venerdì 11 dicembre 2015

IL CAINO E ABELE

IL CAINO e ABELE

Studio di un’opera giovanile
di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino

Al Castello Estense di Ferrara è presente, nella sua magnificenza, nel percorso tra le opere di Boldini e de Pisis, fino al 13 dicembre 2015, in anteprima assoluta, il dipinto inedito Caino e Abele, recentemente attribuito secondo studi condotti da storici dell’arte, tra cui Andrea Emiliani e Claudio Strinati, al periodo giovanile di Giovan Francesco Barberini, detto Il Guercino.


Giovan Francesco Barbieri, detto Il Guercino, nasce  nel 1591 a Cento da una famiglia modesta ma in un territorio posto al centro del triangolo fertile compreso tra Ferrara, Modena e Bologna.
Allievo di Ludovico Carracci, ma sensibile anche alla pittura ferrarese e, soprattutto, a quella veneta, rivela, fin dalle opere giovanili, un’attenzione peculiare agli impasti cromatici, anzi alla <<macchia>>, e agli effetti luministici, come è visibile, per esempio in opere come Paesaggio al chiaro di luna (Stoccolma, Museo Nazionale) o nel Figliol prodigo di Vienna.


Per l’importanza della luce si sono talvolta tentanti degli accostamenti a Caravaggio; ma le somiglianze sono solo apparenti, perché il luminismo caravaggesco blocca l’immagine dandole evidenza drammatica, quello guercinesco invece è mobile e magico.
Nel 1621, salito al pontificato, con nome di Gregorio XV, Alessandro Ludovisi, bolognese, il Guercino, che già operava da alcuni anni a Bologna, viene chiamato dal nuovo papa a Roma per affrescare il
Casino Ludovisi con L’Aurora, Il Giorno e La Notte. È uno dei complessi pittorici più importanti del Guercino, forse il suo capolavoro in senso assoluto.
Il tema dell’Aurora era già stato dipinto, appena pochi anni prima (1612-1614) da Guido Reni nel Casino Respigliosi Pallavicini,
con luminoso, sereno, ellenizzante equilibrio. Il Guercino lo affronta invece con foga. Il carro di Eos passa velocemente al di sopra di architetture viste audacemente in <<sottinsù>>, scattanti verso l’alto, preparazione coerente allo scorcio e al movimento di tutte le figure, realizzate con accostamenti di colori purissimi che toccano il loro punto culminante nella splendida pezzatura del manto dei cavalli spinti al galoppo. In tutto questo c’è un ricordo veronesiano a dimostrazione dell’importanza che ha avuto la conoscenza della pittura veneziana sul pittore. Ma c’è anche un impeto barocco, un calore, che sono esclusivi del Guercino e che ne costituiscono la dote maggiore. Tuttavia l’ambiente romano, invece che stimolarne la fantasia, gradualmente lo frena con la precettistica classicheggiante, dell’Agucchi e del Domenichino, finendo col togliergli proprio quello slancio e riconducendolo, entro l’alveo della tradizione, verso forme compassate,

L’attività giovanile del Guercino resta dunque la più valida, tale, anzi da farlo considerare fra i maggiori artisti del secolo; il pittore non riuscirà più a trovare un’analoga felicità inventiva, neppure lasciando Roma poco dopo (1623) per tornare dapprima nella piccola città natale, poi, alla morte del Reni (1642), a Bologna, assumendo a sua volta il ruolo di indiscusso maestro della scuola locale.
La sua forza inventiva giovanile è rintracciabile anche nel dipinto
Caino e Abele, che raffigura l’uccisione del secondogenito di Adamo ed Eva per mano del suo stesso fratello.
La forza drammatica del corpo seminudo di Abele, riverso diagonalmente a terra, presentato in primo piano attraverso un’ardita soluzione prospettica e con un punto di vista molto ribassato, contrasta con la figura di Caino, che si dà alla fuga nell’oscurità del fondale.
L’opera, risalente al secondo decennio del 1600, mostra evidenti caratteri stilistici della giovinezza del Guercino, con influenze riconoscibili ai grandi veneti – Giorgione, Tiziano, Tintoretto – ma anche alla svolta naturalistica avviata dai Carracci – Ludovico
in primis – fin dagli anni Ottanta del secolo precedente. In particolare è facile osservare la celebre “macchia” guercinesca – che spezza le forme per studiarne gli effetti di luce in rapporto con i mutamenti atmosferici, e l’inconfondibile maniera di rendere l’anatomia degli arti superiori e inferiori sovradimensionati e rigonfi, le cui masse muscolari risultano scolpite da netti contrasti luministici che accentuano l’effetto drammatico della scena.

Il rapporto più diretto e convincente di Guercino con l’arte dei Carracci e da stabilirsi con un’opera giovanile di Annibale
Cristo morto di Stoccarda. Da sempre considerato un omaggio
all’omonimo capolavoro di Andrea Mantenga oggi alla Pinacoteca di Brera, la tela raffigura il corpo senza vita del Cristo appena deposto dalla croce, fortemente compresso e scorciato così da mostrare in primo piano all’osservatore la pianta dei piedi forati dai chiodi, dai quali si risale rapidamente alle gambe distese ed al torso leggermente curvato verso destra. Superando le durezze formali dell’opera quattrocentesca, Annibale enfatizza, secondo la sua vocazione poetica, il naturalismo umanissimo di questo corpo ferito, trasfigurandolo in
un’immagine dal profondo significato sacrificale.
L’Abele ucciso da Caino sembra appartenere alla fase preromana
del Guercino, quando si colloca un dipinto, dello stesso autore, meno conosciuto dal grande pubblico e tutt’oggi raramente citato dagli esperti, nonostante le sue innegabili qualità pittoriche. Si tratta del Martirio di San Sebastiano custodito nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, il quale mostra il tipico naturalismo vibrante e contrastato degli anni giovanili trascorsi nel segno poetico di Ludovico Carracci, accanto ad un nuovo interesse per lo studio dei corpi maschili in pose dal forte scorcio prospettico.


La straordinaria qualità di Caino e Abele, confermata dalle radiografie recentemente eseguite in occasione della sua riscoperta, fu apprezzata anche fuori dai confini italiani, quando l’opera entrò a far parte, nel corso dell’Ottocento, della collezione di Sir, Thomas Willias Holburne e successivamente dell’Holburne Museum di Bath. Curiosamente all’epoca l’opera fu erroneamente attribuita al caposcuola bolognese Guido Reni, probabilmente proprio per gli evidenti caratteri emiliani, oltre naturalmente che per le grandi qualità pittoriche di questo capolavoro.

Maria Paola Forlani







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