sabato 30 settembre 2017

LINO SELVATICO

Lino Selvatico

Mondanità e passione quotidiana


Tra i più richiesti e apprezzati ritrattisti del Novecento italiano, “squisito indagatore dell’anima attraverso le fattezze del volto umano” come lo definì Pompeo Molmenti, Lino Selvatico (1872-1924) è stato recentemente riproposto all’attenzione della critica e del pubblico ed è ora protagonista a Padova della più ampia retrospettiva mai realizzata sull’artista, destinata – con oltre cinquanta dipinti e sessanta opere grafiche, esposte queste ultime per la prima volta – a imporsi come momento cardine nella rivalutazione della sua figura (catalogo grafiche Turato ).

Prodotta dal Comune di Padova con il Comitato Celebrazioni Lino Selvatico Pittore, allestita ai Musei Civici agli Eremitani fino al 10 dicembre 2017, curata da Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federico Millozzi, l’esposizione mette in luce non solo l’abilità dell’artista nei ritratti di tono mondano, ma anche le sue note di maggiore intimità, l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana che egli sapeva cogliere con spirito familiare e affettuoso e rendere con scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante.

Mondanità e passione quotidiana dunque: due tratti che connotano il percorso artistico e umano di Selvatico negli ambienti borghesi e aristocratici lagunari, milanesi o parigini, così come nelle dimensioni familiari delle sue abitazioni, a Mira e Biancade (la celebre Villa dell’Orso), nel cruciale passaggio tra Otto e Novecento.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo – che fu sindaco di Venezia e ideatore della Biennale internazionale d’Arte – nato incidentalmente a Padova, ove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e laureato in legge all’ateneo patavino, Lino fin dal suo esordio alla III Mostra Internazionale d’Arte del 1889 aveva mostrato le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo.

Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e le personalità del personaggio effigiato. Così – grazie anche a una rete di relazioni di primo piano – le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu il ritratto di Alfonso III di Borbone giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Frequentatore di intellettuali e artisti, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano, amico dei Sarfatti, Selvatico raggiunse con la fama anche il riconoscimento da parte di critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti, partecipando a numerose esposizioni nazionali ed internazionali.
“Selvatico era però un artista sensibile e attento anche ad altri aspetti – scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra – in continua evoluzione, capace di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo conflitto mondiale”.

In particolare è nei nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle forme, fino a una vera passione per il femminile.
Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Aspetti emblematici di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota produzione grafica, esposta nella mostra degli Eremitani di Padova per la prima volta. Nel percorso espositivo ci sono infatti, in dialogo con i dipinti, anche i disegni e le stampe dell’artista (rinvenuti solo nel 2008): studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti a lui più cari, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto negli stupendi nudi femminili.

Una assoluta novità per il pubblico e per la critica.
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione.
Nella grafica sono evidenti richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck.

Era certamente difficile, all’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche – carboncino, graffite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e luministici.

Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.


Maria Paola Forlani

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