lunedì 18 aprile 2016

SIGMAR POLKE

Sigmar Polke


Si è aperta fino al 6 novembre 2016 a Palazzo Grassi la prima esposizione retrospettiva dedicata in Italia a Sigmar Polke (1941 – 2010).
La mostra ideata da Elena Geuna e Guy Tosatto, direttore del musée de Grenoble, in stretta collaborazione con The Estate of Sigmar Polke, ripercorre tutta la carriera dell’artista, dagli anni sessanta del Novecento agli anni 2000, illustrando le diverse sfaccettature della sua pratica artistica attraverso quasi novanta opere provenienti dalla collezione Pinault e da numerose collezioni europee pubbliche e private.
La manifestazione si inscrive nella programmazione di Palazzo Grassi, che ospita alternativamente esposizioni tematiche basate sulla collezione Pinoult e monografie di grandi artisti contemporanei, e celebra nel 2016 una doppia ricorrenza: il decennale della riapertura di Palazzo Grassi a opera di François Pinault e il trentesimo anniversario della partecipazione di Sigmar Polke alla Biennale di Venezia nel 1986, per la quale ricevette il Leone d’Oro.
Sigmar Polke, figura artistica fondamentale degli ultimi quarant’anni, ha profondamente rinnovato il linguaggio pittorico della fine del XX secolo.
Ciò che l’opera dell’artista riconosceva, fuori da ogni percezione e agire della Pop Art, – e a cui di conseguenza rispondeva – era il fatto che gli spazi e le pareti del “cubo bianco” (in senso percettivo) erano di fatto che gli spazi e le pareti istituzionali e di interessi economici che erano stati rimossi dalla neutralità di uno spazio fenomenologico in cui il soggetto costituirebbe la propria libertà nei suoi atti di pura percezione. All’inizio della sua ricerca può essere parso difficile riconoscere che la radicalità enfatica dell’opera fosse rafforzata da un quasi etereo rifiuto di quelli che potevano tradizionalmente essere visti come i compiti dell’estetica. Così si poteva sostenere che Polke operava all’interno di una forma altamente contraddittoria, per non dire aporetica, di modernismo malinconico, che cercava di redimere l’utopismo radicale dell’astrattismo avanguardista, piangendo sul luogo della sua devastazione irreversibile. Ma nella stessa misura in cui la sua opera cede la propria

  organizzazione strutturale e formale nel suo complesso ai principi dominanti dell’amministrazione sociale, nell’apparenza stessa di un’affermazione della totalità di questi principi come uniche forme valide che realmente strutturano l’esperienza, l’estetica, nella sua radicale negazione, raggiunge un’imprevista trascendenza.
L’esposizione inizia presentando per la prima volta nel patio centrale di Palazzo Grassi Axial Age (2005 – 2007), ciclo monumentale di sette dipinti (fra cui un trittico) esposto nel Padiglione centrale della Biennale nel 2007. Questo capolavoro affascinante, vero  proprio testamento artistico di Polke, evoca l’intreccio originale tra visibile e invisibile e le differenze tra pensiero e percezione, facendo sempre riferimento alla teoria dell’amato filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1967) sull’età assiale.
La mostra si sviluppa poi sui due livelli del palazzo secondo un percorso cronologico a ritroso, dalla fine degli anni 2000 all’inizio degli anni sessanta, disseminato di cicli eccezionali come Strahlen Sehen (2007), serie di cinque dipinti sulla visione e i suoi ostacoli, Hermes Trismegistos (1995), magistrale evocazione in quattro parti del fondatore dell’alchimia, Magische Quadrate (1992), sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e sui pianeti (1988-1992), composto da sei pannelli dipinti sul recto e sul verso in cui il quadro si fa vetrata o Negativwerte (1982), tre dipinti viola intenso tossico. Queste opere permettono di cogliere per intero l’ambizione della pratica di Sigmar Polke sulla tematica dell’alchimia delle forme e dei colori a partire dall’inizio degli anni ottanta.

Il suo gusto per la sperimentazione della materia pittorica si manifesta anche nei piccoli formati con la serie dei Farbprobe, summa di tutte le possibilità in termine di mescolanza di materiali eterogenei, così come emerge il suo piacere nel giocare con le immagini secondo modalità diverse: manipolandole come nelle trasparenze di Picabia (Alice in Wunderland, 1972) o frammentandole grazie all’ingrandimento della trama fotografica (Man fütter die Hühner, 2005). Un piacere del gioco che, nell’artista, è sempre sinonimo di umorismo e leggerezza.

Insieme a queste opere aperte su ciò che si trova oltre le apparenze, dove figurazione e astrazione si confondono, l’artista, fedele all’approccio critico nei confronti della società contemporanea adottato fin dagli esordi, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione storico-politica. Il percorso espositivo ne riunisce alcuni fra i più rappresentativi, come Polizeichwein (1986), e Amerikanich-Mexikanische Grenze (1984), incentrati rispettivamente sulle forze dell’ordine e sui campi di concentramento e Schiesskebab (1994) sulle guerre fratricide della ex Jugoslavia…

Alcune opere aventi per soggetto la Rivoluzione Francese,
 come Jeux d’enfants (1988) o Message de Marie-Antoinette
  à la Conciergerie (1989), evocano il rapporto di Sigmar Polke con la Storia.
Gli anni settanta sono rappresentati da un’importante selezione di lavori che illustrano sia la frenesia iconoclasta di Polke in questo periodo – come Cameleonardo da Willich (1979) con la sua sovrapposizione di caricatura e fumetto – sia la sua volontà di sperimentare tecniche pittoriche a 360 gradi: ne sono esempio Untitled  (1970-1971) e la sua fioritura cromatica o indianer mit Adler (1975), con i dipinti metallizzati realizzati con la vernice spray e l’utilizzo delle sostanze psicotrope più diverse cui rimandano i funghi di Alice im Wunderland, 1972.
Al termine del percorso espositivo, infine, gli anni sessanta fanno luce sulla genesi di quest’arte fuori dal comune. In Telepathische Sitzung II (William Blake – Sigmar Polke, 1968) emerge l’interesse per fenomeni paranormali già manifestato dall’artista, mentre la celebre Kartoffelhaus (1967/1990),
un capanno da giardino costellato di patate, attesta in particolare il suo gusto per l’assurdo e i suoi legami con Fluxus. La sua attenzione si focalizza sulla pittura con la messa a nudo dei meccanismi dell’immagine fotografica nei dipinti basati sulla trama di quest’ultima,
Interieur (1966) o Vase II (1965), gli ammiccamenti all’estetica del Kitsch, con Reiherbild (1968), o alle manie della modernità con Bohnen (1964) o Lampionblumen, 1966.


A completare la grande esperienza di uno dei più grandi collezionisti di arte contemporanea, François Pinault (1936), si è aperta a Punta della Dogana  


fino al 20 novembre 2016  “Accrochage”, una mostra collettiva a cura di Caroline Bourgeois.
Il titolo rispecchia la scelta di presentare una selezione di lavori appartenenti, appunto, alla Pinault Collection, includendo artisti contemporanei riconosciuti e talenti emergenti, senza imporre un punto di vista. Il visitatore è invitato a interpretare ogni opera con la propria sensibilità, scoprendo, lungo le sale espositive, i rimandi tra le opere.


Maria Paola Forlani







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