martedì 31 marzo 2015

L'Arte di Francesco

L’Arte di Francesco

Capolavori d’arte e terre d’Asia dal XIII al XV secolo



Su cosa Francesco sapesse dell’Oriente, possiamo fare solo ipotesi e supposizioni. Anzitutto racconti di pellegrini e di mercanti. È probabile che avesse da ragazzo e da giovane sentito predicare la crociata: ma l’immagine che i predicatori popolari davano dell’Islam non era certo fra le più lusinghiere. Ma la tradizione cavalleresca, quella legittimata dal romanzo d’avventura – e Francesco ne conosceva i racconti, parlava un linguaggio un po’ diverso: quello dell’Oriente mussulmano come il luogo della magia, del meraviglioso, e dei guerrieri dell’Islam come uomini fieri ma prodi e sovente cortesi. Riguardo al viaggio di Francesco in Oriente, è verosimile che sia partito da Ancona, alla fine del giugno 1219, e che si sia diretto ad Acri per prendere anzitutto contatto con i suoi che erano là e anche per averne notizie sulla crociata.
Le vicende dell’incontro tra Francesco e al-Kamil sono narrate, in modo diverso, da alcune fonti crociate e dalle fonti francescane. La testimonianza più sicura, riguardo al suo arrivo sul teatro di guerra e alle cose che vi compì, resta quella di Giacomo di Vitry, vescovo d’Acri:

E non soltanto i cristiani, ma perfino i saraceni e gli altri uomini avvolti ancora nelle tenebre dell’incredulità, quando essi (i Minori) compaiono per annunziare intrepidamente il vangelo, si sentono pieni di ammirazione per la loro umiltà e perfezione e volentieri e con gioia li accolgono e li provvedono del necessario.
Noi abbiamo potuto vedere colui che è il primo fondatore e il maestro di questo ordine, al quale obbediscono tutti gli altri come a loro superiore generale: un uomo semplice e illetterato, ma caro a Dio e agli uomini, di nome frate Francino (sic).
Egli era ripieno di tale accesso di amore e di fervore di spirito che, venuto nell’esercito cristiano, accampato dinanzi a Damiata in terra d’Egitto, volle recarsi intrepido e munito dello scudo della sola fede nell’accampamento del sultano d’Egitto. Ai saraceni che lo avevano fatto prigioniero lungo il tragitto ripeteva: <<Sono cristiano, conducetemi davanti al vostro signore>>. Quando gli fu davanti, osservando l’aspetto di quell’uomo di Dio la bestia crudele si sentì  mutata in uomo mansueto e per parecchi giorni l’ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo dinnanzi a lui e ai suoi. Poi preso dal timore che qualcuno dei suoi si lasciasse convertire al Signore dall’efficacia delle sue parole e passasse all’esercito cristiano, lo fece ricondurre con onore e protezione nel nostro campo; e, mentre lo congedava, gli raccomandò: <<Prega per me, perché Dio si degni mostrarmi quale legge e fede gli è più gradita>>.

Organizzata dalla Galleria dell’Accademia, in collaborazione con l’Ordine dei Frati Minori, e ideata scientificamente con la commissione Sinica (Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, Pontificia Università Antonianum di Roma), la mostra
“L’arte di Francesco. Capolavori d’arte e terre d’Asia dal XIII al XV secolo” aperta fino al 11 ottobre 2015, a cura di Angelo Tartuferi e Francesco D’Arelli  (catalogo Giunti), propone ai massimi livelli qualitativi la produzione artistica di diretta matrice francescana  (pittura, scultura, arti suntuarie) dal Duecento al Quattrocento e, nel contempo, di porre in evidenza la straordinaria attività evangelizzatrice dei francescani in Asia, dalla Terra Santa alla Cina, rievocandola con oggetti di eccezionale importanza storica e incomparabile suggestione. Tra questi, il corno ritenuto tradizionalmente quello donato al Santo dal Sultano d’Egitto al-Malik nel 1219 a Damietta (Egitto) in occasione del loro incontro e conservato in Assisi nella Cappella delle reliquie della basilica di san Francesco.
In mostra la parte pittorica è esaltata dall’opera di Giunta di Capitano, il primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano, la cui influenza si estese nella prima metà del Duecento in vaste aree dell’Italia centrale e fino in Emilia. Il grandissimo artista, il primo pittore “nazionale” della storia dell’arte italiana, ricoprì il ruolo d’interprete della spiritualità francescana che poi sarà assolto da altre due altissime personalità, Cimabue e Giotto.

Di particolare interesse si rivela la sezione che ospita alcune fra le più antiche immagini devozionali del santo di Assisi, che tramandano gli episodi più famosi della sua agiografia.
Tra gli artisti presenti in mostra figurano il Maestro di San Francesco e il  Maestro dei Crocifissi francescani, due protagonisti di primo piano della pittura su tavola e in affresco, nel corso del XIII secolo. Un grande affresco staccato dalla chiesa di san Francesco a Udine di cultura tardogotica introduce il visitatore alla straordinaria vicenda umana del Beato Odorico da Pordenone (1286-1331), che intraprese intorno al 1314 un viaggio incredibile, sostenuto dal fervore missionario che lo porterà in Asia Minore, per incontrare poi i

Mongoli della dinastia Yuan (1279-1368) negli anni 1323-28, e in India.
Rientrato in patria dopo un viaggio rocambolesco Odorico riferì al Papa lo stato delle missioni in Oriente in una dettagliata Relatio.
La vicenda di Odorico da Pordenone fu solo una delle ultime dell’epoca francescana in Asia orientale, generata dall’impulso stesso dell’azione di Francesco e iniziata nel 1245 con Giovanni da Pian del Campione, culminata con Giovanni da Montecorvino, consacrato vecovo di Khanhbaliq (Pechino). Altrettanto significativo ed essenziale è il nucleo di attestazioni (documenti d’archivio e reperti archeologici), proveniente dal Museo della Custodia di Terra Santa (Gerusalemme) e dal Museo della Basilica dell’Annunciazione di Nazareth,  che illustra il contesto artistico in cui si trovarono  ad operare i Francescani.

Tornando ai capolavori d’arte ispirati dall’impulso di Francesco specialmente in ambito italiano, nel corso della prima metà del Trecento si colloca l’attività di uno dei più grandi pittori dell’epoca, il Maestro di Figline, che quasi certamente fu un membro dell’Ordine francescano, uno dei seguaci più alti e originali della cultura giottesca. Anche in piena epoca rinascimentale la committenza dell’Ordine francescano produrrà effetti di rilevanza straordinaria, avvalendosi dei massimi artisti del tempo, quali Carlo Crivelli, Antoniazzo Romano e Bartolomeo della Gatta.

 Non meno importante e ricco di capolavori si presenta il versante della scultura di origine francescana, che annovera personalità del calibro di Nicola Pisano, Nino Pisano, Domenico di Niccolò dei Cori e Andrea della Robbia.


Francesco quando spirò era in perfetta letizia.

Era il 3, sabato, al tramonto. Secondo le ore liturgiche cominciava la domenica,
 il giorno del Signore.
Le allodole, che amavano la luce, si alzarono allora in volo.
A stormo presero a volare a bassa quota sopra il tetto dell’edificio nel quale egli giaceva: e, girando in cerchio, cantavano.

Franco Cardini (Francesco d’Assisi) 1989

Maria Paola Forlani






domenica 29 marzo 2015

Donatello e la sua lezione

Donatello e la sua lezione
Scultura e oreficerie

A Padova tra Quattro e Cinquecento

Ne 1443 Donatello si reca a Padova dove resterà per una decina di anni. Nella città veneta trova un ambiente colto, ricco di spunti umanistici (fin dal 1222 vi ha sede una delle più importanti università),e, al tempo stesso, sereno, privo dello spirito critico, perennemente mordace, di Firenze.

Sono anni fecondi di capolavori.
Nel 1446 l’artista firma il contratto per l’Altare del Santo nella Basilica antoniana.


L’altare venne disgraziatamente smembrato alla fine del’500 e ricomposto, ma molto lacunosamente, solo trecento anni dopo. Non siamo perciò più in grado di apprezzarlo nella sua complessità architettonico-plastica, se non immaginandolo sulla scorta della Pala del Mantegna in San Zeno a Verona, che deriva da questo precedente donatelliano. Oggi sulla mensa dell’altare stanno le figure di alcuni Santi intorno alla Madonna sovrastata dal Crocifisso.
La Madonna è rappresentata nell’atto iconograficamente insolito, di alzarsi per mostrare il figlio ai fedeli, quasi offrirlo loro per quel sacrificio che sarà consumato sulla croce. Il Crocifisso non è più il <<contadino>>, ma non è nemmeno l’uomo perfetto, ideale, superiore alle sofferenze. Il movimento della luce che sfiora i risalti anatomici, l’insistenza lineare dei capelli, il gonfiarsi doloroso della vena sulla fronte, sono elementi drammatici: ma la compostezza dell’intera figura esprime anche la forza morale dell’uomo.

In basso sono rappresentati, in rilievo i Miracoli di Sant’Antonio. In questi quasi non distinguiamo subito il fatto miracoloso narrato, perché protagonista è la folla, agitata, sconvolta, meravigliata. Sempre a Padova, dal 1447 al 1453, Donatello erige il Monumento equestre al condottiero della repubblica veneta Erasmo da Narni detto <<il Gattamela>>. Innanzi tutto bisogna sottolineare che qui, forse per la prima volta dopo l’antichità classica, la statua si svincola dalla concezione della scultura come parte integrante dell’architettura (addossata a un muro o racchiusa in una nicchia) per proporsi come forma autonoma, come volume liberamente rapportato allo spazio.

La mostra, aperta ai Musei Civici agli Eremitani e a Palazzo Zuckerman di Padova fino al 26 luglio 2015, a cura da Davide Banzato ed Elisabetta Gastaldi (Catalogo SKIRA),documenta non solo la personale via nella riproposizione del tema romano della statua equestre, ma anche il capolavoro patavino e il suo lavoro più complesso, l’altare del Santo, di cui vengono esposti i calchi realizzati dallo scultore Luigi Ceccon, che ci riportano nel pieno del fermento culturale ottocentesco legato ai lavori di ricomposizione dei bronzi dell’altare, conclusosi poi secondo il progetto di Camillo Boito. Quando Donatelo lasciò Padova, nel 1453, le soluzioni compositive e gli stilemi da lui introdotti avevano già una capillare diffusione.


Fra gli allievi fu un padovano, Bartolomeo Bellano, nato verso il 1437-38 ed entrato giovanissimo nella bottega, a seguire il maestro a Firenze, a collaborare alle sue ultime opere e a concludere insieme a Bartolomeo di Giovanni. Nei rilievi con le Storie bibliche per il presbiterio di Sant’Antonio, fusi nella seconda metà degli anni ottanta, esibisce la sua abilità nel narrare episodi di carattere corale.

Alla mano di Bellano viene attribuita anche la replica di un bronzo originariamente concepito da Donatelo, la Crocifissione del Bargello, per la prima volta presentata al pubblico e agli studiosi e significativa per comprendere la prassi di lavoro nella bottega del toscano. I documenti indicano che in più di un’occasione Bellano si sarebbe valso del materiale del Maestro per la realizzazione delle sue opere. In questo caso, si sarebbe trovato tra le mani il modello di un’opera che non aveva ancora raggiunto la forma definitiva portandolo a termine con alcune personali variazioni sempre comunque sulla base del materiale iconografico appartenente al repertorio di bottega.
Alla luce degli studi più recenti viene proposta l’ipotesi che la Pietà con Angeli e le Marie, rilievo ricavato in una piccola lastra in marmo bianca proveniente dalla chiesa di San Gaetano, sia stata ideata e inizialmente lavorata da Donatelo nella sua bottega padovana e completata forse, qualche anno più tardi, dal giovanissimo Bartolomeo Bellano al quale, a detta del Vasari, il Maestro aveva lasciato gli utensili, i disegni e i modelli dei rilievi bronzei dell’altare del Santo e che – sempre secondo Vasari – fu il primo a introdurre in Veneto l’uso del piccolo bronzo a tutto tondo, come dimostra ad esempio Il Cavallo di collezione privata in mostra, che si aggiunge ai pochi esempi sicuramente a lui attribuibili.

A seguito della presenza di Donatelo si assiste a Padova a una consistente produzione di terrecotte.
Emerge la bottega dei de Fonduli, Giovanni e il figlio Agostino. La bella statua di San Giovanni evangelista è testimonianza della formazione di una comunione di linguaggio che coinvolge anche l’attività del più grande artista del bronzo dell’Italia del nord, Andrea Briosco, detto il Riccio per la sua capigliatura.
I suoi modelli dalla matrice espressionistica approdano a una precisione antiquaria e classicista che trova poi riscontro nelle terrecotte con San Canziano e Santa Canzinilla della chiesa di San Canziano a Padova.

Il primo decennio del Cinquecento fu il momento nel quale più stretto dovette essere il rapporto del Riccio con Severo da Ravenna, ideatore e diffusore di una notevole quantità di soggetti classici e con lui fecondo produttore di piccoli manufatti in bronzo, presenti in mostra.


Tra il 1520 e il 1530 vengono collocati alcuni capolavori in terracotta policroma quali la Madonna della Scuola del Santo e la Testa di Madonna del Museo padovano.
Della fase estrema, 1530, è il gruppo con il quale si conclude questa parte dell’esposizione, il Compianto in terracotta per la chiesa di San Canziano, del quale si presentano due Marie piangenti. Nell’accostarsi agli esempi di Guido Mazzoni il Briosco coniuga alla sensibilità per il colore un accademismo levigato.


L’influsso di Donatello si manifestò anche nelle arti applicate e in particolare nell’oreficeria.
Negli spazi per esposizione temporanee di Palazzo Zuckermann è esposta un’importante selezione di oreficerie sacre del Quattrocento e del Cinquecento, reliquiari e preziosi oggetti di uso cultuale eccezionalmente prestati dal Tesoro del Santo. In questi, grazie all’opera di maestri come Baldassarre da Prata e Ambrogio di Cristoforo (il padre di Brioso), si assiste al passaggio dal gotico allo stile rinascimentale.




Maria Paola Forlani

sabato 28 marzo 2015

DONATELLO SVELATO

Donatello svelato
Capolavori a Confronto


Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze, 1386 – ivi, 1466), amico del Brunelleschi, come lui impegnato nel rinnovamento artistico e perciò partecipe delle stesse idee, è tuttavia personalità ben diversa. Per Brunelleschi il rapporto uomo-mondo è rapporto sereno in virtù della ragione esiste un dominio sulle cose, perché esse ubbidiscono a quelle stesse leggi matematiche, eterne e universali, mediante le quali funziona la ragione. Nessun urto, dunque, ma solo un equilibrio, reciproco, accordo <<naturale>>.
Per Donatello, al contrario, il rapporto uomo-mondo è rapporto drammatico. Non esiste una verità certa e immutabile, frutto del calcolo matematico; la verità è ricerca, è conquista giornaliera. La verità è lotta: l’ambiente nel quale viviamo non è agevole, deve essere faticosamente, duramente dominato.

Il Vasari narra che Donatello aveva scolpito in legno un crocifisso e lo aveva mostrato a Brunelleschi per averne un parere; ma, contrariamente a quanto lo scultore si sarebbe aspettato, l’amico lo criticò, affermando che quello era <<un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo ed in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse giammai>>. Brunneleschi rispose con un altro crocifisso, ugualmente in legno senza parlarne con nessuno, davanti a tanta meraviglia Donatella rispose - <<a te è conceduto fare Cristi a me contadini>>.

Molti dubitano della veridicità dell’aneddoto assai noto, ma certo è che il Crocifisso fiorentino di Donatello (custodito in Santa Croce) è esposto ora a fianco ad altri due crocifissi nel Museo Diocesano di Padova nella mostra “Donatello svelato. Capolavori a confronto”, fino al 21 luglio 2015 (Catalogo Marsilio), curata da Andrea Nante ed Elisabetta Fracescutti.

Il termine “svelato” utilizzato nel titolo non è affatto casuale. Al centro dell’esposizione si trova infatti un Donatelo che va ad aggiungersi al catalogo delle opere certe del maestro fiorentino, il Crocifisso dell’antica chiesa padovana di Santa Maria dei Servi. Svelato nell’attribuzione ma anche nella sostanza perché, sino al restauro voluto dal direttore regionale dei beni culturali del veneto e condotto dalla Soprintendenza per i beni artistici per le province del veneto, con la collaborazione della Soprintendenza per i beni storici artistici del Friuli Venezia Giulia nel laboratorio di Udine di quest’ultima, la scultura lignea si presentava con le parvenze di un bronzo, per effetto di uno spesso strato di ridipinture. Affidato alle sapienti cure dei restauratori, il grande Crocifisso è emerso in tutta la straordinaria finezza dell’intaglio e nella originale cromia.

La mostra, ospitata nello scenografico Salone dei Vescovi, offre l’occasione storica, appunto, di ammirare per la prima volta tre grandi Crocifissi che Donatelo produsse nel corso della sua vita: quello realizzato per la chiesa di Santa Croce a Firenze (1406-08), quello dei Servi e quello bronzeo della Basilica di Sant’Antonio a Padova (1443 – 1449).
Il Crocifisso ligneo di Santa Maria dei Servi in Padova è stato attribuito a Donatello alcuni anni fa da Francesco Cagliati, dell’Università di Napoli, che sulla scorta delle ricerche di Marco Ruffini ha restituito alla scultura la corretta paternità, attestata dalle fonti più antiche ma ben presto dimenticata.

L’oblio del nome di Donatello si spiega con la particolare devozione di cui l’opera ha goduto, e tutt’ora gode, specialmente in seguito ai fatti miracolosi del 1512, quando l’immagine in più occasioni sudò sangue dal volto e dal costato.
Con il passare dei secoli la memoria popolare trasferì la paternità donatelliana alla scultura gotica della Vergine conservata sempre nella chiesa, ma la speciale cura dei fedeli per il Crocifisso ne assicurò la conservazione, preservandolo dalla distruzione o dalla dispersione, sorte molto comune per questo tipo di immagini scolpite.


Se in un primo momento l’attribuzione, argomentata da Cagliati su basi stilistiche, ha suscitato qualche perplessità e un atteggiamento di prudenza all’interno della comunità scientifica, oggi i risultati del restauro non lasciano dubbi.


La rimozione della spessa ridipintura a finto bronzo rivela ora tutta la qualità dell’intaglio e della policromia originaria, in buona parte conservatasi, restituendo a Padova un capolavoro che va aggiunto alle altre opere che Donatello ha lasciato durante la sua permanenza in città (1443 – 1453) – la statua equestre del Gattamelata, l’altare e il Crocifisso bronzeo per la Basilica di Sant’Antonio – aggiungendo un ulteriore tassello nella vicenda biografica dell’artista.


Il Crocifisso del Santo, al pari di quasi tutti i capolavori di Donatello – commissionato dai massari dell’Arca sul cadere del 1443 o all’inizio del 1444 – è un’opera assolutamente pionieristica nel suo genere.
Esso è infatti il più precoce Crocifisso a grandezza naturale in metallo fuso e non a sbalzo che si conosca su suolo italiano e come tale ha inaugurato un rinnovamento “all’antica” della tradizione millenaria dei Crocifissi monumentali che ha poi dato frutti cospicui per più di tre secoli.
A causa delle difficoltà economiche e tecniche che la scelta del bronzo poneva ad artisti e committenti, la sfida tentata nel Crocifisso del Santo sarebbe stata replicata forse una sola volta nel Quattrocento e fu a Ferrara, sul pontile del Duomo (1450).

Ha realizzarlo fu un allievo donatelliano, quel Niccolò Baroncelli che sin dal 1443 era alle prese, di nuovo a emulazione del maestro, col cavallo del monumento bronzeo del marchese Niccolò III d’Este. Impensabile anche nello stile senza il suo modello padovano, il Cristo di Ferrara non sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso il suo ruolo di gregario. Dopo il 1449 la vicenda dei Crocifissi bronzei avrebbe dovuto attendere soprattutto i grandi progressi toreutici del tardo Rinascimento e del Barocco per ritrovare delle vette di qualità nei paraggi di Donatello, con Giambologna e i suoi allievi e seguaci, con Algardi e con Bernini.

Ci poniamo davanti una rappresentazione della Tua passione
affinché i nostri occhi di carne abbiano qualcosa a cui aderire.
Essi però non adorano una immagine
perché l’immagine rinvia alla realtà della Tua passione.
Quando infatti guardiamo più attentamente l’immagine della Tua passione,
nel silenzio ci sembra di udire la Tua voce che dice:
Ecco come vi ho amati, vi ho amati fino alla fine.
Guglielmo di Saint-Thierry
(Meditativae orationes  10,7)

Maria Paola Forlani