venerdì 27 ottobre 2017

AMBROGIO LORENZETTI

Ambrogio
Lorenzetti


A Siena presso Santa Maria della Scala, fino il 21 gennaio 2018, è visibile la mostra dal titolo Ambrogio Lorenzetti (Siena, notizie dal 1319 al 1347), a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel (catalogo Silvana).
L’esposizione rappresenta in realtà il culmine di un progetto scandito “in tappe”, avviato nel 2015 con l’iniziativa Dentro il restauro e mirato ad una profonda conoscenza dell’attività dell’artista, ad una migliore conservazione delle sue opere e a favorire l’avvicinamento da parte del pubblico. Con Dentro il restauro, realizzato grazie al contributo del MiBACT per Siena Capitale italiana della Cultura 2015, sono state trasferite al Santa Maria della Scala alcune importanti opere dell’artista che necessitavano di indagini conoscitive di interventi conservativi e di veri e propri restauri: il ciclo di affreschi staccati della cappella di San Galgano a Montesiepi e il polittico della chiesa di San Pietro di Castelvecchio a Siena (nell’occasione più correttamente ricomposto e riunito con l’originaria cimasa raffigurante il Redentore benedicente) sono stati allestiti in un cantiere di restauro ‘aperto’, fruibile dalla cittadinanza e dai turisti. I restauri sono proseguiti con l’apertura di altri due cantieri, il primo nella chiesa di San Francesco, volto al recupero degli affreschi dell’antica sala capitolare dei frati francescani senesi, e l’altro nella chiesa di Sant’Agostino, nel cui capitolo Ambrogio Lorenzetti dipinse un ciclo di storie di Santa Caterina e gli articoli del Credo.


In mostra tornano a vivere idealmente i cicli di affreschi del capitolo e del chiostro della chiesa francescana senese, che tra l’altro contenevano la prima rappresentazione di una tempesta nella storia della pittura occidentale nella quale, come scrive Ghiberti, spiccava la “grandine folta in su e’ palvesi”; il ciclo di dipinti della chiesa agostiniana senese, modello esemplare ancora agli occhi di Giorgio Vasari, quando si approntò l’armadio delle reliquie della cattedrale; quello della cappella di San Galgano a Montesiepi, a tal punto fuori dai canoni della consolidata iconografia sacra che i committenti pretesero delle sostanziali modifiche poco dopo la conclusione.

La prima opera datata (1319) di Ambrogio Lorenzetti, è una Madonna col Bambino dipinta per la chiesa di Vico l’Abate, una piccola località nei pressi di Firenze, dove la sua presenza è documentata e dove, per un certo periodo, deve avere addirittura vissuto, se nel 1327 viene immatricolato (insieme ad artisti locali, fra cui Giotto) nell’Arte dei Medici e Speziali che, a partire da quell’anno includeva i pittori.
La Madonna di Vico l’Abate ha un impianto monumentale che l’ha fatta mettere in rapporto con la pittura fiorentina. Ma, più che volumetria, più che impostazione della Vergine in profondità, vi è larghezza di superfici, delineate nettamente e rivestite dai colori, e vi è una ieratica frontalità che sembra riallacciarsi piuttosto alle icone bizantine.

Questo arcaismo, più che a un presunto tradizionalismo dell’autore, va attribuito all’arretratezza culturale del committente, che viveva in una zona rurale, dove le novità cittadine dovevano giungere con qualche ritardo.
Contrasta infatti con la rigidezza della madre e con la fissità dei suoi occhi, la vivacità del figlio che, se non fosse per l’aureola, sembrerebbe un qualsiasi bambino, non il Dio incarnato in atto di benedire, conscio della sua alta missione.
La scena è vivacizzata anche dalla mobilità della linea che disegna Gesù e dalle tarsie dei colori brillanti, sia quelli delle vesti sia quelli degli ornamenti del trono.
Fra le molte opere del pittore, la più vasta e impegnativa è costituita dagli affreschi dipinti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena, con le Allegorie del buono e del cattivo governo.

Gli affreschi hanno contenuto politico. Da un lato la tirannia, guercia e cornuta, che, circondata dai vizi, calpesta la giustizia. Dall’altro lato il governo senese, giusto e pacifico, sostenuto dalla volontà unanime dei cittadini.


Il tema, voluto dai <<Nove>>, il partito al potere, è un’esaltazione della loro ideologia: non più illustrazione di idee religiose ma idee civiche.
La complessità allegorica, la nobiltà degli intenti suscitarono ammirazione: forse per questo il Lorenzetti appare al Ghiberti (che lo preferiva allo stesso Simone Martini) <<altrimenti dotto che alcuno degli altri>> e al Vasari <<gentiluomo e filosofo>>; ma proprio per questo è sembrato invece ad alcuni critici moderni che la sapienza dottrinale prendesse il sopravvento sul significato artistico, inquinandone la purezza. La tesi più antica tende ad esaltare i contenuti, l’altra il linguaggio.
Ma Ambrogio Lorenzetti ha lasciato altre testimonianze paesistiche, Una città vicino al mare e Un castello in riva al lago, ambedue visti dall’alto, considerati il più antico esempio di paesaggio dell’arte occidentale, databili probabilmente negli stessi anni dell’affresco senese

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Fra le ultime opere del pittore sono due tavole, importanti per l’impostazione prospettica: la Presentazione al tempio, del 1342 (Firenze, Galleria degli Uffizi) e
l’Annunciazione, del 1344. Soprattutto in quest’ultima è stata notata la convergenza di tutte le linee di profondità del pavimento in unico punto di fuga, come un’anticipazione delle teorie rinascimentali
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La mostra, preceduta da un’intensa attività di ricerca e dalle importanti campagne di restauro, rappresenta l’occasione per provare a ricostruire la straordinaria attività di Ambrogio Lorenzetti. Una tale iniziativa è possibile soltanto nella città di Siena, che conserva all’incirca il settanta per cento delle opere oggi conosciute del pittore.
Ma la mostra – grazie a una serie di richieste di prestiti – con opere provenienti dal Musée du Louvre, dalla National Gallery di Londra, dalle Gallerie degli Uffizi, dai Musei Vaticani, dallo Städel Museum di Francoforte, dalla Yale University Art Gallery – ambisce a reintegrare pressochè internamente la vicenda artistica di Ambrogio Lorenzetti, facendo nuovamente convergere a Siena dei dipinti che in larghissima parte furono prodotti proprio per cittadini senesi e per chiese della città.





Maria Paola Forlani

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