martedì 3 novembre 2015

MUSEO BALIO

Bentornato

Museo Bailo
La Galleria
Del Novecento

Ha riaperto a Treviso, dopo quasi 12 anni e dopo interventi architettonici e museografici che ne hanno completamente cambiato il volto, il Museo civico Luigi Bailo. Si potrebbe dire – per la straordinaria personalità e forza identitaria acquistata: grande galleria del Novecento, gioiello architettonico connotante il contesto urbano nel quartiere storico di Borgo Cavour e scrigno di una collezione d’arte di indubbio valore, soprattutto per l’eccezionale raccolta Arturo Martini (Treviso 1889 – Milano 1947), la più cospicua tra quelle oggi esistenti, ora pienamente valorizzata.

Non una semplice ristrutturazione, ma un museo nuovo in una fabbrica antica – ex convento degli Scalzi fino al 1866 – polo fondamentale, insieme al complesso di Santa Caterina, del sistema museale cittadino voluto dall’Amministrazione Comunale.
L’intervento – con un costo complessivo per i lavori di consolidamento, ristrutturazione e allestimento di 4.600.000 – ha riguardato buona parte dei corpi di fabbrica disponibili ed è stato concepito – in attesa di nuovi finanziamenti – in modo che questo primo lotto (circa 1600 mq) sia autonomo e dotato di tutti i servizi funzionali di un museo moderno, accessibile e di grande suggestione. Filo conduttore del progetto espositivo è rappresentato dalla collezione civica di Arturo Martini (1889 – 1947), riconosciuto come uno dei più grandi scultori italiani del Novecento, il “maggiore creatore di immagini plastiche del secolo”.

Sono 134 le opere dell’artista esposte nelle sale del museo: terracotte, gessi, sculture in pietra, bronzi, opere grafiche e ceramiche, tra cui il gesso originale della “Fanciulla piena d’amore”, le “Allegorie del Mare e della Terra” in cemento, il famosissimo bronzo della “Pisana” o l’esemplare unico e stupefacente della terracotta “ Venere dei porti”.

Il percorso museale procede in senso cronologico, fra il primo piano e il pianterreno, offrendo l’opportunità d’inediti confronti e relazioni: dai prodromi dell’esperienza martiniana rintracciabili nel verismo di alcuni artisti veneti della seconda metà dell’800, in particolare Luigi Serena e Giovanni Apollonio, ai compagni di viaggio nella sperimentazione e nell’interpretazione delle avanguardie come Gino Rossi fino agli eredi ed epigoni di Martini nella difficile stagione fra le due guerre mondiali, da Carlo Conte a Giovanni Barbisan.

Studiato da Maria E.Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nicola Stringa, l’indirizzo museologico – che prevede l’esposizione di circa 350 opere delle ricche collezioni civiche – ha trovato piena corrispondenza nel progetto architettonico e di allestimento vincitore della selezione proposto dallo Stuomas di Padova, con il team di architetti e museografi Marco Rapposelli, Piero Puggina e Heinz Tesar e la progettazione grafica di Metodo studio.

Trasparenza, apertura verso l’esterno a rendere evidente il legame tra museo e città, dialogo tra i vuoti delle arcate dei chiostri e i pieni della scultura martiniana, mantenimento e valorizzazione delle strutture antiche e introduzione di nuovi elementi fortemente connotati, a ridisegnare l’edificio in sostituzione delle ricostruzioni anni Cinquanta: sono le parole chiave di questo nuovo, bellissimo museo.

Nella definizione dei criteri allestitivi, la scelta è stata collocare i quadri e la grafica prevalentemente su pareti interne – anche per esigenze conservative – posizionando le opere plastiche in prossimità delle vetrate e dei varchi, a interagire con la luce che è, con evidenza, il carattere distintivo di questa ristrutturazione museale.

L’intervento architettonico – documentato con grande efficacia dagli scatti di Marco Zanta, fino al 31 dicembre esposti al Museo – ripristina, della situazione urbana originaria, una sequenza di luoghi dotati di carattere preciso e riconoscibile.


Il chiostro sud dell’edificio è dominato dal gruppo scultoreo di Arturo Martini
“Adamo ed Eva Ottoleghi” del 1931 che viene restituito alla città grazie all’apertura di due arcate dell’originale portico e ad una grande finestra collocata sulla facciata del Museo che consente di vedere dall’esterno la bellissima scultura di Martini.

I due progenitori sono rappresentati, mano nella mano, lasciano il giardino dell’Eden e s’incamminano verso il futuro di un nuovo giorno, sorpresi nell’attimo irrepetibile in cui l’uomo diventa uomo. Un gesto di speranza: non c’è peccato, né cacciata, ma solo una pausa estatica prima dell’inizio.

Nelle prime sale sfilano ritratti e i paesaggi di fine Ottocento dal realismo temperato (con Guglielmo Ciardi il figlio Beppe) introducono nel contesto artistico trevigiano a cavallo tra i due secoli, compresi gli echi impressionisti della “macchia” e del “colore puro” evidenti nelle opere di Luigi Serena, Giovanni Apollonio e Vittore Cargnel; quindi il percorso si concentra sulla figura di Martini e degli artisti che con lui furono in rapporto.

Praticamente tutte le sculture più rappresentative del suo periodo giovanile – dalla formazione trevigiana come autodidatta, agli studi veneziani e ai primi riconoscimenti nelle mostre di Ca’ Pesaro del 1908 sono esposte al Balio.
Straordinarie le ceramiche uniche nel panorama dell’epoca dell’artista ispirati alla Secessione viennese e al liberty.


Momento fondamentale nella carriera e nel percorso di Arturo Martini, che partecipa al Salon d’Automne di Parigi nel 1912, è l’episodio della mostra veneziana di Ca’ Pesaro del ’13 ove presenta la maiolica dorata della “Fanciulla piena d’amore”, creando scompiglio per la componente dissacrante e sottilmente erotica del lavoro.

Nel progetto museologico un rilievo particolare viene assegnato ad Arturo Martini (Oderzo 1878 – Milano 1954), il maggiore artista simbolista dell’ambiente trevigiano, e allo straordinario Gino Rossi (Venezia 1884 – Treviso 1947).




A Treviso, dunque, la Galleria del ‘900 apre le sue porte e svela alla città un immenso tesoro. E mentre celebra Martini, di cui mostra anche un nucleo rilevante d’opere del periodo estremo, con l’invenzione di strutture inedite e sorprendenti in risposta all’inadeguatezza della scultura – gli esemplari unici “Donna che nuota sott’acqua” e “Cavallo alato steccato” e il gesso patinato originale “Donna sulla sabbia” (1944) – ricorda anche tanti artisti che tra le due Guerre contribuirono a creare un vivace ed eterogeneo clima culturale: Bepi Fabiano, Nino Springolo, Juti Ravenna ma anche Giovanni Barbison con la scuola di incisione trevigiana e Carlo Conte, di cui viene rievocata magistralmente la gipsoteca.


Maria Paola Forlani


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