domenica 26 agosto 2018

PER SOGNI E PER CHIMERE


Per sogni e per chimere.

Giacomo Puccini e le arti visive


Si è aperta a Lucca nelle sale della Fondazione centro Studi Ragghianti, la mostra “Per sogni e per chimere. Giacomo Puccini e le arti”a cura di Fabio Benzi, Paolo Bolpagni, Maria Floria Giubilei, fino al 23 settembre.
La mostra è la prima, completa presentazione del mondo figurativo che accompagna Puccini nel corso della sua vita. I risultati sono estremamente innovativi, assai più vasti e modulati di quanto solitamente i curatori pensassero di riscoprire. Le ricerche hanno portato a nuove possibilità di interpretazione della stessa musica pucciniana evidenziando un tessuto di scambi e una dialettica assai peculiare del musicista con i fatti artistici del proprio tempo.


Puccini non sembra portato nella sua giovinezza toscana per i rapporti artistici. Il suo carattere inquieto e incostante non lo induce inizialmente ad approfondire le relazioni tra le arti: negli studi classici è pigro, non ama leggere libri, e tantomeno s’interessa d’arte. Una vera maturazione “visiva” dovette però avvenire a Milano, quando conobbe il suo librettista Ferdinando Fontana nel 1883 (aveva allora venticinque anni). Fontana era uno scrittore della cosiddetta Scapigliatura milanese, e suo fratello Roberto era un pittore vicino allo stesso movimento.


Questo contesto scapigliato milanese (Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, Luigi Conconi, Eugenio Gignous e altri), più indotto da conoscenze incrociate che scelte per vocazione profonda, permea tuttavia il clima delle sue prime opere, da Le Villi, a Manon a Tosca, e agì sull’immaginario pucciniano come corrispondenza di sentimenti espressi attraverso un impressionismo romantico, toni sfumati ma di pregnanza veristica mai scivolati nell’indecisione della “sensibelerie”.

Abbandonata Milano, che non lo soddisfaceva, Puccini iniziò a gravitare su Lucca e infine Torre del Lago (nel 1891) nella stessa provincia. Il ritorno nella nativa Toscana, pur tenendo i logici contatti con Milano, fu l’inizio di una nuova stagione, che portò alla composizione di Manon (1893). Qui frequenta in maniera più assidua artisti come Edoardo Gelli e Giovanni Muzzioli, assai diversi da quelli della Scapigliatura milanese: esponenti di una ritrattistica alto borghese, levigata e accademica, nonché di scene di genere alla Fortuny, oppure storiche e all’antica alla Alma-Tadema; o ancora come Cipriano Cei, pittore di realismo borghese decisamente commerciale, e il tardo macchiaiolo Ferruccio Pagni (che Diego Martelli inserì nel gruppo degli “impressionisti livornesi”).

Ė una parentesi apparentemente discordante con gli indirizzi degli esordi e, al di là della gittata dei singoli artisti, questa nuova visione di eleganza anche formale e tecnica, forse più intimamente condivisa di quella milanese scapigliata, aprì il mondo pucciniano alla sua propria e grande affermazione personale di stile che condurrà il compositore alla composizione della Boème (1896) e di Tosca 1900). Probabilmente quella pittura aveva per lui anche un valore di una scelta artistica più spontanea e autonoma, conquistata presso i suoi conterranei.

I rapporti con Giovanni Verga, di cui progetta di mettere in scena La lupa, contribuiscono a sottolineare gli accenti di verismo che ancora a lungo rimarranno nella sua sensibilità, anche se trasfigurati da un lirismo profondo e melanconico che costituisce una sua vena peculiare, crepuscolare.



Un balzo di qualità, una ricerca più complessa d’intellettualità nell’espressione artistica, avviene intorno al 1900. In quel periodo Puccini aveva conosciuto Plinio Nomellini, uno dei primi pittori in Italia ad applicare il metodo divisionista nelle sue opere.
Questa amicizia determina certamente uno scarto estetico in Puccini. Le sue frequentazioni si aprono ad Antonio Discovolo, Galileo Chini, Libero Andreotti, Edoardo De Albertis, Duilio Cambellotti, Carlo Bugatti, Paolo Troubetzkoy, Alberto Martini, determinando un evidente mutamento del gusto e di ispirazione estetica: più ampia e più “moderna”. Il risultato musicale è la Butterfly.
Il suo interesse reale sembra ormai indirizzarsi a quei pittori e scultori d’avanguardia, tra divisionismo e Liberty, ma soprattutto di aura simbolista. Ė d’altra parte il momento in cui sembra dover collaborare con D’Annunzio: non solo perché considerato il maggior poeta italiano del tempo, ma evidentemente anche perché portato a condividerne la flessione decadentista (anche se la collaborazione, protratta nell’arco di molti anni, non vedrà mai una conclusione.

Dall’amicizia con Nomellini, discende la conoscenza tra il compositore e Galileo Chini, che rivestirà un ruolo forse maggiore di Nomellini per l’opera di Puccini. Pure l’amicizia per il <<grande artista>> Gaetano Previati aveva il valore di un’apertura avanguardistica verso dimensioni non più eminentemente “realistiche” dell’espressione, ma in cui il lirismo si tende in un simbolismo dalle linee innervate al limite dell’espressionismo, in collocazioni spirituali notturne e sonorità oniriche.
Fu comunque con Galileo Chini che si creò un sodalizio fondamentale, che incise anche direttamente e significativamente sull’attività pucciniana, al punto che l’artista divenne il referente principale per la messa in scena delle opere di Puccini, a partire dal 1918.

Ciò che sedusse Puccini fu indubbiamente il materiale eccezionale che Chini aveva riportato dall’Oriente, dove tra il 1911 e il 1913 aveva affrescato il salone del trono del Palazzo reale di Bangkog.
Quello di Chini è un Oriente interiorizzato, reinventato, non privo di connotazioni acutamente antropomorfiche, intellettuali; era la medesima direzione intrapresa da Puccini con la sua musica aperta a innovazioni tonali extraeuropee. Chini fu coinvolto nel Trittico (1918) e infine nella meravigliosa messa in scena di Turandot (1924), l’ultima e più sperimentale opera del musicista.

Questa scelta “alta” di collaborazione aveva un valore consapevole di trasformazione dell’opera lirica a tutto tondo, che apriva il teatro d’opera italiano verso una direzione di esperimento artistico “totale”.


Maria Paola Forlani

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