pittura di Whistler, trova ben presto la sua inconfondibile cifra stilistica caratterizzata dall’infinita varietà di grigi e rosa spenti della sua tavolozza e nella straordinaria capacità di catturare l’anima dei suoi soggetti.


I disegni restano però lo specchio più profondo della sua anima tragica e solitaria.


Carichi di poesia dolente, emozione e mistero, ironia e pessimismo, si fondono nel tratto severo, scevro di ogni orpello decorativo che quasi incide la carta senza incertezze o ripensamenti; ci accompagnano con pudore e distacco apparente nei meandri di un mondo interiore, sempre in bilico tra luce e la tenebra.

Sarah Moon

Omaggio a Mariano Fortuny

Lo stile personalissimo e visionario di Sarah Moon (nasce in Francia nel 1941), l’intensità del suo sguardo e la poesia dei suoi scatti non potevano trovare luogo più suggestivo ed empatico di Palazzo Fortuny.


Le luci tenui dell’inverno lagunare che penetrano alle ampie vetrate, le pieghe, le volute e i giochi di rifrazione creati dai tessuti e dai panneggi degli abiti ideati da Mariano Fortuny, sono fonte d’ispirazione per questo nuovo progetto espositivo a cura di Alexandra de Léal e Adele Re Rebaudengo,
che la grande fotografa ha costruito nel corso degli anni, durante le frequentazioni della casa/laboratorio di Palazzo Pesaro degli Orfei.

Le sue fotografie, realizzate per rendere omaggio a Mariano Fortuny, che accolgono il visitatore nei luminosi spazi al secondo piano del palazzo, innescano un percorso della memoria, dove i segni del tempo rendono manifesta l’evanescenza della bellezza e la permanente condizione d’incertezza su cui riposa l’umana esistenza.

Le stampe a getto d’inchiostro ai Sali d’argento raccontano frammenti di una storia interiore che prende corpo nelle ombre create dal movimento delle stoffe, che richiamano la morbidezza dei plissè del Delphos, l’abito-icona della produzione di Fotuny e nelle linee – sfocate del ricordo – delle architetture del palazzo.

L’artista francese, tra le maggiori fotografe di moda contemporanea, prima donna nel 1972 a scattare le foto per il Calendario Pirelli, da molti anni ha ampliato gli orizzonti del suo sguardo soffermandosi in particolare su tre temi:
l’evanescenza della bellezza, l’incerto e lo scorrere del tempo.
Il suo percorso si è declinato anche attraverso video ed è stata oggetto di numerosi riconoscimenti, come il Gran Prix National de la Photographie nel 1995 e il Prix Nadar nel 2008.


Ida Barbarigo
Erme e Saturni


Discendente di un’illustre famiglia di artisti, presenti a Venezia da più di tre secoli, Ida Barbarigo espone a Palazzo Fortuny, a cura di Daniela Ferretti,
una selezione accurata di opere appartenenti a due serie realizzate nell’arco di due decenni, tra il 1980 e la fine degli anni Novanta.
Le Erme e i Saturni sono gli enigmatici testimoni di un complesso percorso compiuto dall’artista attraverso la pittura.

La tela, i colori, gli acidi, i pennelli, i punteruoli sono semplici strumenti attraverso i quali la visione prende corpo, svelandosi nella concretezza dell’opera

Seducente ed enigmatica, Ida ama raccontare con semplicità il suo costante e appassionato impegno nell’ambito della pittura.
Nata a Venezia nel 1920 – sua madre Livia Tivoli, era pittrice e poetessa, suo padre il pittore, Guido Cadorin – Ida continua la tradizione umanistica di una famiglia in cui per secoli si sono alternati scultori, architetti, pittori, studiosi e letterati.

Nel 1949 sposa Zoran Music con il quale condividerà la grande passione per l’arte.
Vive e lavora a Venezia.


Maria Paola Forlani





mercoledì 27 gennaio 2016

AFFINITA' ELETTE - Alla Raccolta Lercaro

Affinità Elette

La collezione di Nanda Vigo: opere e relazioni tra i più importanti artisti europei degli anni Sessanta

Alla Galleria d’Arte Moderna
“Raccolta Lercaro”


Il nucleo originario della Raccolta Lercaro – che fa parte della Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro – risale al 1971, quando quattro artisti bolognesi (Aldo Bonzagni, Pompilio Mandelli, Enzo Pasqualini, Ilario Rossi) donarono diverse loro opere al Cardinale Giacomo Lercaro (1891-1976), allora Arcivescovo Emerito di Bologna, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Se da un lato veniva così riconosciuta l’attenzione che egli aveva sempre riservato all’arte, dall’altro si gettavano le basi per una vera e propria collezione di pittura e scultura.
Attorno al nucleo originario ruotano le successive donazioni. Col tempo, infatti, sono state acquisite opere di grande importanza, soprattutto grazie ai rapporti intrattenuti dall’Arcivescovo con artisti di valore internazionale come Giacomo Manzù o Francesco Messina.
Nessun vincolo era ed è dato al soggetto per entrare nella Raccolta Lercaro.
<<l’arte, afferma il Cardinale Giacomo Lercaro – ha un’intrinseca dimensione religiosa>>. L’espressione artistica è considerata come luogo di una testimonianza, di una ricerca di senso da accogliere tutti i suoi aspetti. Alla morte del Cardinale, il Presidente della Fondazione nel frattempo costituita, Mons. Arnaldo Fraccaroli, decise di rivedere l’esposizione della collezione, destinandole uno spazio specifico.
Nel 1989 la Raccolta Lercaro si presentò come Galleria d’Arte Moderna di Villa San Giacomo. Al direttore Franco Solmi (1989) seguì, dal 1989 al 2005 Marilena Pasquali. Mons. Fraccaroli, nel frattempo, iniziò delle vivaci collaborazioni con Franco Farina (fondatore delle Gallerie d’Arte Moderna e contemporanea di Palazzo dei Diamanti di Ferrara) e con don Franco Patruno (direttore dell’Istituto di Culura Casa Cini di Ferrara).
L’esperienza fu assai prolifica di interventi e conferenze da parte dei due valenti ‘protagonisti estensi’, ma, soprattutto, fu un approccio verso i giovani per guidarli a nuove abilità di ricerca e schedatura all’interno della Fondazione Lercaro.
L’evento che ha maggiormente segnato la svolta nell’attività della Raccolta negli ultimi anni risale al 2003 con l’inaugurazione di nuovi spazi espositivi in via Riva Reno, grazie al determinante contributo della Fondazione Caribo. Il nuovo direttore Andrea Dall’Asta S.I.,( già direttore del Centro San Fedele di Milano) ha ripensato
i percorsi espositivi per permettere l’acquisizione di nuovi spazi destinati a mostre temporanee e dalla promozione di diverse attività culturali.

Tra i nuovi grandi eventi che aprono il 2016 della Raccolta Lercaro  è la realizzazione di un’importante mostra dal titolo Affinità Elette. La collezione di Nanda Vigo: opere e relazioni tra i più importanti artisti europei degli anni Sessanta. A cura di Andrea Dall’Asta S.J, con testi storico critici di Marco Meneguzzo, aperta fino
all’8 maggio 2016. Le <<affinità elette>> sono quelle personalità che Nanda Vigo ha incontrato e <<eletto>> a interlocutori del proprio lavoro e delle sue preferenze in campo artistico, presenti in mostra, come Lucio Fontana, Heinz Mack, Piero Manzoni, Christian Megert, Jan Schoonhoven, Günther Uecker…

In modo particolare, nell’esposizione, si rivela centrale un nucleo di opere che ripercorre il sodalizio tra Piero Manzoni, morto nel 1963, e Nanda Vigo. I due artisti sono qui riuniti per la prima volta, facendo emergere sia la loro ricerca artistica, di estremo interesse anche dal punto di vista storico, sia la loro relazione personale, che si intreccia con i maggiori gruppi e movimenti artistici dell’epoca come il grande Movimento Zero, a cui hanno partecipato da Lucio Fontana a Yves Oleine, da Otto Piene a Heinz Marck…


Siamo tra la fine degli anni’ 50 e gli inizi degli anni’ 60. È questo per la città milanese un periodo particolarmente intenso, complesso ed estremamente fecondo per l’arte del Novecento, che vede Milano uno dei centri di maggiore interesse a livello internazionale. Così, alla fine degli anni’ 50, numerosi sono i fermenti che intendono scardinare le consuetudini artistiche e culturali. Ricordiamo solo a titolo di esempio come nel gennaio del 1957 Alberto Burri esporrà nella Galleria il Naviglio i suoi quadri materici, uno tutto nero e un altro tutto bianco con stracci, e Lucio Fontana nel 1958 agirà sulla tela con i suoi tagli, negando in questo modo la superficie pittorica, per spingersi verso un <<oltre>>, un <<al di là>>. È questo un periodo storico che vede il fiorire del grande cinema neo-realista italiano, con autori di primo piano come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti.


 Piero Manzoni, alla mostra della Raccolta Lercaro, è presente con i suoi primi esperimenti, che comprendono anche le ricerche nucleari, sino alla realizzazione di alcuni strepitosi Achrome, con un’importante <<barba>> del 1961-62. L’esposizione costituisce un piccolo quanto intenso spaccato dell’attività di un autore che ha realizzato opere celeberrime come quelle del Socle du Monde o delle Uova, o come le piccole impronte su carta, fino alla scatola di Merda d’artista: prove, tentativi, passaggi fondamentali nella storia dell’arte, posti come punti di partenza per ricerche sullo statuto ontologico dell’opera d’arte, così profondamente mutato nel XX secolo, sulle contraddizioni tra arte e mercato. Piero Manzoni è stato confirmatario del Manifesto contro lo stile con il Guppo Nucleare, con cui espone alla mostra <<Movimento Arte Nucleare>> presso la Galleria San Fedele di Milano nel 1957.

 Si proclama, così, la caduta di ogni stile, prendendo una chiara posizione polemica <<contro la sclerosi delle trovate stilistiche e contro il mito dello stile quale traduzione formale della coerenza dell’artista>>.

Anche il lavoro di Nanda Vigo si inserisce pienamente in questo clima culturalmente così vivace. Significativa è la sua vicinanza con i maggiori artisti italiani e stranieri del tempo. Di estremo interesse è la sua adesione al Gruppo Zero, movimento artistico nato in Germania tra gli anni’ 50 e ‘ 60, che si diffonde presto in tutto il mondo, segnando una rottura definitiva con i dogmi dell’arte tradizionale: un cambiamento epocale, nel desiderio di <<ripartire da zero>>.

Nel’ 59, l’artista, progetta le Torri Cimiteriali per Cimitero di Rozzano e la Zero Hause, primo ambiente abitabile ZERO, completamente bianco, se non per l’uso di opere di Enrico Castellani e Lucio Fontana. Anche la sua poetica si fonda sull’assenza del colore, sostituito dalla luce naturale o artificiale, visibile nelle opere di questi anni, che affrontano il rapporto spazio-tempo, luce-trasparenza, da cui il nome dei lavori: Cronotopo (Cromo-Topos).

Nanda Vigo è presente nella mostra della Raccolta Lercaro con una selezione di importanti opere storiche, tra i quali, appunto, i celebri Cronotopo (1960).
Questi lavori, ideati in maniera interdisciplinare nell’arte, nel design e nell’architettura, consistono in vere e proprie sperimentazioni, facendo un uso sapiente della luce. Attraverso l’uso di materiali industriali come vetro e l’alluminio, l’artista realizza opere che si pongono come filtri visivi della realtà in cui siamo immersi.

La mostra Affinitività Elette documenta così l’opera di una grande autrice che a partire dagli anni’ 60, ha saputo continuamente rinnovarsi, ispirando generazioni di artisti e di designer, con la sua tenace originalità, sempre lontana dai marchi di fabbrica o dalle soluzioni accattivanti, Una vera esploratrice dello spazio, il cui compito è quello di <<seguire la luce>> e i suoi segreti.

Maria Paola Forlani




domenica 24 gennaio 2016

ARTE FIERA

Arte Fiera



Dal 29 gennaio al 1 febbraio prossimi il padiglione fieristico di Bologna ospita un’edizione speciale di Arte Fiera per festeggiare i 40 anni di attività della grande fiera dell’arte moderna e contemporanea bolognese. Curata da Giorgio Verzotti e Claudio Spadoni, che da quattro anni sono guida della manifestazione. L’evento propone sia uno sguardo retrospettivo che prende le mosse da Giorgio Morandi, sia uno sguardo in avanti che vorrebbe indicare quali nuovi talenti animeranno i prossimi quarant’anni.
La parte storica nasce con l’aiuto di documenti d’archivio, ma anche delle gallerie che hanno contribuito ad animare la manifestazione e che, anzi, ne sono il vero motore. La parte rivolta agli emergenti è stata creata con la consulenza di un comitato scientifico di curatori e direttori di museo – Andrea Bellini, Francesco Bonanni, Laura Carlini Fanfogna, Giacinto Di Pietrantonio, Hou Hanrou, Luca lo Pinto, Alberto Savadori – che ha selezionato le proposte delle gallerie.

Ecco dunque tutti gli attori di scena: la committenza fatta da gallerie che dipendono da alcuni collezionisti opinion maker, e che ne influenzano altri; l’istituzione museale; la figura del curatore indipendente o anche legato a un museo, che, nata negli anni Cinquanta, è arrivata negli ultimi decenni a un ruolo centrale; dietro a questi ultimi intravediamo le riviste specializzate e in generale gli organi di informazione, che svolgono il doppio ruolo di formare molti tra galleristi, collezionisti e curatori. Attraverso la danza che si crea tra questi coprotagonisti, la cronaca diventa storia e la storia si materializza in collezioni private, raccolte museali, libri che diventano punto di riferimento.

Sbaglierebbe di grosso chi pensasse, che una volta cristallizzato il giudizio su un certo artista esso sia destinato a permanere stabile nel tempo. Anni fa, prima della crisi, le case editrici straniere proponevano ogni anno centinaia di emergenti su cui puntare – paradigmatica la serie dei volumi Cream, Frech Cream, Creamer eccetera di Phaidon. Dei mille nomi proposti ne sono rimasti forse venti, e questo rientra nella logica di un mercato, delle idee così come delle opere, che si è fatto meno spasmodico benché non soffra più di tanto: in questo l’allontanarsi progressivo delle classi sociali aiuta, perché i ricchi sono sempre più ricchi e, seppure con prudenza, continuano a rivolgersi all’arte come bene di rifugio. Ma se la rapida obsolescenza degli esordienti è cosa nota e comprensibile nonché condivisibile – non nasce un genio al minuto – meno chiaro è il mecenatismo delle rivalutazioni dei nomi storici. Un artista può rimanere per decenni dentro al cassetto del <<ti ricordi?>> per poi venire ripresentato come una pietra miliare.

Da alcuni anni, per esempio, si è ritornati a dare un’importanza crescente ad artisti a Milano nei primi anni Sessanta, come Gianni Colombo, celebrato da ormai da mostre internazionali, o Paolo Scheggi, del quale è in corso una furibonda rivalutazione. Sono due artisti scomparsi che in vita ebbero fortune alterne e per anni, anche dopo la morte, sono rimasti in sala d’attesa. Che cosa ne ha resuscitato le fortune? Non si può dimenticare che queste e altre glorie seguono la celebrazione di Piero Manzoni, Lucio Fontana, Enrico Castellani, cioè dei loro compagni di strada più noti, da parte di gallerie potenti come Gagosian o di colossi culturali privati come la Fondazione Prada. I motivi per cui si rispolvera un artista sono in parte pratici: la sua di opere sta bene al mercato col tempo una più gallerie hanno deciso di rimetterlo in pista;  complice necessaria, un’operazione di catalogazione sapiente che, nel frattempo, ha messo ordine tra le opere; solo così i potenziali compratori acquisiscono fiducia.

I cataloghi generali sono armi pungenti, necessarie per essere sicuri che dietro a quell’autore c’è qualcuno che se ne cura, una famiglia attenta, una fondazione, studiosi con piglio filologico. E qui arriviamo al nodo mercato-cultura, quello che rende interessante la cavalcata proposta a Bologna dal MamBo e dalla Galleria Nazionale mostrando le interrelazioni tra storia degli artisti, storia delle gallerie e storia di ArteFiera: solo quando un artista del passato porta con sé delle garanzie mercantili arrivano a occuparsene i curatori, spesso coadiuvati da collezionisti e galleristi nell’organizzarne le mostre e, se necessario, riprodurne le opere perché vengano esposte o comperarle per inserirle finalmente in collezioni museali.



Maria Paola Forlani