mercoledì 26 giugno 2019

CENTO LANZI PER IL PRINCIPE


Cento lanzi

Per il principe




Le Gallerie degli Uffizi celebrano il cinquecentenario della nascita di Cosimo I (1519-1574), primo Granduca di Firenze, dedicandogli un trittico di mostre: “cento lanzi per il Principe”, “Una biografia tessuta. Gli arazzi seicenteschi in onore di Cosimo I” e “La prima statua di Boboli. Il Villano restaurato” (sala delle Nicchie di Palazzo Pitti tutte aperte fino al 29 settembre).


La mostra Cento lanzi per il Principe, è dedicata alla Guardia tedesca dei Medici (Guardia de’ lanzi’ in vernacolo fiorentino), composta dai caratteristici alabardieri in livrea.




“Havendo disegnato più tempo fa di servirmi di soldati Alemanni

per la Guardia mia et di questa città, promettendomi da loro’

Oltre alla fedeltà, molto minor fastidi che da soldati italiani,

mi deliberai alli giorni passati di effectuare questo disegno.



Cosimo I de’Medici ad Andrea Doria

(29 giugno 1541)




La mostra si svolge al primo piano degli Uffizi e non per caso: dalla finestra delle sale si può infatti ammirare la Loggia dell’Orcagna su Piazza della Signoria, che per essere stata la facciata del quartier generale della Guardia tedesca negli Uffizi è ancora oggi nota come Loggia dei Lanzi (abbreviazione dal tedesco “Lanzknecht”, lanzinecchi). Il loro arrivo a Firenze nel 1541 è una delle manifestazioni della fedeltà di Cosimo I all’imperatore Carlo V d’Asburgo: molto prima di diventare duca di Firenze, Cosimo aveva infatti più volte potuto vedere in azione la Guardia dei cien Alemanes (cento tedeschi) che seguivano l’imperatore in tutti i suoi pellegrinaggi. Per quasi duecento anni, fino al 1738, i Lanzi hanno svolto una funzione cruciale nell’ambito della corte medicea.
Compito principale della guardia era difendere la persona del sovrano e i suoi più stretti congiunti, pertanto nelle raffigurazioni degli eventi legati al sovrano, i suoi soldati appaiono quasi sempre, facilmente individuabili grazie ai loro costumi sgargianti e alla loro arma iconica: l’alabarda.


La mostra percorre la storia di questa milizia sotto vari aspetti – sociale, culturale, militare: divise in quattro sezioni, oltre 90 opere tra armature, armi, vestiti, incisioni, dipinti, documenti e libri ne raccontano l’istituzione e la storia, senza tralasciare l’impatto che essa ebbe sulla vita cittadina. È un racconto a tutto campo, che coinvolge tanto il popolo quanto i personaggi della corte, dai nani alla duchessa Eleonora da Toledo.

Sono esposti oggetti sensazionali: quello che resta dell’armatura di Cosimo I, e la splendida armatura del capitano Fernberger con impresso lo stemma mediceo, proveniente dal Künsthistorisches Museum di Vienna, oltre ad armi, oggetti, incisioni e ritratti. Le guardie furono immagini iconiche del potere principesco, capaci, con la sola comparsa, di trasformare un qualsiasi spazio e situazione in una “scena di corte”.
Dopo circa 200 anni di fedele servizio, furono l’ultima vestigia del vecchio regime ad abbandonare il proprio posto, rimanendo a scorta dell’Elettrice palatina fino all’arrivo a Firenze, nel marzo 1738, della Guardia svizzera dei Lorena che prese il loro posto. “
Gli studi archivistici del Medici Archive Project sugli alabardieri tedeschi a Firenze – commenta il Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt – hanno fatto emergere una messe di informazioni inedite, portando alla luce opere d’arte dimenticate o sconosciute, e offrono ora una nuova lettura per innumerevoli documenti figurativi del periodo, legati alla storia di Firenze al tempo dei lanzichenecchi”.



La mostra, promossa dalle Gallerie degli Uffizi, in collaborazione con Medici Archive Project è curata da Maurizio Arfaioli, Pasquale Focarile e Marco Merlo. Catalogo Giunti





Maria Paola Forlani








Il Meraviglioso Mondo della Natura


Il Meraviglioso Mondo della Natura

Una favola tra arte, mito e scienza




È la natura nella sua complessa varietà a costruire il cuore della mostra Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza, allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 14 luglio 2019 e curata dagli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, professori all’Università Statale di Milano con la scenografia di Margherita Palli: un appuntamento pensato in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci che consente ai visitatori uno sguardo spettacolare sulla rappresentazione artistica della natura, lungo un arco cronologico che va dal Quattrocento al Seicento, con un’attenzione particolare allo scenario lombardo. “Vogliamo sensibilizzare i cittadini e promuovere il più possibile la conoscenza di questo gioiello della pittura italiana – dichiara l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno – Si tratta infatti di un assoluta rarità – insieme alla Sala delle Asse- per dimensioni e soggetto, che merita un riconoscimento internazionale e una tutela adeguata al suo valore”.


L’originale progetto espositivo, promosso e prodotto dal Comune di Milano, Palazzo Reale e 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore, coniuga arte e scienza sotto il comune denominatore della natura, rappresentata nelle centinaia di varietà di animali e vegetali.


Fulcro della mostra è infatti la ricostruzione, nella Sala delle Cariatidi, di uno dei più singolari complessi figurativi del Seicento in Italia il Ciclo di Orfeo, commissionato da Alessandro Visconti per il proprio palazzo di Milano negli anni ’70 del Seicento e ospitato in Palazzo Sormani dal 1877, dove è stato riallestito nei primi del Novecento e dove è divenuto noto come “Sala del Grechetto”.


Il ciclo che fa parte delle Raccolte Civiche del Comune di Milano, è composto di 23 tele, alcune di notevoli dimensioni, che raffigurano più di 200 differenti animali a grandezza naturale che si rincorrono in un panorama fluido, accompagnati da pochissime figure umane, tra cui un Orfeo incantatore e un piccolo Bacco. Un paesaggio fantastico, che sorprende per animali di ogni specie, comuni ed esotici e figurazioni fantastiche, come l’unicorno. Un unicum nella produzione figurativa italiana, sia per le dimensioni che per la qualità di specie animali e vegetali raffigurate.


Il Ciclo di Orfeo può essere ammirato nella Sala delle Cariatidi a 360 gradi secondo l’antico assetto e la verosimile sequenza originaria con cui si doveva presentare quando fu realizzato per Palazzo Visconti (poi diventare Lunati, poi Verri) in via Monte Napoleone, e da lì in seguito smontato per approdare infine, fortemente manomesso, nella sala di Palazzo Sormani.


Il ciclo di tele, con questa esposizione, presenta un allestimento che è il frutto di studi recenti e del recupero di antiche testimonianze visive e documentarie. Nella ricostruzione scenografica della sala di Palazzo Verri, grande risalto viene dato all’illuminazione, a cura di Pasquale Mari, forte di una specifica attività per il teatro e il cinema, e alla pittura illusionistica a cura dello specialista Rinaldo Rinaldi, che ha ricostruito il lambris, le finestre, gli scuri e il soffitto della sala, offrendo al visitatore un’atmosfera quanto più vicina all’originale.


Nell’inedito concept di questa mostra, la natura può essere ammirata non solo attraverso la raffigurazione artistica, ma anche tramite l’osservazione diretta di oltre 160 esemplari di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e invertebrati provenienti dal Museo di Storia Naturale e dall’Acquario di Milano e dal MUSE di Trento.


I visitatori infatti possono, così, riconoscere gli stessi animali che animano le tele del Ciclo di Orfeo camminando tra gli esemplari esposti, che sono, attualmente, ammirati all’interno di una sorta di “Sala delle meraviglie”, ricostruita sempre nella Sala delle Cariatidi. Una singolare rappresentazione della fauna, quindi, in cui – quasi per un sortilegio – le creature dipinte si sono fatte tridimensionali.


La mostra che ha il suo cuore nella Sala delle Cariatidi, è introdotta da un prologo che presenta ai visitatori un famoso codice tardogotico lombardo l’Historia plantarum della Biblioteca Casanatense di Roma, ricco di centinaia di illustrazioni tratte dal mondo delle piante e degli animali.
Una pagina del codice, con l’immagine di un gatto, è messa in dialogo con un disegno di Leonardo da Vinci della Biblioteca Ambrosiana: il confronto indica al pubblico che, in un caso, il soggetto è stato ripreso da modelli grafici preesistenti, forse a partire da un animale morto; nell’altro è stato sottratto al fluire incessante della vita.


Un nuovo raffronto è al centro di un’altra sala, dove la Canestra di frutta del Caravaggio è affiancata al Piatto metallico con pesche di Giovanni Ambrosio Figino: due primizie della natura morta occidentale, realizzate, sullo scorcio del Cinquecento, in uno stretto giro d’anni da due pittori lombardi. Ma questa è la distanza espressiva che li separa…


Prima di entrare nella ricostruzione della sala di Palazzo Verri, il visitatore trova esposte le opere prese a riferimento per la scenografia, provenienti dalla Galleria d’Arte Moderna, dall’Arcivescovado, dal Museo Poldi Pezzoi e da collezionisti privati.



Maria Paola Forlani

martedì 25 giugno 2019


L’Arte di costruire un capolavoro:

La Colonna Traiana



Più lo si contempla [il Foro Traiano], più sembra

 un miracolo: chi sale all’Augusto Campidoglio

scorge un’opera che è al di sopra del genio umano.

( Cassodoro, Varia, VII, 6 )




“ L’arte di costruire un capolavoro: la Colonna Traiana”è il titolo della mostra che le Gallerie degli Uffizi dedicano al celebre monumento innalzato nel cuore di Roma nel 113 d.C. dal primo imperatore di origini iberiche, Traiano, per celebrare la conquista della Dacia.

L’esposizione, aperta fino al 6 ottobre nella Limonaia Grande del Giardino di Boboli a Firenze, è basata sull’analisi approfondita dei documenti storici, archeologici e iconografici e racconta l’opera in modo inedito, rivisitandone la vicenda costruttiva con criteri rigorosamente filologici. Si spiegano dunque le tecniche impiegate per estrarre i ventinove giganteschi blocchi di marmo nelle cave delle Alpi Apuane; le soluzioni ideate per condurli fino al porto di Luni, imbarcarli sulle navi marmorarie e scaricarli al porto fluviale sul Tevere; il metodo adottato per trascinarli fino all’area dei Fori, nella quale era allestito il cantiere.


Come commenta il curatore della mostra Giovanni Di Pasquale “ la Colonna Traiana, espressione dell’abilità artistica dell’uomo, come altri monumenti dell’antichità deve però essere inquadrata anche all’interno delle conoscenze tecniche e scientifiche che ne permisero la realizzazione. La sua costruzione non è che il coronamento di un’impresa che comincia ben più a nord di Roma, una cava sulle Apuane poi denominata di Fantiscritti, luogo privilegiato per l’estrazione di quel marmo lunense che era stato scelto per abbellire monumenti e edifici della capitale e di altre località dell’impero. Le conoscenze che hanno permesso di portare a compimento tutte le fasi di quell’impresa, mai registrate in forma scritta, sono svanite con la fine della civiltà che le misero in atto. Tuttavia, il dialogo tra fonti letterarie, archeologiche, epigrafiche, iconografiche e numismatiche permette di ricomporre, almeno in parte, i pezzi di quella straordinaria avventura”.


Caratterizzata da una complessità architettonica e ingegneristica del tutto rivoluzionaria per il periodo, la Colonna Traiana è espressione degli elevatissimi livelli raggiunti dalla civiltà romana nell’arte del costruire.



Tra gli obiettivi della mostra vi è anche quello di contribuire a colmare una lacuna scientifica sull’argomento, in quanto, sebbene il repertorio decorativo del monumento sia stato nel tempo studiato a fondo, finora non è stato esaminato con altrettanta attenzione il processo di realizzazione.


Come sottolinea il direttore delle Gallerie degli Uffizi Erike Schmidt, “ Anche se molti altri frammenti di quell’immenso universo architettonico che fu il Forum Ulpium sono presenti nella collezione delle Gallerie degli Uffizi, i due Daci, sentinelle di porfido poste a guardia dell’accesso a Boboli forniscono la prova più evidente del destino che lega il Giardino alla Colonna Traiana e al suo mito. Nessun altro contesto se non il giardino di Boboli (esso stesso, del resto, una sorta di traduzione rinascimentale degli horti imperiali che circondavano Roma), sembra più adatto a far rivivere la fortuna e la fama di un monumento che da sempre è stato sentito come paradigma della gloria della Città Eterna”.



L’originaria pertinenza del marmo dell’Opera del Duomo a quel ciclo di statue di Daci prigionieri di dimensioni poco superiori al vero che ornavano il Foro traianeo sembra comprovata anche dal recente rinvenimento in loco di teste di pileati che presentano strettissime analogie dimensionali e formali con i barbari fiorentini. Benchè l’ipotesi di un riutilizzo del marmo antico già al XIII secolo appai suggestiva e perfettamente compatibile con il gusto e le pratiche di bottega arnolfiana, non si può, però, escludere l’eventualità che la testa possa essere stata aggiunta quando il marmo era stato destinato, nel corso del XVI e XVII secolo, a decoro dei giardini di via Valfonda, prima, che degli Orti Oricellari, poi.
È possibile, infatti, che l’originaria testa duecentesca, troppo malridotta, possa essere stata sostituita con quella attuale per dar vita a una figura di prigioniero molto amata nelle raccolte di antichità dell’epoca. Era, ad esempio, probabilmente destinata a una statua di analogo soggetto l’imitazione cinquecentesca in basanite di una testa di Dace pileato trovato nel secolo scorso nel quartiere fiorentino di Campo di Marte, dove era forse posta a decoro di uno dei giardini delle ville presenti all’epoca nella zona.




Al centro del percorso della mostra vi sono i modelli in scala della Colonna Traiana e delle macchine impiegate nella costruzione. È inoltre possibile ammirare una ricca selezione di reperti originali, con prestiti eccezionali da oltre 20 musei sono rilievi, mosaici, strumenti scientifici, parti di macchine da cantiere, e un prezioso arazzo che raffigura Traiano mentre discute con Apollodoro di Damasco, autore del progetto della Colonna.


“Imponente e solenne”, commenta il Direttore del Museo Galileo Paolo Galluzzi, “la Colonna Traiana domina l’omonimo Foro da quasi due millenni. Eppure tra la massa sterminata dei visitatori che da secoli sostano ammirati davanti al monumento, è esiguo il numero di coloro che si interrogano su come sia stato possibile erigere quella poderosa struttura con i mezzi tecnici a disposizione delle maestranze del tempo. Per questo abbiamo ritenuto opportuno porre al centro del progetto espositivo la ricostruzione della straordinaria avventura dell’edificazione di quel monumento, in modo tale da far risaltare l’impegno, la sapienza tecnica e il lavoro degli uomini che resero possibile quel conseguimento.”



La mostra, progettata dalle Gallerie degli Uffizi e dal Museo Galileo, è curata da Giovanni Di Pasquale con la collaborazione di Fabrizio Paolucci. Catalogo Giunti.



Maria Paola Forlani

lunedì 24 giugno 2019

PRERAFFEILLITI


Preraffaelliti


Amore e Desiderio





1848. In Europa scoppiano rivoluzioni politiche e sociali che coinvolgono quasi tutte le nazioni.

In Inghilterra sette studenti si uniscono per produrre una rivoluzione artistica: liberare la pittura britannica dalle convenzioni e dalla dipendenza dei vecchi maestri. Gli uomini e le donne della cerchia cosiddetta “preraffeillita” sperimentano nuove convinzioni, nuovi stili di vita e di relazioni personali, radicali quanto la loro arte.


I loro splenditi dipinti sono, ora, in mostra al pubblico per la prima volta a Milano grazie allo straordinario progetto di collaborazione tra Palazzo Reale e Tate Britain.


La mostra “Preraffelliti. Amore e desiderio”, promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore è organizzata in collaborazione con Tate e curata da Carol Jacobi, curatore of British Art, 1850 – 1915 di Tate Britain. Inoltre si avvale del contributo scientifico di Maria Teresa Benedetti, in relazione al rapporto dei Preraffaelliti con l’Italia. Ė così possibile ammirare in Italia a Milano circa 80 opere, tra le quali alcuni dipinti iconici che difficilmente escono dal Regno Unito come l’Ofelia di John Everett Millais, Amore d’Aprile di Arthur Hughes, la Lady of Shalott di John William Waterhouse.


L’esposizione di Palazzo Reale, aperta al pubblico fino al 6 ottobre 2019, rivela agli spettatori l’universo d’arte e di valori dei 18 artisti preraffaelliti rappresentati in mostra raccontando, attraverso i capolavori della celebre collezione Tate, tutta la poetica di questo movimento: dall’amore e dal desiderio alla felicità alla natura e alla sua fedele riproduzione; e poi le storie medievali, la poesia, il mito, la bellezza in tutte le sue forme.


Le opere sono presentate per articolate sezioni tematiche, al fine di esplorare gli obiettivi e gli ideali di quel movimento, gli stili di vari artisti, l’importanza dell’elemento grafico e lo spirito di collaborazione che, nell’ambito delle arti applicate, fu un elemento fondamentale del preraffaellitismo.


Ispirati dagli artisti d’avanguardia di ogni epoca, e in particolare dai pittori e dai poeti italiani medievali, i Preraffaelliti crearono una sorta di “modernità medievale” per la loro epoca in rapida evoluzione. Attinsero dalla letteratura e dalla vita reale storie d’amore consone alle loro stesse esistenze. Furono i primi a dipingere dal vero con luce naturale e colori brillanti. Crearono una nuova intimità psicologica nella quale gesti espressioni e segnali iconografici rivelano i pensieri e i sentimenti profondi dei loro protagonisti.


La mostra lo attesta esibendo dipinti “iconici” su temi che vanno da Dante e dalla Commedia (Paolo e Francesca e il sogno di Dante alla morte di Beatrice di Dante Gabriel Rossetti) al paesaggio italiano tout court (Veduta di Firenze da Bellosguardo di John Brett).


Particolare risalto viene dato all’impatto che il movimento artistico produsse sul modo di concepire l’arte, dimostrando come il fascino dei preraffaelliti, che deve all’arte e in generale alla cultura italiana

 pre-rinascimentale quell’idea di modernità medievale che tanto la caratterizza.

La prima sezione ha come titolo Un Medioevo moderno


La Confraternita dei Preraffaelliti era costituita da studenti di materie artistiche che si erano ribellati contro le formule apprese alla Royal Academy. I loro leader erano Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holliam Hunt.

Il padre di Rossetti, Gabriele, membro della Carboneria italiana, era esiliato a Londra. I suoi figli e i loro amici crearono un’associazione intesa a riformare l’arte britannica.


Intento dei Preraffaelliti era introdurre nell’arte e nella poesia un nuovo realismo e un nuovo significato. Il nome che si erano dati esprimeva la loro ammirazione per i pionieristici artisti del Medioevo italiano, prima che gli stili “raffaelliti” del Rinascimento si affermassero nel campo dell’arte.


La seconda sezione si chiama Pittori poeti

Molti membri della cerchia preraffaellita erano anche scrittori, e con i loro dipinti intendevano confrontarsi con quella letteratura che ammiravano. Sceglievano brani da Chaucer, Dante, Shakespeare, dai poeti romantici e da moderni come Robert Browing e ne facevano i soggetti dei loro disegni e dei loro dipinti.


Le storie d’amore che raccontavano corrispondevano alle moderne difficoltà dello stile di vita loro e del loro ambiente: amanti divisi dalle famiglie, dal ceto o dal denaro, per esempio, oppure amanti manipolatori e infedeli. A posare erano parenti e amici. In quattro opere della sezione è ritratta la modella, poetessa e pittrice Elizabeth Siddall.

La terza sezione ha come titolo Una fede laica


Rispetto ad altri soggetti letterari, la Bibbia aveva il vantaggio di testimoniare una storia più antica e di suggerire pertanto verità più universali. I Preraffaelliti diedero nuova vita a soggetti religiosi che ritenevano avessero ancora attuale rilevanza. Evitando un approccio convenzionale, idealizzato, gli artisti del gruppo guardavano anzitutto alla vita reale e da lì sviluppavano ogni dettaglio dei loro scenari. Questi personaggi sacri così realistici suscitarono critiche.

Dell’arte sacra i preraffelliti trassero anche i metodi narrativi, e in tal modo tutti i dettagli presenti nelle loro scene contribuivano a suggerire ulteriori significati. Oggi nei loro dipinti si cercano, ancora, allusioni, chiavi di lettura e simboli per l’interpretazione delle storie e del carattere più profondo dei personaggi raffigurati.

La quarta sezione presenta Fedeltà  alla natura


Soggetti tratti dalla vita moderna erano centrali nell’arte e nella letteratura britanniche sin dal Settecento. I dipinti preraffeilliti ispirati alla vita moderna conferivano realismo e complessità psicologica a soggetti presi dalla vita del tempo e toccavano questioni che quegli stessi artisti dovevano affrontare nel loro privato: i loro dipinti riflettevano cambiamenti sociali come il viaggiare e l’emigrazione, le crescenti preoccupazioni per la cura e l’educazione dei figli, ma si concentravano soprattutto su un’idea moderna dell’amore.

Nessun membro della Confraternita ebbe una vita sentimentale convenzionale. Il tema dell’amore e del desiderio in senso moderno sfidava la concezione vittoriana del ruolo della donna e metteva allo scoperto i problemi socio-ecumenici dell’epoca.

La quinta sezione ha nome Amore romantico


Dopo lo scioglimento della Confraternita (1852), la cerchia dei Preraffaelliti guadagnò nuovi osservatori e nuovi seguaci. Rossetti abbandonò la “fedeltà alla natura” per concentrarsi su piccoli disegni e acquarelli ispirati all’arte e alla letteratura medievale, soprattutto alla poesia di Dante e alle storie arturiane di Thomas Mallory, Questi lavori, di carattere particolarmente intimo, venivano donati o venduti a colleghi, amici e collezionisti.

Lo stile di vita bohémien dei Preraffaelliti rigettava ogni convenzione sociale e artistica. Molti loro disegni rappresentano amanti in situazioni emotive complesse: un’eco della vita vera


La sesta sezione presenta Bellezza dell’anima, bellezza del corpo


Rossetti e i suoi seguaci conobbero una seconda fase “estetica” del Preraffaellismo esplorando connessioni tra arte, design, poesia e musica e orientandosi all’idea di bellezza e al suo potere seduttivo.


Svilupparono una ritrattistica nuova e poetica, raffigurando donne della loro cerchia come personaggi letterari. Concentrate in se stesse e perse nelle loro fantasticherie, queste figure non raccontano una storia evocando, piuttosto, un sentimento e un’atmosfera.

Rinacque l’entusiasmo per i grandi artisti del Rinascimento, come Leonardo da Vinci e Tiziano, con l’opulenza delle stoffe da raffigurare, col loro stile ritmico e rotondo e con la morbidezza della loro luce. Burne-Jones fu in Italia più volte e sviluppò uno stile idealizzato per i suoi soggetti ultraterreni.



Se all’epoca della nascita della Confraternita le modelle preraffaellite erano state criticate per il loro aspetto comune e ordinario, ora divennero icone di moda da seguire.

L’ultima sezione prende il nome di Mito


Negli anni Ottanta i Preraffaelliti avevano ormai guadagnato seguaci, successo e fama; il loro stile aveva pervaso l’arte britannica e stava influenzando l’arte e le arti applicate di molti altri Paesi. I loro temi ispirarono lavori su più ampia scala. I miti e le leggende rifornivano questi dipinti di grandi dimensioni di un repertorio d’amore e di mistero. Le campagne per una maggiore eguaglianza dei diritti suscitarono il timore che le donne emancipate potessero sconvolgere le norme morali, domestiche, sociali, il che trovò eco nell’arte e nella letteratura. I Preraffeilliti furono tra i primi a rappresentare le donne come forze potenti, misteriose, distruttive: dee, incantatrici e altre mitiche femmes fatales – fatali a se stesse o agli altri.


Maria Paola Forlani