giovedì 20 febbraio 2020

WOMEN


Women

Un mondo in cambiamento
A Bologna si è aperta la mostra di National Geographic sul ruolo centrale delle donne nella società attraverso un secolo di fotografia, nell’Oratorio di Santa Maria della Vita, fino al 17 maggio 2020.


Uno sguardo sulla condizione femminile che attraversa ogni latitudine e 100 anni di storia delle donne, viste dall’obiettivo del – e delle – grandi reporter della National Geographic Society è visibile fino al 17 maggio 2020, nel complesso museale di Santa Maria della Vita con il titolo Women. Un mondo in cambiamento, mostra organizzata da National Geographic in collaborazione con Genus Bononiae, Musei della città e Fondazione Carisbo.

Il percorso espositivo, articolato in 6 sezioni – Beauty/Bellezza, Joy/Gioia, Love/Amore, Wisdom/Saggezza, Strength/Forza, Hope/Speranza – raccoglie una selezione di immagini tratte dallo straordinario archivio del National Geographic, disegnando un viaggio attraverso un secolo di storie delle donne in tutti i continenti, con diverse prospettive e focalizzando l’attenzione sui problemi e le sfide di ieri, oggi e domani nei vari paesi ed epoche. Ogni immagine crea un ritratto di alcuni aspetti dell’esistenza femminile e mostra ai visitatori come la rappresentazione delle donne si è evoluta nel tempo.
Così le immagini festose delle ballerine di samba che si riversano nelle strade durante il carnevale di Salvador de Bahia si alternano a quelle delle raccoglitrici di foglie di the in Sri Lanka. E ancora il ritratto di donna afghana in burqa integrale rosso che trasporta sulla testa una gabbia di cardellini, potente metafora di oppressione, si contrappone all’immagine di libertà e bellezza di una ragazza in pausa sigaretta a Lagos, in Nigeria.


A 100 anni dalla concessione del diritto di voto alle donne negli Stati Uniti, la mostra riflette sul passato, presente e futuro delle donne illustrandone alcuni aspetti e incentrandosi sugli obiettivi di sviluppo che le vedono al centro di ogni processo di crescita sociale, politica, economica.

Completa la mostra la sezione Portaits/Ritratti, scatti intimi di un gruppo iconico di attiviste, politiche, scienziate e celebrità intervistate da National Geographic per il numero speciale della rivista di novembre 2019 pubblicato ai tempi della prima donna alla direzione del National, Susan Goldberg: tra esse Nancy Pelosi, Oprah Winfrey, il primo Ministro neozelandese Jacinta Arden e la senatrice a vita Lilliana Segre.


“In un secolo la condizione femminile è cambiata radicalmente, in alcune parti del mondo ma non dappertutto: in Occidente, sicuramente, anche se ci sono ancora sfide importanti – dice Marco Cattaneo, curatore della mostra-. La parità salariale, per esempio, sul fronte pratico, ma anche questioni assai più sottili come i pregiudizi radicati nella società sulla violenza sulle donne. Altrove le sfide sono ancora più fondamentali E se il cammino da percorrere è ancora lungo, in questa mostra abbiamo cercato di raccontare i passi compiuti e di accendere una speranza per un futuro in cui a nessuno siano negati i propri diritti”.

M.P.F.

sabato 15 febbraio 2020

A nostra immagine


A nostra immagine
Scultura in terracotta del Rinascimento
Da Donatello a Riccio

Un omaggio a una materia povera e fragile, la terracotta; un omaggio alla grande tradizione di plasticatori che hanno operato nel territorio diocesano (che tocca le province di Padova, Venezia, Vicenza, Treviso e Belluno), popolando chiese, sacelli, capitelli, conventi, abbazie, monasteri e dimore private di sculture delicatissime ma di grande pregio e segno di una devozione diffusa; un omaggio alla grande eredità di Donatello che ha favorito nuovi slanci e originali esiti artistici al Rinascimento padovano. La mostra “A nostra immagine. Sculture in terracotta dal Rinascimento Da Donatello a Riccio “rimarrà aperta fino al 2 giugno 2020 nelle Gallerie di Palazzo Vescovile di Padova (Museo diocesano).

Ventuno sculture in terracotta raccontano un’epoca, fanno respirare il clima delle botteghe artistiche padovane tra fine Quattrocento e primo Cinquecento, disegnano il panorama di una devozione popolare che si sofferma a meditare e pregare di fronte a manufatti che racchiudevano i grandi misteri della fede: dalla tenerezza materna di Maria, nelle numerose e diffuse Madonne con Bambino Pietà Compianto sul Cristo morto.
La dolcezza di Maria che tiene in braccio il bimbo e il gioco di sguardi si scontra con il grido di dolore delle dolenti e con la tragica ma composta sofferenza di Maria che sostiene il Cristo morto, in un percorso che va dalla vita alla morte, dalla gioia al dolore, ma che racchiude il senso dell’umano e del divino che c’è nell’uomo: A nostra immagine, appunto.

La mostra del Museo diocesano di Padova, curata dal direttore del Museo Andrea Nante e dal conservatore Carlo Cavalli, (Catalogo edito da Scripta edizioni), rappresenta una prestigiosa operazione culturale, indirizzata a una “categoria” di opere, quelle in terracotta, che proprio per la peculiarità del materiale – umile, fragile e facilmente distruttibile – rischia di non aver il giusto riconoscimento.

Come è tradizione nella storia del Museo diocesano di Padova – che durante questa esposizione celebra i suoi 20 anni di attività (2000-2020) – le mostre tematiche rappresentano spesso l’esito di importanti campagne di restauro e di studio, avviate insieme all’Ufficio diocesano Beni culturali, volte a recuperare un patrimonio artistico ricco e diffuso, e sostenuto dal progetto “Mi sta a cuore” che sensibilizza anche il privato e la società civile nella cura di questi capolavori.

In questo particolare caso, ben quattro opere in terracotta policroma sono state oggetto di recupero, studio e restauro, con approccio multidisciplinare.

Il valore della mostra A nostra immagine sta nelle parole del direttore del Museo diocesano e curatore Andrea Nante <<A Padova ha lavorato per anni Donatello, la sua bottega era proprio a ridosso della Basilica di Sant’Antonio, Donatello ha fatto scuola in città e dopo di lui altri artisti – Bellano, Giovanni De Fondulis, Andrea Riccio –arrivarono e diedero vita a capolavori in pietra, marmo, bronzo e terracotta. Lavorare a questa mostra ci ha permesso di recuperare storie che non conoscevamo, alcune ricche di aneddoti, altre che ancora ci incuriosiscono; di portare letteralmente alla luce alcuni “inediti”, una fra tutte la “Madonna del monastero della Visitazione”, la cui destinazione originaria è ancora avvolta nel mistero. E grazie alle ricerche avviate la mostra ci ha permesso, con l’aiuto di qualificati studiosi, di confermare alcune attribuzioni e anche di darne di nuove, come è il caso della Madonna che proviene dal Museo del Bargello di Firenze, finora ritenuta di Antonio di Chellino, che Francesco Cagliotti attribuisce ora a Pietro Lombardo>>.

La mostra presenta esempi della produzione artistica in terracotta, sviluppatasi particolarmente nell’area padana proprio per la facilità di recupero della materia prima, accanto ad alcune sculture in terracotta provenienti dal Museo del Louvre (una Madonna con Bambino di Donatello), dal Museo del Bargello e da collezioni private. Presente anche la copia in gesso dipinto della cosiddetta Madonna Borromeo, il cui originale, attribuito recentemente a Giovanni di Pisa, allievo di Donatello a Padova, dalla chiesa parrocchiale di Lissaro (Pd) è giunto dopo una serie di peripezie al Kimbell Museum di Forth Worth, in Texas.

Nell’occasione della mostra è possibile ammirare ricomposto il Compianto di Andrea Riccio, oggi diviso tra la chiesa padovana di San Caziano e i Musei Civici di Padova.
Esposti anche alcuni inediti, tra cui una Madonna con il Bambino, di Santa Chiara in età napoleonica, custodita fino a poco tempo fa nella clausura del Monastero della Visitazione di Padova, e ora restituita al suo aspetto originario dopo un importante restauro.


Per la prima volta vengono presentati, in una suggestiva istallazione, i frammenti superstiti di una Deposizione, gravemente danneggiata nel bombardamento della chiesa di San Benedetto a Padova dell’11 marzo 1944.

La Madonna col Bambini (Madonna Vettori) di Donato di Nicolò detto Donatello (Parigi, Museo du Louvre), capolavoro fulcro della mostra, è un’opera di devozione domestica ed è una delle più importanti e spettacolari tra le tante che furono realizzate da Donatello nell’arco di mezzo secolo, o almeno tra quelle che sono giunte sino a noi, in numero evidentemente ridotto.
M.P.F.

lunedì 10 febbraio 2020

GEORGE DE LA TOUR

L’Europa della Luce
George de La Tour


“ – Lei dovrebbe vederlo! È un pittore sorprendente. Non abbiamo strumenti per misurare il genio; ma sento che il talento del De la Tour spezzerebbe più di un manometro. È un peccato che non abbiamo nulla di suo in Italia.”
R. Longhi, I pittori della Realtà in Francia, ovvero I caravaggeschi francesi del Seicento, “L’Italia letteraria.” 19 gennaio 1935.


A Milano abbiamo - per la prima volta in Italia – una mostra dedicata a George de La Tour: l’Europa della luce, a Palazzo Reale aperta fino al 7 giugno 2020, il più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del suo tempo. La mostra promossa dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e Mondo Mostre Skira, è a cura della Prof.ssa Francesca Cappelletti e di Thomas Clement Salomon e vanta un importante comitato scientifico internazionale.

La mostra a Palazzo Reale riflette sulla pittura di George de la Tour, caratterizzata da un profondo contrasto tra temi “diurni”, crudamente realistici, che ci mostrano un’esistenza senza filtri, con volti segnati dalla povertà e dall’inesorabile trascorrere del tempo e i temi “notturni” con splendide figure illuminate dalla luce di una candela: modelli assorti, silenziosi, commoventi. Un potente contrasto tra il mondo senza pietà dei “diurni” e la compassionevole rappresentazione di scene “notturne” che colpisce ancora oggi. Dipinti che conservano il segreto della loro origine e della loro destinazione. Come rimane un mistero la formazione del pittore, compresa la possibilità o meno di un suo viaggio italiano.

La mostra dedicata a George de la Tour, si presenta attraverso dei mirati confronti tra i capolavori del Maestro francese e quelli di altri grandi del suo tempo – Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot e altri – vuole portare, così, una nuova riflessione sulla pittura dal naturale e sulle sperimentazioni luministiche, per affrontare i profondi interrogativi che ancora avvolgono l’opera di questo misterioso artista.

Un progetto che si presenta particolarmente complesso per diversi aspetti, tra i quali il numero di prestatori (28 da tre continenti) che ha coinvolto alcune delle più grandi istituzioni internazionali come la National Gallery of Art di Washington D.C., il Paul Getty Museum di Los Angeles, la Frick Collection di New York, il S.Francisco Fine Art Museum, il Chrysler Museum di Norfolk, la National Art Gallery di Leopoli, più una grande partecipazione delle istituzioni museali regionali francesi, come il Musée des Beaux-Art di Nantes, il Musée du Mont-du Piété di Bergues, il Musée départemental d’Art ancien e contemporain di Espinal, il Musée de Beaux-Art di Digione, il Musée Toulouse-Lautrec di Albi, il Musée departemental George de La Tour di Vic-sur-Seille, e alcuni importanti musei italiani come la Galleria degli Uffizi, la Pinacoteca Vaticana, la Galleria nazionale d’Arte Antica-Palazzo Barberini.

Un’esposizione unica considerato che, come ebbe a sottolineare Roberto Longhi, in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono circa 40 le opere certamente attribuite al Maestro, di cui in mostra ne sono esposte 15 più una attribuita.

Nonostante l’alone di mistero che avvolge l’artista lorenese e la sua opera, da decenni ormai George de La Tour è uno dei pittori prediletti dai francesi e non solo. Inevitabile il paragone con un altro insigne pittore del primo Seicento, l’inquieto Caravaggio, con il quale il francese condivide il senso drammatico, teatrale, della composizione e lo studio accurato della luce, anche se non si sa se La Tour abbia mai avuto modo di ammirare le opere del Merisi.

“Oltre a essere l’artista delle notti, o l’artista della realtà, una realtà che se osservata da vicino mostra tutta la sua ambiguità – afferma la curatrice Francesca Cappelletti – La Tour è l’artista delle variazioni minime della sfumatura, dell’inafferrabile differenza fra una composizione e l’altra, a volte solo per i toni cromatici, a volte per sottili slittamenti di significato”.


George de la Tour (Vic-sur-Seille, 1593 – Lunéville, 1652), è una delle grandi riscoperte del Novecento. Dal 1915, anno in cui il tedesco Hermann Voss pubblicò un articolo rivelatore sulla sua opera, il pittore del Seicento francese non smette di affascinare generazioni intere di storici dell’arte, che si prodigano alla ricerca di documenti, quadri e disegni preparatori che testimonino l’attività di un artista straordinario, non convenzionale ed emozionante.

La Tour fu un pittore molto stimato ai suoi tempi, originale per la mistura di spiritualità e realismo, sempre in bilico fra delicatezza e brutalità. Guardato spesso con una certa diffidenza: padre di 11 figli, dal carattere difficile e con un gran numero di cani randagi.
Eppure ebbe successo prima nel ducato di Lorena dove nacque, e poi a Parigi dove fu nominato, nel 1639, pittore del re Luigi XIII.

Si tratta di un artista enigmatico, che ritrae angeli presi dal popolo, santi senza aureola né attributi iconografici, e che predilige soggetti presi dalla strada, come i mendicanti, dipingendo in genere gente di basso rango più che modelli storici o personaggi altolocati. I pochi quadri riconosciuti come autografi sono perlopiù di piccolo o medio formato, intimi, privi di sfondo paesaggistico, notturni e, soprattutto nella presunta ultima fase artistica, quasi dei monocromi dall’impianto geometrico, semplice ma modernissimo per l’epoca.

Le sue tracce, e quelle della sua opera, si persero però durante tutto il XVIII e XIX secolo, non solo, ma anche a causa delle guerre per l’indipendenza che sconvolsero la sua terra natale.
I quadri che risultano datati sono infatti solo tre: Il denaro versato di Leopoli, dove però le cifre 1625-1627 sono di incerta lettura; La negazione di Pietro di Nantes (1650), entrambi in mostra e il San Pietro e il gallo di Cleveland (1645). Per il resto – nota la curatrice – una totale assenza di pagamenti e documenti di commissione rende problematica la cronologia.

Tra i capolavori presenti in mostra, spicca la commovente intensità emotiva della Maddalena penitente (National Gallery of Art di Washington D:C:, 1635-1640 circa): oltre a questa versione, ve ne sono almeno altre tre attribuite a La Tour, conservate rispettivamente al Metropolitan Museum of Art di New York, al Los Angeles County Museum of Art e al Louvre. Il pittore lorenese, diversamente dai suoi contemporanei che ne esaltavano i lati voluttuosi e popolani, colloca Maddalena in un interno austero, facendo risaltare i capelli scuri e lisci e i nitidi contorni della figura nella penombra creata dal lume della candela. Anziché volgere gli occhi al cielo, la Maddalena ha lo sguardo assorto di chi è profondamente immerso nella meditazione. La fiamma esile e tremolante della candela e il piccolo specchio ribadiscono ancora una volta la natura effimera della vita fisica e terrena. Nell’interpretazione di La Tour, Maddalena è una giovane donna in lotta con il suo passato, che porta su di sé tutto il peso della caducità umana.

M.P.F.

domenica 9 febbraio 2020

GAETANO PREVIATI

Tra simbolismo e futurismo
Gaetano Previati


<<l’opera di Gaetano Previati è di una vastità e di un valore che sconcertano []
Gaetano Previati è stato il precursore in Italia della rivoluzione idealista
Che oggi sbaraglia il verismo e lo studio documentario del vero>>
Umberto Boccioni 1916


Sospesa come un ponte tra le poetiche del secondo Ottocento e le sfide aperte del secolo successivo, la figura di Gaetano Previati occupa un fondamentale ruolo di snodo nel rinnovamento dell’arte italiana al volgere del secolo. Il pittore ferrarese è stato considerato un erede dei maestri del passato, una figura guida del divisionismo e del simbolismo in Italia, ma anche il padre spirituale del futurismo, come indicano le parole di Umberto Boccioni. Proprio per questa posizione affascinante e complessa, la sua vicenda artistica ha ancora diverse zone d’ombra che meritano di essere esplorate.
In occasione del centenario della morte la città natale gli rende omaggio con una mostra (aperta fino al 7 giugno 2020) al Castello Estense organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara, in collaborazione con i Musei d’Arte Antica. La rassegna presenta al pubblico circa settanta dipinti e disegni, per la metà provenienti dal ricco fondo delle collezioni civiche ferraresi in dialogo con un importante nucleo di opere concesse in prestito da collezioni pubbliche e private. Completano la selezione i documenti inediti dell’Archivio Eredi Alberto Previati e di altre raccolte che contribuiscono a gettare nuova luce sul percorso dell’artista.

L’esposizione vuole evidenziare la tensione costante nella ricerca di Previati verso il superamento dei tradizionali confini della pittura “da cavalletto”. <<La sua visione tende all’infinito: alle volte persino esorbita dai confini della pittura>>, affermava nel 1901 il letterato ferrarese Domenico Tumiati. Affascinato dai grandi formati e dall’espressione dei sentimenti per la sua educazione tardoromantica, Previati mette in gioco un atteggiamento sperimentale nei confronti del mezzo tecnico, dei meccanismi della visione e dell’approccio con il pubblico che gli permette di raggiungere esiti talmente innovativi da aprire la strada alle ricerche del Novecento.
La mostra si apre con un bozzetto del visionario dipinto Gli ostaggi di Crema del 1879, che vale a Previati non ancora trentenne, la prima affermazione pubblica. Il cruento episodio dell’assedio cremasco da parte del Barbarossa, con la macchina bellica protetta da scudi umani, è lo spunto per una drammatica e coinvolgente evocazione dei sentimenti in pittura.

All’interesse per i temi storici si affianca presto la fascinazione per i soggetti maudit, nel solco dei paradisi artificiali cantati da Charles Baudelaire e rilanciati dalla bohéme  scapigliata. Le atmosfere annebbiate delle Fumatrici di oppio
(il dipinto della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi e il bozzetto a olio di collezione privata) offrono a Previati la possibilità di scavalcare il dato oggettivo e di inviare l’osservatore ad accedere alla dimensione, interiorizzata e alterata, dell’immaginazione, oltrepassando virtualmente il diaframma della cornice.
Altro potente mezzo per scardinare le convenzioni di produzione e fruizione dell’opera è l’adozione della pratica divisionista. Stimolato, come altri artisti della cerchia di Vittore Grubicy, dal dibattito estetico-scientifico d’Oltralpe sulla percezione del colore e della luce, Previati si cimenta nell’elaborazione di un alfabeto pittorico capace di coinvolgere l’osservatore sul piano visivo e psicologico. In mostra è eccezionalmente presente il suo <<primo tentativo della tecnica nuova della spezzatura del colore, una tecnica che dà l’impressione di una maggiore intensità di luce>> come afferma lo stesso pittore: si tratta della tela Nel prato (1889-90) della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, una visione capace di trasmettere all’osservatore <<un sentimento di quiete e serenità>> anche grazie alla <<tendenza al giapponesismo>>. Nel successivo Re Sole (1893-96) Previati torna a un tema storico ma lo traspone sul piano simbolico-percettivo puntando sul potere di suggestione della radiazione luminosa: l’assolutismo del sovrano francese viene evocato attraverso l’effetto di abbagliamento dovuto al controluce, che diviene la vera chiave dell’opera.

<<Con lui le forme cominciano a parlare come musica, i corpi aspirano a farsi atmosfera, spirito, e il soggetto è già pronto a trasformarsi in stato d’animo>>. Con queste parole, nel 1911 Boccioni riconosce a Previati il ruolo di precursore nella ricerca di un linguaggio visivo in grado di interpretare la sensibilità contemporanea.

L’analogia tra la pittura e la musica era un tema ricorrente del simbolismo europeo che, sulla scia del musikdrama di Richard Wagner, vagheggiava un’arte totale e ineffabile nata dal concorso tra le diverse forme espressive. Sin dalle prime prove divisioniste, la critica vicina a Previati evoca queste risonanze per interpretare le sue opere. Nel 1908, l’artista dipinge per la figlia del gallerista Alberto Grubicy una serie di pannelli per una sala musicale, di cui rimane testimonianza in una foto inedita. In mostra è proposto l’accostamento dei due soggetti riconoscibili in questo documento: il monumentale pannello della Armonia o Sinfonia, ora conservato al Vittoriale degli Italiani, e una versione di piccolo formato del Notturno. Il tema musicale di queste tele è esaltato dall’effetto sonoro prodotto dalla fluidità della linea e dell’armonia cromatica.

Nel capolavoro del 1909, la rappresentazione delle anime di Paolo e Francesca nel girone dei lussuriosi dell’inferno di Dante prende forma in un flusso di figure, evanescenti come stati d’animo, che si propaga all’infinito. Non è un caso che questo dipinto sia considerato una delle matrici della prima redazione del celebre trittico degli Stati d’animo di Umberto Boccioni. Il tema dantesco ritorna nel Sogno, trasposto in una visione idealizzata e onirica, che sembra svilupparsi incessantemente come un miraggio.

L’approccio innovativo del ferrarese investe anche generi pittorici tradizionali, come i temi religiosi e il paesaggio. Previati è uno degli artisti che si sono impegnati nella ricerca di un linguaggio nuovo in grado di interpretare l’atteggiamento dell’uomo moderno di fronte alla spiritualità.

Anche il talento disegnativo di Previati viene messo alla prova per forzare dall’interno i mezzi artistici e il loro potere espressivo, valorizzando le nuove possibilità dell’industria editoriale: con le illustrazioni per i Racconti di Edgar Allan Poe e quelle per i Promessi sposi manzoniani, il ferrarese sperimenta un nuovo codice di illustrazione-stato d’animo, contraddistinto da inediti tagli compositivi che verranno successivamente sviluppati nel grande formato.

Le ricerche condotte per questa occasione hanno avvalorato il coinvolgimento di Previati in ambito teatrale, in particolare nelle produzioni legate alla vicenda ferrarese di Parisina, moglie di Nicolò III d’Este, e del suo amore per il figlio Ugo, conclusosi tragicamente nel 1425 con la condanna a morte di entrambi.

Con il ciclo delle Vie del commercio per la Camera di Commercio di Milano il cerchio si chiude e le tematiche della modernità, al centro della poetica marinettiana e boccioniana, offrono nuove possibilità alla pittura dell’anziano maestro. Uno dei grandi pannelli decorativi del ciclo per il nuovo salone di ricevimento, La ferrovia del Pacifico, viene esposto corredato di disegni.

La nuova estetica delle macchine sono evocati attraverso la pittura che, seppur non rivoluzionaria come quella futurista, ha un dinamismo e un impatto visivo sorprendenti.
M.P.F.