sabato 16 aprile 2016

BIENNALE DONNA 2016

Silencio

Vivo
Artiste dall’America Latina
Una delle forme dell’ingiustizia verso le donne è il servirsi dell’attivazione di esclusione dalla vita artistica e politica senza riguardi, e cioè riportare le donne alla loro identità di genere in un contesto artistico, filosofico, politico, dove è decisamente e direttamente in gioco, la comune appartenenza alla specie umana.
L’esclusione delle donne nei luoghi e momenti in cui sono in questione “le ultime cose” (domande sui destini del mondo e i rischi vitali, su principi metafisici, fedi religiose, ricerca artistica). C’è, però, un ultimo aspetto da considerare, lo sperimentalismo metafisico fa dell’arte (al di là delle sue vicende istituzionali) il luogo ideale per precisare ulteriormente i contenuti di quella struttura regolativa o idealtipica che è il predicato “essere una donna”. Se è vero che si diventa donne in situazioni in cui sono in gioco (in positivo o in negativo) la differenza sessuale e/o quella culturale, resta ancora da vedere quale sia lo specifico contenuto di questa attivazione. Che cosa sono le donne quando cercano di fare arte, filosofia, politica, letteratura, musica, sapendo di doversi misurare con le specifiche difficoltà (pregiudiziali o effettive) che riguardano ogni donna, appunto, nell’arte, in filosofia, in politica…?
Credo che la risposta sia fondamentalmente una sola: una donna è quel che sarebbe in un mondo in cui le donne non sarebbero discriminate, assoggettate, offese.
Il “femminile” si realizza nel momento in cui cerchiamo di immaginare un mondo in cui le donne, in ogni campo e luogo, avrebbero il normale diritto di essere ascoltate. Solo in relazione a questo mondo possibile esistono politicamente soggetti femminili; solo questo mondo, che l’arte può già costruire immaginativamente, e che ha già in parte iniziato a costruire, è il termine di confronto ideale.

Fino al 12 giugno 2016, è tornato al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara la
Biennale Donna, con la presentazione della collettiva Silencio Vivo. Artiste dell’America Latina, curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli.
Organizzata dall’UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, la rassegna si conferma come uno degli appuntamenti più attesi del calendario artistico e dopo la forzata interruzione del 2014, a causa del terremoto che ha colpito Ferrara e i suoi spazi espositivi, può ora riprendere il percorso di ricerca ed esplorazione della creatività femminile internazionale.
Da sempre attenta al rapporto fra arte e la società contemporanea, la Biennale Donna vuole concentrarsi sulle questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche che influenzano i contributi estetici dell’odierno panorama delle donne artiste. In tale direzione, la rassegna di quest’anno ha scelto di spostare il proprio baricentro sulla multiforme creatività latinoamericana, portando a Ferrara alcune delle voci che meglio rappresentano questo eccezionale pluralità espressiva: Anna Maria Molino
(italia-Brasile, 1942), Teresa Margolles (Messico, 1963), Anna Mendieta (Cuba 1948 – Stati Uniti 1985) e Amalia Pica (Argentina, 1978).

Silencio Vivo riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, interrogandosi sulla realtà latinoamericana e individuandone le tematiche ricorrenti, come l’esperienza dell’emigrazione, le dinamiche conseguenti alle dittature militari, la censura, la criminalità, gli equilibri sociali fra individuo e collettività, il valore dell’identità o la fragilità delle relazioni umane.


L’esposizione si apre con l’eclettico contributo di Ana Mendieta, una delle più incisive figure di questo vasto panorama artistico. Nonostante il suo breve percorso (muore prematuramente a 36 anni, cadendo dal 34simo piano del suo appartamento di New York), Ana Medieta si conferma ancora oggi, a 30 anni dalla sua scomparsa, come un’indiscussa fonte di ispirazione della scena internazionale. La Biennale Donna le rende omaggio con un nucleo di opere che ne esaltano l’inconfondibile impronta sperimentale, dalle note Siluetas alla documentazione fotografica delle potenti azioni performative risalenti agli anni’70 e primi ’80. Al centro, l’intreccio di temi a lei sempre cari, quali la costante ricerca del contatto e il dialogo con la natura, il rimando a pratiche rituali cubane, l’utilizzo del sangue – al contempo denuncia della violenza, ma anche allegoria del perenne binomio vita/morte – o l’utilizzo del corpo come contenitore dell’energia universale.

Il corpo come veicolo espressivo è una caratteristica riconducibile anche ai primi lavori della poliedrica Anna Maria Maiolino, di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960, agli albori della dittatura. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione l’hanno influenzata profondamente, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile.


In mostra è presente una selezione di lavori che ne confermano la grande versatilità, dalle sue celebri opere degli anni ’70 e ’80 – documentazioni fotografiche che lei definisce “photopoemaction”, di chiara matrice performativa – alle recenti sculture e installazioni in ceramica, dove emerge la stretta connessione con il quotidiano, in aggiunta, però, all’esplorazione dei processi di creazione e distruzione ai quali l’individuo è inevitabilmente legato.

Di simile potenza suggestiva, ma con una particolare attitudine al crudo realismo, la poetica di Teresa Margolles testimonia le complessità della società messicana, ormai sgretolata dalle allarmanti proporzioni di un crimine organizzato che sta lacerando l’intero paese e soprattutto Ciudad Juàrez, considerata uno dei luoghi più pericolosi al



mondo. Con una grammatica stilistica minimalista, ma d’impatto quasi prepotente sul piano concettuale, i lavori della Margolles affrontano i tabù della morte e della violenza, indagati anche in relazione alle disuguaglianze sociali ed economiche presenti attualmente in Messico. Le installazioni che l’artista propone alla rassegna ferrarese – fra cui Pesquisas, realizzata appositamente per la Biennale Donna – svelano un evidente potere immersivo, che forza lo spettatore ad assorbire e partecipare al dolore di una situazione ormai fuori controllo, troppo spesso taciuta e negata dalle autorità locali.


Il percorso della mostra si chiude poi con la ricerca di Amalia Pica, grande protagonista dell’emergente scena argentina. Utilizzando un ampio spettro di media – il disegno, la scultura, la performance, la fotografia e il video – l’artista si sofferma sui limiti e le varie declinazioni del linguaggio, esaltando il valore della comunicazione, come fondamentale esperienza collettiva. Le sue opere si fanno metafora visiva di una società segnata dall’ipertrofia della comunicazione, un fenomeno diffuso che sempre più di frequente conduce all’equivoco e all’alienazione, invece che alla condivisione.


Maria Paola Forlani

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