lunedì 23 marzo 2015

HERRI MATISSE

Henri Matisse
Arabesque


“La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei
disegni, fatti sul modello, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione. Ben collocati suggeriscono
la forma o l’accento dei valori necessari alla composizione
Del disegno.”


Proposta dalle Scuderie del Quirinale, la mostra Henri Matisse. Arabesque aperta fino al 21 giugno 2015, curata da Ester Coen, espone per la prima volta oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti – per la prima volta in Italia – provenienti dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washinton, solo per citarne alcuni.

I curatori hanno voluto restituire un’idea delle suggestioni che l’Oriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori, suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla necessità della prospettiva e della “somiglianza” per aprire a uno spazio fatto di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di superficie pura.

 Armonia in rosso (La desserte) (1908), (San Pietroburgo, The State Hermitage Museum),opera in mostra, dipinta a Parigi è il risultato più alto degli anni 1907 e 1908, durante i quali Matisse cerca di sintonizzare colore e linea. Ha una storia curiosa: in un primo momento il pittore l’aveva dipinta di verde, intitolandola Armonia verde, poi blu, e come tale la vende, nel 1908, al collezionista russo

Sergej Sčukin, e la espone come Armonia in blu.
 Infine prima di consegnarla al proprietario, nello stesso 1908, cambia idea e la ripassa di rosso vivo e brillante. L’opera rappresenta una donna che prepara la tavola, appoggiando una fruttiera su una tovaglia rossa, dove ci sono già un paio di bottiglie, fiori e frutta. Fuori dalla finestra, spiccano alberi in fiore su un paesaggio verde.
 In lontananza una casa rosa. Emblematica del nuovo stile “decorativo” del pittore, la tela presenta, oltre a un intenso cromatismo, quelle linee arabescate, che saranno la caratteristica principale delle opere successive. Matisse riesce a esprimere, in
quest’occasione, tutta la portata rivoluzionaria della sua pittura e l’indipendenza da qualsiasi modello precedente. La scena quotidiana, già rappresentata all’inizio dell’attività in alcuni dipinti ispirati a Cézanne o ai divisionisti, si è trasformata in pura invenzione pittorica, attraverso un’ampia e piatta campitura cromatica, con risultati di eccezionale decorazione. La natura morta, la figura umana, il paesaggio, tutti gli elementi della tradizione realista entrano in gioco ed escono trasfigurati, pur rimanendo riconoscibili, dalla predominanza dell’elemento decorativo, che occupa tutta la superficie. La bidimensionalità della composizione non contrasta con la prospettiva appena accennata del tavolo o con l’apertura della finestra, perché “espressione e decorazione” riescono a coincidere.
Henri Matisse nasce in provincia, nel nord della Francia, a Caveau Cambrésis, il 31
dicembre 1869, da una famiglia di agiati commercianti. Nel 1888 giunge a Parigi per studiare giurisprudenza. Tutto qui, fino al giorno davvero fatale in cui la madre, per distrarlo da una lunga convalescenza, gli mette in mano delle matite e dei pennelli.
È il 1890 e per Matisse è come la creazione del mondo. Comincia a dedicarsi seriamente alla pittura e dal 1893 frequenta l’atelier del pittore Gustave Moreau , qui incontra i suoi compagni nell’avventura fauve  Roult, Camion, Manguin, e dal maestro riceve la profezia: “Voi semplificherete la pittura, signor Matisse”. Dopo la scuola di Moreau teso com’è a impadronirsi di tutti i segreti di quell’arte che gli si è rivelata così implacabilmente, Matisse frequenta i corsi serali all’Ecole des Arts Décoratifs e li incontra colui che gli sarà amico per sempre e compagno di “evasione”, Albert Marquet. Dopo il Fauvismo, nel 1910, per Matisse c’è un altro elemento determinante per la sua arte: l’Oriente e l’Islam, che lo abbagliano nel suo primo viaggio in Africa, in Marocco, e dai quali trarrà l’ispirazione decorativa strutturata intorno l’arabesco.

  Matisse frequenta anche le gallerie dell’avanguardia, come quella di Ambrosie Vollard, dal quale acquista nel 1899 un disegno di Van Gogh, un busto di gesso di Rodin, un quadro di Gauguin e un Cézanne, che influenzerà moltissimo la sua opera. Viaggia in Algeria (1906), ne riporta ceramiche e tappeti da preghiera che nel disegno e nei colori riempiranno le sue tele da li in poi, in Italia (1907) visita Firenze, Arezzo, Siena e Padova “quando vedo gli affreschi di Giotto non mi preoccupo di sapere quale scena di Cristo ho sotto gli occhi ma percepisco il sentimento contenuto nelle linee, nella composizione, nei colori”.
Matisse si lascia alle spalle le destrutturazioni e le deformazioni proprie dell’avanguardia, più interessato ad associazioni con modelli di arte barbarica.
Il motivo della decorazione diventa per l’artista la ragione prima di una radicale indagine sulla pittura. È dai motivi intrecciati delle civiltà antiche che Matisse coglie i principi di rappresentazione di uno spazio diverso che gli consente di “uscire dalla pittura intimistica” e tradizionale.

Il Marocco, l’Oriente, l’Africa e la Russia, nella loro essenza più spirituale e più lontana dalla dimensione semplicemente decorativa, indicheranno a Matisse nuovi schemi compositivi. Arabeschi, disegni geometrici e orditi, presenti nel mondo Ottomano, nell’arte bizantina, nel mondo ortodosso e nei Primitivi studiati al Louvre; tutti elementi interpretati da Matisse con straordinaria modernità in un linguaggio che, incurante dell’esattezza delle forme naturali, sfiora il sublime.


“La tendenza dominante del colore deve essere quella di servire
Il meglio possibile l’espressione. Io metto i miei toni senza partito
preso. Se di primo acchito e magari senza che io ne sia stato
cosciente, un tono mi ha sedotto o attirato, m’accorgerò il più delle volte,
a quadro finito, di aver rispettato quel tono mentre ho progressivamente
modificato e trasformato tutti gli altri. Il lato espressivo dei colori mi si
impone in modo puramente istintivo”

Maria Paola Forlani






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